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“Parlare la lingua di Trump”: dagli Esteri UE il rinnovo dello scontro con la Russia

Si è concluso due giorni fa il Consiglio Affari Esteri della UE, che è andato di pari passo con una serie di importanti incontri diplomatici con al centro la guerra in Ucraina e il braccio di ferro con Mosca. E in generale, l’aumento dell’impegno di Bruxelles nella difesa euroatlantica.

Scrivevamo recentemente dei guerrafondai europei che preparano il terreno alla precipitazione bellica del modello europeo – da tempo, inoltre –, e ora Kaja Kallas ha rincarato la dose, rifacendosi al rapporto da tenere con l’altro e principale ‘azionista’ della NATO.

La nuova amministrazione americana usa un linguaggio transazionale – ha detto – e dobbiamo parlare quella lingua anche noi: l’UE è una potenza economica, siamo forti e non dobbiamo sottostimare la nostra forza, sia quando abbiamo a che fare con gli avversari sia quando trattiamo con i partner”.

Parlare la lingua di Trump ha significato innanzitutto rinnovare le sanzioni alla Russia su petrolio, carbone, tecnologia, finanza, beni di lusso, trasporti e trasmissioni radiotelevisive, oltre al congelamento dei beni della Banca centrale russa, usati per garantire prestiti a Kiev.

Per la decisione serve l’unanimità, stando alle regole europee, e lunedì dal Consiglio è arrivato il via libera, dopo che l’Ungheria ha ritirato il proprio veto. Lo stallo si è risolto dopo che Budapest ha ottenuto garanzie per le forniture di gas dall’Azerbaijan attraverso l’Ucraina.

La dichiarazione sulla “integrità dell’infrastruttura energetica” è stata però indicata da una fonte UE come una promessa a continuare a discutere, più che come una reale garanzia. Ma ad ogni modo, sembra facilitata la strada anche per l’approvazione del sedicesimo pacchetto di sanzioni.

Bruxelles sta prendendo di mira in maniera sempre più ampia quella che è considerata la ‘flotta ombra’ con cui Mosca starebbe riuscendo a eludere le sanzioni. E che è stata accusata anche dei recenti sabotaggi dei cavi sottomarini nel Mar Baltico, da cui è originato l’annuncio di una nuova missione NATO in quelle acque.

Kallas ha ricordato che sono stati già forniti 134 miliardi di aiuti all’Ucraina, “ma è chiaro che l’Ucraina ha bisogno di più. La linea del fronte si sta spostando verso ovest, ma dovrebbe spostarsi verso est”: il solito invito a continuare il conflitto, a costo delle vite ucraine, si intende.

Intanto, il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa ha incontrato a Cracovia Zelensky, ribadendo che “l’UE starà al fianco dell’Ucraina finché sarà necessario”, cioè finché sarà utile. Ma intanto ha incoraggiato Kiev a continuare a lavorare all’adesione alla comunità europea.

Nel frattempo, a Madrid il segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha incontrato il primo ministro spagnolo Sanchez. Il governo iberico ha diffuso una nota tramite la quale fa sapere che “ora più che mai la Spagna sosterrà Kiev” e promuoverà “l’unità della NATO”.

Sanchez ha ricordato che nell’ultimo decennio Madrid ha aumentato del 70% le proprie spese militari, ed è pronta a raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL. Ma ha anche sottolineato come sia necessario che la NATO “presti attenzione al Sud e al Piano d’azione per il Sud”.

Anche la Danimarca si è mossa, in seguito alle pressioni provenienti dal nuovo inquilino della Casa Bianca. Kallas ha rassicurato che quando Trump parla di Groenlandia non bisogna “prendere quanto viene affermato parola per parola”, ma a Copenhagen hanno deciso di attrezzarsi di conseguenza.

Troels Lund Poulsen, il ministro della Difesa danese, ha infatti annunciato un investimento di quasi 2 miliardi di euro per potenziare la presenza militare del proprio paese nell’Artico e nell’Atlantico settentrionale. È previsto il dispiegamento di altre tre nuove navi militari, due droni di sorveglianza a lungo raggio e l’implementazione di una migliore capacità satellitare.

Un lunedì denso di eventi sulla strada della guerra totale su cui si è incamminato l’Occidente…

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