Gli avvenimenti in Crimea di dieci giorni fa, di cui il presidente della Commissione del Parlamento europeo per gli affari esteri, Elmar Brok, giura tuttora trattarsi niente altro che di una autoprovocazione russa, a parere di diversi osservatori sembrano costituire uno degli ultimi colpi di coda di un Petro Porošenko, alle prese con una molteplicità di fronti interni che, sebbene non coalizzati, tutti però ugualmente diretti contro di lui. Tanto che Petro si sarebbe ora risolto a venire a patti con Mosca; ma, anche in questo caso, non si tratterebbe nient'altro che di una mossa tesa a mascherare qualcosa di diverso.
Il fatto è questo: il perenne e scaltro presidente kazakho Nursultan Nazarbaev, incontrandosi a Soči con Vladimir Putin, si sarebbe fatto portavoce del suo omonimo ucraino e gli avrebbe “rivelato” il succo di una conversazione telefonica, in cui Petro si sarebbe detto disposto a giungere a un compromesso sulla questione del Donbass. I rapporti di forza alla Rada suprema, avrebbe piagnucolato Petro, non consentono al presidente di far approvare la legge sullo status speciale del Donbass; “quindi, si dovrà decidere su altre questioni, ma, io credo”, avrebbe detto Nazarbaev, che egli – cioè Petro – “sarebbe propenso a trovare dei compromessi, che però, per qualche ragione, non si trovano”. Punto. Non è chiaro se questa rappresenti una sorta di richiesta di aiuto rivolta a Putin da Porošenko, attaccato dagli oppositori interni – nel qual caso, notano gli osservatori, Petro dovrebbe agire alla maniera di Erdoğan, cioè riconoscere la Crimea russa, ammettere che l'aggressore è l'Ucraina e non la Russia e che l'Ucraina è diventata uno stato terrorista, riconoscere che come presidente Porošenko è zero e infine scusarsi con Putin. Ma questo Porošenko non lo farà mai – oppure se le dichiarazioni di Putin, secondo cui la diversione ucraina in Crimea rende impossibile un incontro del “quartetto normanno”, abbiano spinto Merkel-Hollande a chiedere a Petro e, tramite lui a Nazarbaev e poi da lui, in definitiva, a Vlaimir Vladimirovič, di non affossare l'unico passo di politica estera cui il duo franco-tedesco possa dire di aver contribuito. Anche se ha contribuito a ben poco, visti i risultati degli accordi di Minsk.
Comunque sia, nel corso dell'incontro col collega tedesco Frank-Walter Steinmeier a Ekaterinburg, lo scorso 15 agosto, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov aveva dichiarato che Mosca dispone di “prove incontrovertibili” che le azioni in Crimea costituissero “una diversione pianificata da tempo dall'intelligence del Ministero della difesa ucraino con l'obiettivo di destabilizzare la situazione” nella penisola. Vladislav Maltsev, su rusvesna.ru, ricorda che l'assistente del Segretario del Consiglio di sicurezza ucraino, Jurij Tandit, alla vigilia della diversione in Crimea, aveva dichiarato a depo.ua che la creazione e l'impiego attivo delle Forze per le Operazioni Speciali (SSO), approvati a luglio dalla Rada con Legge 4795, servono allo sviluppo della situazione in Donbass e Crimea. Tali SSO “possono essere impiegate per azioni di resistenza nelle retrovie nemiche, operazioni informativo-psicologiche militari, lotta a terrorismo e pirateria fuori dei confini dell'Ucraina”. Per qualificare i nuovi reparti e la loro composizione (anche ex squadristi di UNA-UNSO), nota Maltsev, basti pensare che hanno adottato la medesima simbologia dei reparti di SS “Verwolf”, impiegati a suo tempo dai nazisti per le operazioni dietro le linee dell'Armata Rossa e poi nelle Ardenne.
D'altronde, la linea di “difesa” ucraina, come rivelato a novorosinform.org da una fonte anonima di Kiev, consiste nel dichiarare che tutta l'operazione in Crimea è stata opera di patrioti radicali, senza rapporti col governo. Ciò dovrebbe controbattere le prove fornite dal FSB russo, secondo cui la diversione è stata messa a punto dal direttore del 37° battaglione della 56° Brigata dello spionaggio militare ucraino, capitano Vladimir Serdjuk, il quale per ben tre volte, prima dell'operazione, aveva effettuato sopralluoghi nella regione di Kherson.
Ma, a parere del presidente del Centro russo di analisi sistemica, Rostislav Iščenko, tutte le azioni ucraine degli ultimissimi mesi portano a concludere che Kiev si stia preparando alla guerra vera e propria e che i gruppi radicali mirino al potere acuendo le tensioni nel Donbass. Kiev, scrive Iščenko sulle Izvestija del 15 agosto, dopo alcuni mesi di bombardamenti sempre crescenti sul Donbass, sta ora facendo avanzare, dall'interno verso la linea di separazione con le milizie e verso la frontiera con la Crimea, interi gruppi di corazzati e artiglieria pesante. La guerra è necessaria: a Porošenko, per cercare di riunire intorno a sé, con il pretesto di “respingere l'aggressione”, quella parte di majdan che ultimamente risulta insoddisfatta della debolezza del presidente e minaccia un colpo di stato. E' necessaria ai suoi oppositori, che pensano così di togliergli anche gli ultimi appoggi esterni ed eliminarlo dalla scena. La preparazione alla guerra, per cercare di distogliere l'attenzione dal completo crack economico, nota Iščenko, è dimostrata anche dall'inasprimento delle repressioni interne contro chiunque manifesti il minimo segno di orientamento “filorusso” o critichi semplicemente il governo, anche da posizioni proamericane. Dove per via “ufficiale” non può arrivare il SBU, anche con le sue prigioni segrete, per la notorietà dei personaggi da far scomparire, agiscono gli squadroni di Pravyj Sektor, da cui il governo può pur sempre ufficialmente dissociarsi. La leadership ucraina si sbaglia però su tre punti, conclude Iščenko: l'Occidente non la sosterrà realmente in una guerra aperta con la Russia e si limiterà a qualche vaga dichiarazione; in ogni caso, al 99% la Russia non accetterà comunque le ostilità; in terzo luogo, i nazisti possono contribuire a iniziare una nuova guerra nel Donbass, possono organizzare decine di provocazioni al confine con la Crimea, possono far piazza pulita degli antifascisti e possono contribuire a rovesciare Porošenko. Ma nessuno sarà più in grado di controllarli e non lasceranno per la seconda volta il potere alle "persone oneste": faranno piazza pulita degli oligarchi con non meno piacere che degli antifascisti. Così che l'Ucraina non solo è sull'orlo di una ripresa di guerra civile nel Donbass, ma anche sull'orlo di un collasso e dell'allargamento del conflitto civile a tutto il paese.
Anche il corrispondente di guerra Gennadij Dubovij, su Novorosinform, sebbene non ritenga la diversione in Crimea legata a un particolare momento (altri l'avevano invece associata al tentativo di infrangere il quasi riavvicinamento russo-turco), ritiene che Kiev sia comunque orientata verso la guerra e che le neocostituite Forze Speciali (SSO) dovessero dimostrare qualche risultato ai loro istruttori Nato. Acconto a ciò, si cercava di spingere Mosca a una reazione forzata, per accreditare la tesi della presenza russa nel Donbass: la reazione occidentale, afferma Dubovyj, con il pieno appoggio all'Ucraina, risponde a quella tesi. La prossima volta potrebbe accadere nei paesi baltici: bisogna dimostrare a tutti i costi la presenza di truppe russe, magari inscenando alcuni cadaveri con uniformi appropriate e la “minaccia russa” viene così “dimostrata”. Il tutto, nella cornice del celebre aforisma pronunciato 22 anni fa dal “patriarca” della politica estera USA, Zbigniew Brzezinski: “Senza l'Ucraina, la Russia cessa di essere un impero. Con l'Ucraina, prima subornata e poi sottomessa, la Russia si trasforma automaticamente in un impero”. Faranno di tutto, afferma Dubovyj, perché l'Ucraina si contrapponga alla Russia: in 25 anni di “indipendenza” è nata una generazione di russofobi; ancora una decina d'anni e un'altra generazione considererà i russi inviati da Satana. Occorre risolvere radicalmente il problema; non con la guerra, ma con la creazione di otto province della Novorossija: tutta la regione costiera del mar Nero, il Donbass e la Crimea; questo sarà il “cordone” che noi opporremo al “cordone sanitario” che l'Occidente tenta da sempre di crearci intorno. Otto province, industrializzate e il resto dell'Ucraina si ridurrà a una regione agricola, nient'altro che un'Albania un po' più grande.
Del resto, lo sfruttamento delle zone agricole dell'Ucraina occidentale e delle risorse strategiche del suo territorio, non è quello cui miravano i tutori occidentali di euromajdan?
Il fatto è questo: il perenne e scaltro presidente kazakho Nursultan Nazarbaev, incontrandosi a Soči con Vladimir Putin, si sarebbe fatto portavoce del suo omonimo ucraino e gli avrebbe “rivelato” il succo di una conversazione telefonica, in cui Petro si sarebbe detto disposto a giungere a un compromesso sulla questione del Donbass. I rapporti di forza alla Rada suprema, avrebbe piagnucolato Petro, non consentono al presidente di far approvare la legge sullo status speciale del Donbass; “quindi, si dovrà decidere su altre questioni, ma, io credo”, avrebbe detto Nazarbaev, che egli – cioè Petro – “sarebbe propenso a trovare dei compromessi, che però, per qualche ragione, non si trovano”. Punto. Non è chiaro se questa rappresenti una sorta di richiesta di aiuto rivolta a Putin da Porošenko, attaccato dagli oppositori interni – nel qual caso, notano gli osservatori, Petro dovrebbe agire alla maniera di Erdoğan, cioè riconoscere la Crimea russa, ammettere che l'aggressore è l'Ucraina e non la Russia e che l'Ucraina è diventata uno stato terrorista, riconoscere che come presidente Porošenko è zero e infine scusarsi con Putin. Ma questo Porošenko non lo farà mai – oppure se le dichiarazioni di Putin, secondo cui la diversione ucraina in Crimea rende impossibile un incontro del “quartetto normanno”, abbiano spinto Merkel-Hollande a chiedere a Petro e, tramite lui a Nazarbaev e poi da lui, in definitiva, a Vlaimir Vladimirovič, di non affossare l'unico passo di politica estera cui il duo franco-tedesco possa dire di aver contribuito. Anche se ha contribuito a ben poco, visti i risultati degli accordi di Minsk.
Comunque sia, nel corso dell'incontro col collega tedesco Frank-Walter Steinmeier a Ekaterinburg, lo scorso 15 agosto, il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov aveva dichiarato che Mosca dispone di “prove incontrovertibili” che le azioni in Crimea costituissero “una diversione pianificata da tempo dall'intelligence del Ministero della difesa ucraino con l'obiettivo di destabilizzare la situazione” nella penisola. Vladislav Maltsev, su rusvesna.ru, ricorda che l'assistente del Segretario del Consiglio di sicurezza ucraino, Jurij Tandit, alla vigilia della diversione in Crimea, aveva dichiarato a depo.ua che la creazione e l'impiego attivo delle Forze per le Operazioni Speciali (SSO), approvati a luglio dalla Rada con Legge 4795, servono allo sviluppo della situazione in Donbass e Crimea. Tali SSO “possono essere impiegate per azioni di resistenza nelle retrovie nemiche, operazioni informativo-psicologiche militari, lotta a terrorismo e pirateria fuori dei confini dell'Ucraina”. Per qualificare i nuovi reparti e la loro composizione (anche ex squadristi di UNA-UNSO), nota Maltsev, basti pensare che hanno adottato la medesima simbologia dei reparti di SS “Verwolf”, impiegati a suo tempo dai nazisti per le operazioni dietro le linee dell'Armata Rossa e poi nelle Ardenne.
D'altronde, la linea di “difesa” ucraina, come rivelato a novorosinform.org da una fonte anonima di Kiev, consiste nel dichiarare che tutta l'operazione in Crimea è stata opera di patrioti radicali, senza rapporti col governo. Ciò dovrebbe controbattere le prove fornite dal FSB russo, secondo cui la diversione è stata messa a punto dal direttore del 37° battaglione della 56° Brigata dello spionaggio militare ucraino, capitano Vladimir Serdjuk, il quale per ben tre volte, prima dell'operazione, aveva effettuato sopralluoghi nella regione di Kherson.
Ma, a parere del presidente del Centro russo di analisi sistemica, Rostislav Iščenko, tutte le azioni ucraine degli ultimissimi mesi portano a concludere che Kiev si stia preparando alla guerra vera e propria e che i gruppi radicali mirino al potere acuendo le tensioni nel Donbass. Kiev, scrive Iščenko sulle Izvestija del 15 agosto, dopo alcuni mesi di bombardamenti sempre crescenti sul Donbass, sta ora facendo avanzare, dall'interno verso la linea di separazione con le milizie e verso la frontiera con la Crimea, interi gruppi di corazzati e artiglieria pesante. La guerra è necessaria: a Porošenko, per cercare di riunire intorno a sé, con il pretesto di “respingere l'aggressione”, quella parte di majdan che ultimamente risulta insoddisfatta della debolezza del presidente e minaccia un colpo di stato. E' necessaria ai suoi oppositori, che pensano così di togliergli anche gli ultimi appoggi esterni ed eliminarlo dalla scena. La preparazione alla guerra, per cercare di distogliere l'attenzione dal completo crack economico, nota Iščenko, è dimostrata anche dall'inasprimento delle repressioni interne contro chiunque manifesti il minimo segno di orientamento “filorusso” o critichi semplicemente il governo, anche da posizioni proamericane. Dove per via “ufficiale” non può arrivare il SBU, anche con le sue prigioni segrete, per la notorietà dei personaggi da far scomparire, agiscono gli squadroni di Pravyj Sektor, da cui il governo può pur sempre ufficialmente dissociarsi. La leadership ucraina si sbaglia però su tre punti, conclude Iščenko: l'Occidente non la sosterrà realmente in una guerra aperta con la Russia e si limiterà a qualche vaga dichiarazione; in ogni caso, al 99% la Russia non accetterà comunque le ostilità; in terzo luogo, i nazisti possono contribuire a iniziare una nuova guerra nel Donbass, possono organizzare decine di provocazioni al confine con la Crimea, possono far piazza pulita degli antifascisti e possono contribuire a rovesciare Porošenko. Ma nessuno sarà più in grado di controllarli e non lasceranno per la seconda volta il potere alle "persone oneste": faranno piazza pulita degli oligarchi con non meno piacere che degli antifascisti. Così che l'Ucraina non solo è sull'orlo di una ripresa di guerra civile nel Donbass, ma anche sull'orlo di un collasso e dell'allargamento del conflitto civile a tutto il paese.
Anche il corrispondente di guerra Gennadij Dubovij, su Novorosinform, sebbene non ritenga la diversione in Crimea legata a un particolare momento (altri l'avevano invece associata al tentativo di infrangere il quasi riavvicinamento russo-turco), ritiene che Kiev sia comunque orientata verso la guerra e che le neocostituite Forze Speciali (SSO) dovessero dimostrare qualche risultato ai loro istruttori Nato. Acconto a ciò, si cercava di spingere Mosca a una reazione forzata, per accreditare la tesi della presenza russa nel Donbass: la reazione occidentale, afferma Dubovyj, con il pieno appoggio all'Ucraina, risponde a quella tesi. La prossima volta potrebbe accadere nei paesi baltici: bisogna dimostrare a tutti i costi la presenza di truppe russe, magari inscenando alcuni cadaveri con uniformi appropriate e la “minaccia russa” viene così “dimostrata”. Il tutto, nella cornice del celebre aforisma pronunciato 22 anni fa dal “patriarca” della politica estera USA, Zbigniew Brzezinski: “Senza l'Ucraina, la Russia cessa di essere un impero. Con l'Ucraina, prima subornata e poi sottomessa, la Russia si trasforma automaticamente in un impero”. Faranno di tutto, afferma Dubovyj, perché l'Ucraina si contrapponga alla Russia: in 25 anni di “indipendenza” è nata una generazione di russofobi; ancora una decina d'anni e un'altra generazione considererà i russi inviati da Satana. Occorre risolvere radicalmente il problema; non con la guerra, ma con la creazione di otto province della Novorossija: tutta la regione costiera del mar Nero, il Donbass e la Crimea; questo sarà il “cordone” che noi opporremo al “cordone sanitario” che l'Occidente tenta da sempre di crearci intorno. Otto province, industrializzate e il resto dell'Ucraina si ridurrà a una regione agricola, nient'altro che un'Albania un po' più grande.
Del resto, lo sfruttamento delle zone agricole dell'Ucraina occidentale e delle risorse strategiche del suo territorio, non è quello cui miravano i tutori occidentali di euromajdan?
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