“Potrà essere questione di giorni, settimane o mesi, ma alla fine Mosul cadrà”. Così ha concluso un suo recente articolo Robert Fisk, giornalista del quotidiano The Indipendent e profondo conoscitore del Medio Oriente.
Il proclama vittorioso di lunedì del premier iracheno Al Abadi sull’inizio dell’offensiva per la riconquista di Mosul si fonda, infatti, su informazioni ormai certe relative alla capitolazione della seconda città irachena. Una constatazione da fare visto che, in base alle informazioni della coalizione contro Daesh, tutti i principali quadri militari dell’organizzazione jihadista, Al Baghdadi compreso, hanno abbandonato la città in direzione della Siria. Una ritirata favorita, come già scritto su Contropiano, dagli USA e dai suoi alleati nella regione (sauditi e turchi) perché un simile esodo (si parla di almeno 4mila uomini) favorirebbe una ripresa dei combattimenti da parte di Daesh in territorio siriano e metterebbe in discussione le recenti conquiste di Damasco. Un ripiegamento condiviso dallo stesso governo iracheno che sta circondando Mosul su tre lati (nord, est e sud) lasciando libera la parte occidentale che porta direttamente verso il confine siriano.
Secondo le fonti dell’intelligence curda, le milizie salafite rimaste all’interno della città sarebbero composte da circa 6 mila jihadisti stranieri. Le ultime direttive del califfo sono chiare: resistere all’avanzata attraverso l’utilizzo di auto-bomba e trappole dinamitarde, utilizzare i civili come scudi umani, causare il maggior numero possibile di perdite durante l’avanzata per favorire la ritirata dei miliziani. Le fonti che giungono dalla città parlano anche di numerose esecuzioni di jihadisti, visto il clima di imminente sconfitta.
Mosca e Damasco hanno dichiarato le loro preoccupazioni circa un simile esodo verso il territorio siriano. Le perplessità sono state riportate sia al governo iracheno di Al Abadi, loro alleato nella regione sia, soprattutto, alla coalizione a guida USA. In un’intervista rilasciata all’agenzia RT, il capo di stato maggiore russo, Valeri Guerassimov, ha dichiarato che “l’operazione di riconquista di Mosul non deve essere quella di cacciare i miliziani dall’Iraq verso la Siria, ma di distruggerli definitivamente”. Le stesse informazioni relative ad un parziale accerchiamento della città vengono monitorate costantemente “dai satelliti e dalle forze aeree russe che seguono l’evoluzione dell’avanzata”. Il governo di Damasco ha ammonito la “Coalizione occidentale”, con peshmerga e turchi sul campo, a “non favorire la ritirata di Daesh verso la Siria” visto che “il superamento dei confini è un attacco alla sovranità nazionale e sarà contrastata con tutti i mezzi possibili”.
Perplessità e dubbi circa le reali intenzioni di Washington vengono esplicitate da esponenti dell’Hasced Shaabi (Forze di Mobilitazione Popolare o FMP) irachene che in un comunicato ufficiale dichiarano che “gli USA favoriscono lo spostamento di miliziani di Daesh verso Raqqa, attraverso l’azione di disturbo delle truppe turche nella parte settentrionale della città”. Le preoccupazioni siriane, russe e irachene sono confermate, infatti, dai recenti episodi avvenuti durante la riconquista di Falluja: in quell’occasione l’aviazione statunitense non intervenne per non colpire le colonne di miliziani che si ritiravano verso il territorio siriano.
Altro elemento di analisi, riportato da tutti i quotidiani, è quello relativo alle garanzie da parte del governo iracheno dell’”ingresso a Mosul esclusivamente da parte delle truppe regolari irachene”. Scelta voluta non tanto per evitare possibili frizioni tra sunniti e sciiti, ma soprattutto, per evitare l’ingresso di truppe curde o turche, sempre pronte a sedersi al tavolo dei negoziati per la spartizione delle risorse petrolifere dell’area della provincia di Ninive con Mosul capitale. Il superamento delle rivalità tra sunniti e sciiti, del resto, è stato uno dei punti di forza del governo di Al Abadi con la formazione delle FMP ed il coinvolgimento, quindi, di milizie sunnite: strategia vincente che ha portato alla rapida riconquista di gran parte della regione di Anbar (Tikrit, Ramadi e Falluja).
Il premier russo, Vladimir Putin, ha avuto contatti telefonici sia con il primo ministro iracheno Al Abadi sia con Erdogan. In un comunicato ufficiale il Cremlino “esprime il suo sostegno all’alleato iracheno per una risolutiva sconfitta del terrorismo internazionale, auspicando un ritorno ad una definitiva integrità territoriale da parte delle autorità irachene”. Un simile comunicato sembra, forse, un messaggio indiretto alla Turchia, nuovo partner economico russo, circa una linea “rossa” da non superare in territorio iracheno. La Russia, ad oggi vero interlocutore che può fare la differenza nella regione, tenta di arginare le reali finalità della coalizione a guida americana: spostare migliaia di guerriglieri di Daesh in Siria, senza realmente combatterli o eliminarli, per ricreare una situazione di disintegrazione nello stato siriano e vanificare le conquiste ottenute da Damasco e dai suoi alleati.
Nonostante gli obiettivi americani siano sempre più palesi agli occhi del mondo, il presidente americano Obama ha affermato “che l’offensiva per liberare Mosul sarà difficile anche se sono convinto che Mosul verrà ripresa e questo sarà un nuovo passo verso la distruzione definitiva di Daesh”. Come sempre le dichiarazioni di facciata del presidente americano corrispondono all’opposto delle reali strategie portate avanti da Washington.
Stefano Mauro
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