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La fuga di Janukovic di fronte a majdan

Si è tenuto ieri a Minsk l'ennesimo incontro del cosiddetto Quartetto normanno, a livello di Ministri degli esteri di Francia, Germania, Russia e Ucraina. Ancora una volta, la discussione tra Jean-Marc Ayrault, Frank-Walter Steinmeier, Sergej Lavrov e Pavel Klimkin, a proposito della road map per una soluzione pacifica nel Donbass, è finita in un vicolo cieco.

Nelle stesse ore, l'ex presidente ucraino Viktor Janukovič teneva una conferenza stampa presso la sede della Tass di Rostov sul Don, per illustrare le linee essenziali delle sei ore di videoconferenza durante le quali aveva esposto, ai “giudici” di Kiev, la sua versione su quanto avvenuto a majdan, prima e dopo il febbraio 2014, fino alla sua fuga dall'Ucraina, per sfuggire a una fine quasi certa, sua e della sua famiglia.

Inizialmente prevista per il 25 novembre, l'udienza era stata rinviata a causa dei gruppi neonazisti che assediavano il tribunale, minacciando di “farla finita” con i miliziani del Berkut che, agli arresti, avrebbero dovuto esservi condotti per il processo. Proprio a proposito del Berkut, che i golpisti accusano per i morti di majdan, Janukovič ha dichiarato che, al contrario, i primi a incitare al ricorso alle armi furono gli attuali caporioni di Kiev. Ma non ha fatto nomi durante il processo (li ha fatti solamente dopo, durante la conferenza stampa: Parubij, Turčinov, Pašinskij, Parasjuk, Kličkò, Škirjak, Navajličenko, il generale Gvozd e, primo tra i primi, l'attuale procuratore capo ucraino Jurij Lutsenko) e così l'elettrotecnico Jurij Lutsenko è immediatamente passato all'attacco e ieri l'altro ha accusato Janukovič di “tradimento, complicità con le autorità russe allo scopo di cambiare i confini ucraini e scatenare una guerra di aggressione". L'ex presidente ha anche ribadito di non aver mai rinunciato all'idea della “eurointegrazione”: anzi, nel corso della successiva conferenza stampa, ha tenuto a precisare che “noi abbiamo condotto una politica di eurointegrazione forse più attivamente di qualsiasi altro governo in tutti gli anni dell'indipendenza”!

Chiamato a testimoniare sui fatti del febbraio 2014, Janukovič ha dichiarato di non essersi mai svestito dei poteri presidenziali, che la risoluzione della Rada del 22 febbraio 2014 sulla "volontaria dismissione dei poteri presidenziali", è illegale, perché egli, a quel tempo, si trovava ancora in territorio ucraino; inoltre, le sparatorie a piazza Indipendenza nel febbraio 2014 furono un'operazione pianificata per rovesciare il governo legittimo e in esse furono coinvolti i partiti ultradestri e oligarchici, con Pravyj Sektor e Svoboda che si inserirono nella cosiddetta “autodifesa di majdan” e dettero il via alle violenze. Ma, soprattutto, l'ex presidente ha detto di non aver dato l'ordine di sparare e, casomai, il Berkut può essere accusato di eccesso di potere, anche se egli non è d'accordo a indicare la milizia, come fanno ora i “giudici” di Kiev, quale unica responsabile per quegli avvenimenti.

Proprio nell'incolpare il Berkut di eccesso di potere, scriveva però ieri Oleg Tsarëv su news-front.info, Janukovič ha definitivamente dimostrato la propria “disutilità e io ho provato vergogna” per il suo comportamento durante l'udienza. Al contrario, afferma Tsarëv, “lui, come testimone per la difesa, avrebbe dovuto fare una dichiarazione in difesa dei ragazzi che proteggevano non solo il paese, ma lui personalmente. Mi sono vergognato per lui, che ha chiesto perdono all'indirizzo sbagliato. Avrebbe dovuto chiedere perdono alle famiglie dei Berkut morti, a cui non furono date le armi, nemmeno dopo che erano stati assaltati i depositi di armi nelle caserme del Servizio di sicurezza e del Ministero degli interni. Avrebbe dovuto chiedere perdono a tutti coloro che sono morti dopo la vittoria di majdan, ai bruciati vivi nella Casa dei sindacati a Odessa, al Donbass bombardato, alle migliaia di prigionieri politici. Doveva chiedere perdono a dio e al popolo per non aver stabilito l'ordine nel paese: e avrebbe potuto farlo, come Allende o Assad”.

Dunque, dice Tsarëv, invano a Kiev si temeva il processo: si temeva che non Janukovič sarebbe stato interrogato, ma che egli avrebbe interrogato i suoi accusatori, che avrebbe fatto i nomi dei responsabili di majdan, portando alle estreme conseguenze la lotta a coltello per il potere che, appena poche settimane fa, faceva temere Porošenko per un nuovo golpe contro di lui. E invece Janukovič si è limitato a balbettare che “dei cecchini che sparavano dagli edifici controllati dall'opposizione io lo appresi dai media…non ho prove… non posso fare nessun nome concreto… le azioni del Berkut furono per me una completa sorpresa…”.

Il processo, che poteva trasformarsi “in un giudizio sul governo di Kiev, è sprofondato invano. Janukovič vi è apparso non come un capo di stato che condanna impostori, ladri e assassini, ma come un piccolo criminale, che fa di tutto per proteggere se stesso. La cosa peggiore è che, con il suo comportamento, ha dimostrato serietà e rispetto verso il tribunale delle nuove autorità ucraine”.

Ha rincarato la dose il segretario del CC del Partito Comunista della DNR, Boris Litvinov, secondo cui è una vergogna che l'ex capo dello stato abbia scaricato la responsabilità per le azioni delle forze di sicurezza solo su di esse e il loro comando ed è stato “disgustoso ascoltare le spiegazioni biascicate dell'ex presidente”. Il Berkut stava adempiendo ai propri doveri, ha detto Litvinov a Novorosinform, ma “quella pappa gelatinosa che abbiamo udito da Janukovič durante l'interrogatorio, ha suscitato disgusto”. Anche l'ex Ministro degli interni “Vitalij Zakharčenko, nella deposizione, ha ricordato come il Berkut, a volte senza cibo, sotto pressione, nelle condizioni più difficili, avesse fatto il proprio dovere. E il fatto che invece sia stato così tradito dall'ex presidente, è una vergogna per l'Ucraina. Oggi, nessuno lo considera più presidente: nemici o alleati, nessuno". Litvinov ha portato l'esempio di Fidel: “ecco un presidente! Anche Allende, quando i colonnelli neri iniziarono il golpe, egli, insieme ai difensori dell'ordine costituzionale, prese il mitra e si difese. Anche oggi, Allende rimane presidente. Janukovič ha perso il diritto di chiamarsi presidente".

Ma Njura Berg, su Antifascist, sposta un po' i termini della questione. Alcuni odiano Janukovič “per non aver disperso majdan, per esser fuggito” scrive; “altri perché personificava gli aspetti da essi più odiati, anche se proprio essi lo dovrebbero adorare, per non aver gettato olio sul fuoco, non averli dispersi con la spada, esser scappato e aver donato loro il paese”. Ma, a ben guardare, scrive Berg, “l'ideologia di trasformare l'Ucraina nell'Antirussia era stata coltivata abilmente, per radicarla tra le masse. Avrebbe potuto  Janukovič far girare indietro il tritacarne? Sì, avrebbe potuto liquidare qualche manager, spostarne altri, ma le radici erano già solide e quella ideologia si era già impiantata nelle menti”. E, per quanto riguarda majdan, “avrebbe potuto disperderla, come ci si aspettava, con mano ferma, con la forza, con le armi. Ma, e poi? Pensate davvero che tutto si sarebbe calmato e i radicali sarebbero pacificamente andati a disegnare svastiche sui loro cuscini? Poteva egli fermare il tutto, quando in Galizia già si saccheggiavano i depositi di armi? In teoria, sì, introducendo là l'Azione antiterrorismo. Ma, gli erano fedeli le forze di sicurezza? E i suoi compagni, erano con lui? Conoscete le risposte. Anche quando accettò di tenere elezioni nel dicembre 2014, maidan non fu annullata. Cartagine doveva essere distrutta, e fu distrutta. I legami con la Russia dovevano essere spezzati e lo furono. L'Ucraina doveva diventare un vassallo assoluto dell'Ovest e lo divenne. La gravidanza durava da 25 anni e si concluse con un mostro chiamato majdan. E' accaduto esattamente ciò che doveva accadere; e il fatto che Janukovič si sia comportato come un codardo avido, è solo un dettaglio; che, tuttavia, non lo rende migliore di un millimetro”. Il progetto “Antirussia”, conclude Berg, è stato “scritto in paesi lontani. I suoi ideatori vi si erano ben preparati e, per anni, avevano alimentato a sazietà i direttori esecutivi e la massa degli esecutori. Avrebbe potuto resistere la nostra Cartagine? Qualcuno avrebbe potuto infrangere questo piano gigantesco?”.

Se il quadro così disegnato da Berg ha fondamento per la parte oggettiva della questione, rimane però la constatazione che, per molti versi e con atteggiamenti diversi nella leadership ucraina di allora, la tragedia poi toccata in sorte al Donbass avrebbe potuto essere evitata e decine di migliaia di civili non cadere sotto il piombo dei battaglioni neonazisti. Anche per questo, la quasi totalità degli abitanti della DNR, secondo un'indagine di dnr-news.com, ha solo un'opinione negativa dell'ex presidente, che non ha armato il Berkut per disperdere i nazisti di majdan, è poi fuggito lasciando il Donbass alla mercé di quei nazisti e oggi parla di una riunione del Donbass all'Ucraina.

Una riunione che, certo, a Kiev intendono alla loro maniera; alla maniera dell'ex deputato Eduard Leonov, che propone di isolare in speciali campi di concentramento gli abitanti del Donbass che simpatizzano per le Repubbliche popolari, per “rieducarli”.

Alla faccia della eurodemocrazia.

 

Fabrizio Poggi

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