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Ucraina: immunità per i crimini dei neonazisti

Il Procuratore generale ucraino Jurij Lutsenko intende proporre alla Rada suprema di votare l’amnistia per ogni delitto commesso da combattenti ATO (Operazione AntiTerrorismo) come Kiev definisce l’aggressione militare al Donbass. L’occasione per tale proposta “europeista” è stata fornita a Lutsenko dal fermo, sabato scorso, da parte del tribunale del rione Pechorskij di Kiev, dell’ex squadrista del battaglione “Ajdar”, Valentin Likholit, nome di battaglia “Batja”, accusato di banda armata, sequestro di persona, appropriazione illecita di mezzi di trasporto. “Il caso Likhotin” ha detto Lutsenko, “rappresenta lo specchio dell’atteggiamento del paese verso i suoi difensori. Batja, così come ogni combattente ATO, deve rispondere delle proprie azioni. La sentenza spetta al tribunale. Ma nel decidere la misura della pena è importante assicurare la dignità a un difensore della Patria”. La conclusione di Lutsenko è che il parlamento debba stabilire “l’immunità da qualsiasi responsabilità per i militari che, in situazione di guerra, abbiano violato il Codice penale del tempo di pace”. Dignità che il tribunale ha garantito pienamente e ha subito rimesso Batja in libertà, accogliendo il giudizio di una “giuria popolare” composta di “giurati” dei battaglioni Ajdar e Donbass che, fuori del tribunale, minacciavano l’ennesima majdan.

Nel riportare la notizia, l’agenzia Novorosinform cita il sito web “PolitNavigator”, secondo cui “se gli ex combattenti ATO verranno processati secondo il Codice del tempo di pace, tutta l’Ucraina diverrà una immensa ATO”. “Nella primavera ed estate 2014 era necessario battere il cuneo con un altro cuneo e noi lo facemmo! Proprio così, calpestando la morale e la legge!”, ha scritto su feisbuc il comandante del reparto “Donbass” della Guardia nazionale, Dmitrij Babkin. “Senza entrare nei dettagli, posso dire solo questo: anch’io dovrei rispondere di responsabilità penale secondo le leggi del tempo di pace. Anch’io ho rubato cibo, bevande, soldi e automobili. I sostenitori del “mondo russo” in Ucraina, prima di azzardare qualunque passo, dovevano provare paura” scrive il nazista Babkin, e i volontari si incaricarono “di imporre loro quella paura”. E l’ex Jeanne d’Arc-Savchenko, nel corso di un talk show televisivo, ha filosofato che l’esercito ucraino, nel Donbass, ha fatto man bassa di auto e altri mezzi, dato che, a suo dire, il codice militare lo permette in tempo di guerra; la neonazista graziata da Putin ha dimenticato di aggiungere che nessuno stato di guerra è mai stato dichiarato in Ucraina. Ha tratto le conclusioni Juri Butusov, curatore di “rupor Majdana” del sito Tsenzor.net: “Lo Stato ha perso il monopolio della violenza. Ma non è successo ora, bensì il 1 dicembre 2013. L’inizio della rivoluzione è stato il segnale della morte dello Stato e della completa perdita di fiducia in esso. Perciò, ora, non c’è alcun monopolio della violenza”.

Da emerito figlio di majdan, Jurij Lutsenko (perito elettronico; ex Ministro degli interni nel 2005, ex deputato del Partito socialista e attivista della “rivoluzione arancione”; sfiduciato dalla Rada nel 2010 e arrestato per appropriazione indebita, concussione e abuso di potere, condannato nel 2012 per negligenza: queste alcune delle tappe più brillanti della specchiata carriera magistrale del Procuratore generale ucraino) ha decretato che “le azioni di due anni fa del battaglione Ajdar, ad esempio il furto di auto, possono essere giustificate: all’epoca, il battaglione non riceveva sufficienti aiuti dallo stato e, per la difesa della patria, i combattenti avevano il diritto di appropriarsi delle auto altrui”. Così, il tribunale ha rilasciato immediatamente Likholit, dietro garanzia dei deputati Semen Semenchenko (ex comandante del battaglione “Donbass”), Egor Sobolev dalla frazione “AutoAiuto”, Igor Mosijchuk (ex vicecomandante del battaglione “Azov”) e Andrej Lozovoj del “Partito Radicale”. Come dire, quali garanti per il comandante Schettino si fanno avanti quattro scafisti specializzati in traffico di migranti. Sulle imprese di “garanti” e di tanti altri “eroi” dei battaglioni, nota LIVA.com.ua, ci sono pacchi di dossier sui tavoli di Amnesty International: uccisione di prigionieri feriti, violenze sessuali, abusi di ogni genere sui civili del Donbass; e, una volta tornati dal fronte, bravate di ogni tipo nelle città ucraine.

Il direttore del Centro di ricerche euroasiatiche, Vladimir Kornilov, sostiene che i poteri ucraini sono impotenti di fronte ai battaglioni e stanno solo cercando il modo di utilizzarne alcuni contro altri, alimentando la loro animosità reciproca. Nel peggiore dei casi, li gettano in attacchi da macello, come quello recente su Debaltsevo, oppure provocano scontri tra battaglioni e forze regolari, come a Mariupol, contando così di assottigliarne le file; salvo poi, in pubblico, a uso e consumo dei sentimenti neonazisti, proclamare, come hanno fatto Poroshenko e il Ministro degli Interni Avakov, che “proprio i combattenti dei battaglioni volontari hanno contribuito a salvare l’Ucraina”. Di casi come quello di Likholit ce ne sono stati molti, non solo a Kiev, dice Kornilov; la novità è che ora il Procuratore generale si è schierato con loro. L’apparente diminuzione di reati criminali al fronte, si deve non tanto all’inquadramento dei maggiori battaglioni nei reparti del Ministero degli interni, quanto semplicemente al fatto che il fronte da lungo tempo è fermo e tutto ciò che c’era da rubare è stato rubato e rivenduto nelle zone della Galizia da cui proviene la maggior parte dei neonazisti. A ciò è dovuta in gran parte anche la scia di omicidi di reduci dall’ATO: rese dei conti tra ex combattenti per dividersi le zone di rapina nell’Ucraina occidentale. A parere del politologo ucraino Jurij Gorodnenko, le minacce dei battaglioni di accendere una nuova majdan non significano nulla: “majdan c’è se ci sono i dollari per pagare chi la fa e, per ora, Washington non mostra alcuna intenzione di innescarla”; secondo Gorodnenko, anzi, la Casa Bianca è interessata a “normalizzare” i rapporti di Kiev con Mosca e sta spingendo Poroshenko a fare ordine coi battaglioni.

Majdan o meno, però, Kiev, mentre non diminuisce la pressione sul Donbass, pare intenzionata a prendere ogni misura per assicurare il proprio dominio interno. Insieme alle repressioni aperte contro i comunisti e ogni altro oppositore, le esercitazioni congiunte “Rapid Trident-2016”, iniziate il 27 giugno al poligono di Jarovov, nella regione di L’vov, stanno mettendo a punto gli scenari di possibili battaglie di strada contro dimostrazioni di massa e popolazione civile in genere, ipotizzando anche rivolte di stampo nazionalista. “E questo riguarderà anche i cittadini dell’Ucraina occidentale” nota il politologo ucraino Oleg Khavic, “che si ritengono tanto protetti” dal potere golpista. A differenza dell’epoca di Janukovic, afferma Khavic, allorché l’azione dei Berkut disarmati contro i radicali di majdan era condannata in occidente come “dittatura sanguinaria contro il proprio popolo”, oggi è quello stesso occidente che addestra i soldati ucraini a disperdere le proteste. L’ordinario della cattedra per lo Spazio postsovietico dell’Università di Mosca, Aleksandr Gushchin, giudica non inverosimile lo scoppio di proteste, sia nelle regioni sudorientali quali Kharkov e Odessa, sia in quelle centrali e occidentali e Kiev, pur non ritenendole prossime, intende premunirsi, servendosi anche dell’aiuto militare USA. In ogni caso, il direttore del Centro per la congiuntura strategica, Ivan Konovalov, ricorda che esercitazioni simili alle attuali di L’vov, vennero condotte poco prima della proclamazione dell’indipendenza del Kosovo, presupponendo dimostrazioni di massa da parte serba. In sostanza, afferma Konovalov, la situazione è instabile, i nazisti possono inscenare azioni in qualsiasi momento e la situazione potrebbe sfuggire al controllo governativo, anche con l’ammutinamento di ex alleati di majdan.

Resta a vedersi, in tal caso, quale sarà il reale sostegno USA e Nato al governo ucraino, quale comparsa nel più ampio dramma della contrapposizione con la Russia. Se da un lato l’ex capo del Servizio di sicurezza ucraino, Igor Smeshko, ha escluso ogni possibilità che il paese, almeno a breve scadenza, divenga membro della Nato, dall’altro il vice segretario generale dell’Alleanza atlantica, Aleksander Vershbow ha preannunciato “un lungo periodo di contrapposizione strategica con la Russia. Saranno rapporti molto pericolosi, che richiederanno un approccio molto cauto” e un’Ucraina instabile non è quello che serve ai piani antirussi.

 

Fabrizio Poggi

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