Abu Bakr Al Baghdadi, guida spirituale e politica di Daesh, si troverebbe a Raqqa nell’autoproclamata capitale siriana dell’ISIS. La notizia, trasmessa dall’agenzia stampa iraniana ISNA, riporta le dichiarazioni del generale delle forze speciali irachene, Abdul Gani Al Asadi, circa l’attuale situazione degli scontri contro lo Stato Islamico in Iraq e Siria. “Molti comandanti militari di Daesh sono morti negli scontri a Mosul o sono fuoriusciti dalla città” – afferma il generale – “ e le nostre truppe hanno riconquistato in tre mesi di combattimenti tutta la parte orientale della città”.
Il quotidiano britannico The Guardian confermerebbe la notizia aggiungendo che “il leader dell’ISIS ha abbandonato la città di Mosul verso Raqqa e continuerebbe a incitare, attraverso i social media, i suoi seguaci a continuare la lotta contro tutte le forze dei “miscredenti” in Siria ed Iraq”.
Dalle informazioni diffuse dai media mediorientali, Al Baghdadi avrebbe lasciato diverse tracce del suo passaggio. Dopo aver abbandonato la città di Mosul, il leader radicale, sarebbe passato dalla provincia di Ninive nelle città di Tel Afar e Al Baaj lungo il confine siro-iracheno. Negli ultimi giorni si sarebbero, infatti, intensificati i bombardamenti della coalizione anti-ISIS, sia statunitensi che russi, su tutta l’area tra la parte occidentale irachena e quella orientale siriana. Attacchi talmente intensi da far affermare a fonti degli apparati di sicurezza irachena che “si dispone di informazioni abbastanza sicure circa il fatto che Al Baghdadi sia stato ferito durante i bombardamenti sulla città di Al Baaj con altri dirigenti e capi militari”.
La fuga o la morte dei principali comandanti militari jihadisti è legata, inoltre, alla manovra di accerchiamento che l’esercito iracheno sta portando avanti in maniera abbastanza lenta, ma efficace, lungo la parte orientale e meridionale della città. Le forze dell’Hashed Shaabi (Forze di Mobilitazione Popolari di natura confessionale che raggruppano sciiti, cristiani e sunniti) starebbero facendo la stessa cosa nella parte settentrionale e occidentale di Mosul. L’operazione militare ha l’obiettivo di tagliare qualsiasi via di fuga dalla città irachena verso le zone di confine con la Siria, come richiesto più volte dalle forze russe impegnate nel conflitto a fianco del premier siriano Bashar Al Assad.
Le sconfitte dell’ISIS, inoltre, dipendono ancora da altri fattori che in questi mesi hanno rallentato gli sforzi dei militari iracheni. Il più importante rappresenta l’accordo raggiunto tra Baghdad ed Ankara, nelle passate settimane, riguardo “un progressivo ritiro delle truppe turche dai confini iracheni”. Ankara, in effetti, ha diminuito notevolmente il suo contingente nella base di Bashiqa, giunto ufficialmente per addestrare milizie curde fedeli alla volontà di Erdogan, ma il ritiro rimane incerto con una scadenza non ancora definita. In questo modo la Turchia resta in attesa di poter vedere cosa accadrà con la caduta di Mosul e la spartizione delle risorse petrolifere dell’area.
Altro fattore fondamentale è stato un maggiore sforzo da parte dell’aviazione americana che avrebbe cominciato a bombardare in maniera più efficace le posizioni jihadiste in territorio iracheno.
Una ricerca dell’IHS Markit, centro di ricerca inglese, afferma che Daesh ha perso oltre il 40% dei suoi territori in Siria e Iraq tra il 2015 ed il 2016. Celebri sono state le sconfitte di Dabiq e Manbij in Siria o quelle di Ramadi e Falloujah in Iraq, compensate solo in parte dalla riconquista di Palmira.
La nuova strategia militare jihadista dell’ISIS, secondo il report, sarebbe quella di mantenere le sue attuali roccaforti in Siria ( principalmente Raqqa e Deir Ezzor) per mantenere il controllo di tutta la zona orientale siriana e parte dei territori in territorio iracheno. “La riconquista di Raqqa” – continua lo studio dell’IHS- “sarà molto più difficile e problematica del previsto poiché l’ISIS possiede ancora notevoli risorse militari e logistiche unite ad un contingente di 15000 combattenti”. “Un elemento fondamentale sarà ” – conclude il rapporto – “l’intervento di forze militari sul campo di battaglia”. Un fattore garantito in questi due anni principalmente dalla coalizione siriana, libanese (Hezbollah) e iraniana a guida russa, più che da quella a guida statunitense. Sempre in attesa di capire le reali intenzioni sul Medio Oriente da parte dell’amministrazione americana e del neo presidente Trump.
Stefano Mauro
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