Inni alla gioia a reti unificate occidentali: non hanno avuto successo i lanci di prova di alcuni razzi che, secondo la giapponese Kyodo, “potrebbero essere stati tentati” questa mattina dalla base nordcoreana di Wŏnsan, circa 200 km a est di Pyongynag.
Lamentazioni di afflizione, invece, all'annuncio della non partecipazione di Rex Tillerson alla riunione dell’Alleanza atlantica, il 5 e 6 aprile a Bruxelles; tanto più la notizia è stata accompagnata dal lancio Reuters sulla visita a di Tillerson a Mosca, prevista per il 12 aprile. In compenso, il Segretario di stato ha invitato il Senato, “nell'interesse USA”, a ratificare l'ingresso del Montenegro nella Nato, dopo che il primo ministro Milo Đukanović, già nel 2016 aveva annunciato che “il Montenegro prosegue il cammino verso Nato e UE”.
Un cammino visto da Mosca, secondo Interfax, come “un rafforzamento della confraternita antirussa”, contro la quale, a detta dell'inglese The Telegraph, Mosca avrebbe a suo tempo cercato di far saltare il governo di Podgoritsa (allo stesso modo in cui avrebbe complottato per la vittoria di Trump).
Ma ecco che un “nuovo approccio” alla Russia arriva nientemeno che da Paolo Gentiloni: al prossimo G7 di fine maggio a Taormina, c'è la possibilità che, nei confronti di Mosca, “insieme alla politica delle sanzioni, si facciano dei passi in direzione dell'apertura e del dialogo”. Come se la scelta tra dialogare sanzionando o sanzionare discorrendo dipendesse dalla pedina renziana o dal – ci si passi il termine – Ministro degli esteri Alfano, che “auspica” un ritorno della Russia nel club delle grandi potenze, che tornerebbero così a formare il G8.
Intanto, però, il “dialogo” è condotto tutt'intorno ai confini russi. Il mar Nero è ormai visto come un “lago interno” della Nato: vascelli dell'Alleanza atlantica fanno la spola tra le coste ucraine e romene; non passa praticamente giorno senza che i Dardanelli vengano attraversati da naviglio “alleato”. L'ultimo, in ordine di tempo, il vascello da sbarco americano USS Carter Hall (LSD 50), della Sesta flotta di stanza a Napoli, con a bordo fanti di marina del 24° gruppo di spedizione, che prenderanno parte alle manovre “Spring Storm 17” con la Romania.
Per il settore nord del “dialogo”, si sono incontrati ieri a Washington i Ministri della difesa di USA e Finlandia, James Mattis e Jussi Niinistö (il primo: generale dei marines ed ex comandante dello US Central Command; il secondo, storico, esponente del partito di estrema destra dei Veri Finlandesi), per discutere le questioni della “aggressione russa”, dei rapporti tra Helsinki e Nato e della cooperazione nel campo della sicurezza, a partire dall'area dell'Artico.
Nel segmento più centrale della “finestra aperta” sulla Russia, Aleksandr Lukašenko, dopo che venerdì scorso si era incontrato coi rappresentanti del FMI per un credito di 3 miliardi di $ al 2,28% in dieci anni, ha ora chiesto a Mosca di ammettere osservatori della Nato e di altre organizzazioni internazionali alle manovre congiunte russo-bielorusse del settembre prossimo. Non sembra ci sia stata sinora una precisa risposta russa alla richiesta di Lukašenko; ma il Ministro della difesa russo, Sergej Šojgù, ha intanto fatto sapere che nella programmazione del teatro delle manovre, si è tenuto conto della situazione alle frontiere dello Stato unitario (Russia-Bielorussia), legata al crescente attivismo della Nato, tanto a ovest, quanto a sud (Caucaso) delle frontiere russe, fino alle aree dell'Asia centrale ex sovietica.
Attivismo che prende di mira uno dei pochi territori sinora liberi da basi USA: la Slovacchia, che è membro della Nato dal 2004 e che ospita un Centro di comando dell'Alleanza atlantica, del tipo di quelli attivi nei tre Paesi baltici, in Bulgaria, Romania, Ungheria e Polonia. A quanto pare, il Federal Business Opportunities (FBO) avrebbe già avviato l'iter per l'affidamento a due società appaltatrici dei lavori per la costruzione della base. Il contratto, per 5 milioni di $, prevede l'approntamento di nuovi impianti, modifica e riparazione di quelli esistenti, tra cui piste di volo, magazzini, depositi di carburante, caserme, officine di riparazione e uffici.
Il tutto, nel sistema delle basi USA che, ormai in quasi tutti gli ex membri del Patto di Varsavia, fanno da “cintura protettiva” contro la “aggressione russa”. E' il caso – solo per ricordarne una – della base in Romania, con il sistema “Aegis” (lo stesso sistema sarà operativo in Polonia nel 2018; ma intanto qui è già presente una brigata carri USA) dotato di lanciatori MK-41, su cui si installano, teoricamente, razzi intercettori SM-3 e, di fatto, missili alati “Tomahawk” a medio raggio.
Per completare (a oggi) il quadro, è di queste ore l'annuncio che la Rada golpista ha chiesto al Congresso USA di attribuire all'Ucraina lo status di partner al di fuori della Nato. La concessione a Kiev dello status di “alleato principale” USA al di fuori della Nato – è diritto sovrano di Washington accordarlo – consentirebbe di aggirare l'opposizione di vari paesi europei al suo ingresso nell'Alleanza atlantica, dato che non viene richiesto il loro consenso. Sembra che, al di là degli interessi diretti degli Stati Uniti alla piazzaforte avanzata ucraina, sia urgente necessità di quest'ultima disporre di più pesanti aiuti militari, dopo le batoste degli ultimi giorni sul fronte del Donbass, quando, nell'area di Kominternovo, secondo le milizie popolari, i soldati ucraini si sarebbero ritirati precipitosamente, abbandonando sul terreno compagni uccisi e armamento. L'alleato principale degli USA.
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