A leggere le più recenti dichiarazioni di certi leader occidentali sembra proprio che la Turchia sia riuscita a costringere alcuni importanti attori internazionali ad abbassare la cresta, dopo che all’indomani del fallito golpe del 15 luglio – di certo non osteggiato da Bruxelles e Washington – sembrava si stesse arrivando ad una rottura del regime di Erdogan con Stati Uniti e Unione Europea.
Durante il fine settimana nella capitale turca c’è stato un vero e proprio pellegrinaggio all’insegna della ricucitura di esponenti europei e statunitensi. “Apprezziamo gli sforzi crescenti della Turchia nella lotta contro Daesh. La Turchia ha il diritto di difendersi. Ci sono stati molti attacchi terroristici provenienti dal lato siriano" ha detto alla tv privata Ntv il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, al suo arrivo in Turchia. Dello stesso tono la dichiarazione dell’Alto Rappresentante dell’UE, Federica Mogherini: "Abbiamo espresso solidarietà e il massimo rispetto per come il popolo e le istituzioni turche hanno difeso la democrazia durante il colpo di stato in Turchia. Per l'Unione europea non c'è spazio per alcun tentativo di colpo di stato militare”. “Sosteniamo le legittime istituzioni turche e nel pomeriggio visiteremo il Parlamento" bombardato durante il tentativo di colpo di stato, ha annunciato venerdì Mogherini, sorvolando sul fatto che da quel 15 luglio sono passati praticamente due mesi.
Intanto, mentre centinaia di carri armati e di membri delle forze speciali turche restano nel nord della Siria dopo l’invasione iniziata il 24 agosto, all’interno continua il contro-golpe scatenato dal governo approfittando del fallimento dei militari che hanno maldestramente tentato di impossessarsi del potere.
I numeri e la ‘qualità’ della repressione sono impressionanti. Nel mirino del regime islamo-nazionalista sono finiti recentemente ancora i curdi, gli insegnanti, gli intellettuali critici o indipendenti.
Anche se il presidente Erdogan ha definito giovedì quella in corso “la più vasta operazione contro il Pkk”, in realtà a subirne le conseguenze non sono stati i guerriglieri curdi. Mentre in altri 13 villaggi della provincia di Diyarbakir è stato imposto il coprifuoco vari esponenti del Partito Democratico dei Popoli (curdi più alcune organizzazioni della sinistra turca) sono finiti in manette. Tra questi Alp Antinors, vicesegretario della formazione politica che il regime sta perseguitando e riducendo all’impotenza, anche se per ora evita di ricorrere alla messa fuori legge per non creare un ulteriore motivo di attrito con Ue e Usa. Altinors è stato arrestato poco prima di partire per Napoli dove avrebbe dovuto partecipare ad un festival organizzato all’Ex Opg alla presenza del sindaco De Magistris.
Contemporaneamente il regime ha deciso di destituire i governatori e i sindaci curdi di ben 28 tra comuni e province – da Sur a Silvan, da Batman ad Hakkari, da Nusaybin a Suruc, da Cizre a Silopi – accusati di aver incitato alla ribellione attraverso le ‘dichiarazioni di auto-governo’ e di sostenere il Pkk. Poliziotti, militari e funzionari inviati dal ministro degli Interni Suleyman Soylu stanno letteralmente invadendo e occupando le sedi delle diverse amministrazioni pubbliche oggetto del provvedimento che cancella la democrazia formale nel Kurdistan turco, sostituendo gli amministratori eletti democraticamente alle ultime elezioni (con percentuali andate all’Hdp che vanno dal 65 al 95%) con dei fedeli esponenti del regime. Qualche giorno prima otto deputati statali dell’Hdp sono stati raggiunti da un mandato di comparizione e rischiano l’arresto per ‘appartenenza ad un gruppo terroristico’ dopo che una legge votata dal docile parlamento di Ankara ha cancellato l’immunità parlamentare.
Nel frattempo la polizia in assetto antisommossa ha attaccato un corteo di alcune centinaia di persone che a Diyarbakir protestava pacificamente davanti alla locale sede del Ministero dell’Istruzione contro la sospensione – di fatto un licenziamento – decisa dal governo di 11.700 insegnanti considerati vicini ai ‘separatisti curdi’. I manifestanti, per lo più membri del sindacato della scuola Egitim-Sen al quale appartengono molti degli epurati, sono stati aggrediti con lacrimogeni e cannoni ad acqua, e alla fine 40 di loro sono finiti in cella.
Durante il fine settimana sono stati arrestati anche il noto giornalista e romanziere turco Ahmet Altan e suo fratello, il professore universitario ed economista Mehmet Altan, accusati di aver implicitamente incitato al golpe nel corso di una trasmissione televisiva andata in onda il 14 luglio, il giorno precedente alla sollevazione militare. Alla trasmissione del canale Can Erzincan aveva preso parte anche la giornalista Nazli Ilicak, arrestata poi a fine luglio insieme a decine di colleghi, tutti accusati di legami con il predicatore Fethullah Gulen, indicato da Ankara come l’ispiratore del putsch. Ahmet Altan, autore di romanzi tradotti in molte lingue, è stato caporedattore del quotidiano liberale turco Taraf per cinque anni, ed è stato processato molte volte a causa delle sue prese di posizione: nel 1990 per aver cercato di sostenere la necessità di un’apertura nei confronti della popolazione curda; poi per aver chiesto all’allora primo ministro di scusarsi pubblicamente per il massacro di Roboski del 2011, quando alcuni caccia turchi bombardarono un villaggio curdo uccidendo 34 persone. Lo scorso due di settembre si era dovuto di nuovo presentare in tribunale, accusato di aver rivelato dei segreti di stato.
I tentacoli della repressione turca arrivano anche all’estero. Mentre il Ministero dell’Educazione di Ankara ha ritirato e mandato al macero 58 libri considerati il frutto della propaganda della confraternita Hizmet (quella guidata da Gulen) il quotidiano Zaman, commissariato a marzo dal regime di Erdogan, ha annunciato la fine delle pubblicazioni dell’edizione tedesca, dopo aver fatto lo stesso qualche settimana fa con le edizioni precedentemente pubblicate in Belgio e in Francia.
Da segnalare che Ankara torna di nuovo alla carica nei confronti di Washington, chiedendo per la prima volta ufficialmente agli Stati Uniti di arrestare Fethullah Gulen accusato formalmente di "aver ordinato e diretto il fallito colpo di stato". Il mese scorso il tribunale di Istanbul aveva spiccato un mandato di cattura per Gulen che dal canto suo continua ovviamente a negare qualsiasi coinvolgimento nel fallito tentativo di rovesciare con la forza il regime erdoganiano.
Marco Santopadre
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