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La via neonazista all’integrazione dell’Ucraina nella UE

Sembra che uno degli slogan di majdan, quello sulla “autodeterminazione del popolo”, abbia insegnato a risolvere per vie di fatto le lungaggini dovute alle dispute amministrative nell’Ucraina golpista: gruppi di attivisti neonazisti sono entrati martedì scorso nella sede del Consiglio regionale di L’vov e, alla maniera squadristica, hanno impedito ai consiglieri di uscire, esprimendo così il loro malcontento per il fatto che tardi a essere adottata l’annunciata legge presidenziale sull’amnistia ai battaglioni neonazisti.

Intanto, mentre secondo Interfax le forze ucraine dovrebbero impegnarsi a rispettare per oggi “il regime del silenzio” (cessate il fuoco) a Sčaste, una ventina di km a nord di Lugansk, nell’area controllata da Kiev, sono giunti un centinaio di uomini di Pravyj Sektor. Il comando delle forze ucraine, notava nei giorni scorsi Novorosinform, sta infatti continuando a concentrare reparti dei battaglioni neonazisti a ridosso della linea del fronte, per terrorizzare la popolazione locale: secondo quanto riferito dal portavoce delle milizie della LNR, Andrej Maročko, i nazionalisti hanno subito iniziato a occupare abitazioni civili, esibendo stendardi nazisti. Ma ancora ieri l’altro, mentre il Ministro della difesa ucraino, Stepan Poltorak, firmava il decreto sul richiamo alle armi degli ufficiali della riserva da spedire nel Donbass, si registravano numerose violazioni al cessate il fuoco da parte ucraina, nelle aree di Sokolniki, Frunze e Novokievka.

E i tiri delle artiglierie ucraine continuano anche sui centri della DNR, lungo le direttrici di Donetsk (Spartak, Vasilevka, Jakovlevka, Jasinovataja, Staromikhajlovka, Dokučaevsk), Gorlovka (Zajtsevo, Železnaja Balka, Širokaja Balka, Krasnyj Partizan), Mariupol (Sakhanka, Kominternovo, Leninskoe). Nella tarda serata di martedì, erano finiti sotto il fuoco ucraino il posto di blocco di Jasinovataja, Dokučaevsk, Debaltsevo, Kalinovo e atri villaggi a ridosso del fronte.

Il portavoce delle milizie della DNR, Eduard Basurin, nel riferire dei colpi portati dalle forze ucraine su obiettivi civili, ne ha denunciato la parziale rilevazione da parte degli osservatori Osce. D’altronde, proprio il rappresentante speciale dell’Osce per l’Ucraina, Martin Sajdik, nell’ambito della riunione del Gruppo di contatto a Minsk, lo scorso 24 maggio, aveva riferito come, secondo l’Alto commissariato ONU per i diritti umani, il numero di civili uccisi nel Donbass sia cresciuto del 120% nell’ultimo anno e ciò sia dovuto principalmente al largo impiego delle artiglierie pesanti e al rallentamento nelle operazioni di sminamento. Sajdik aveva anche specificato che l’85% delle violazioni al cessate il fuoco è stato registrato nei punti caldi di Avdeevka, Jasinovataja e Mariupol.

E oggi, nella giornata internazionale in difesa dei bambini, in numerosi centri del Donbass si ricordano le oltre 100 giovanissime vittime di tre anni di bombardamenti ucraini su scuole, ospedali, campi di gioco, parchi delle città delle Repubbliche popolari. A Donetsk, secondo quanto riferiscono le Izvestija, alle migliaia di persone che parteciperanno all’azione “Angeli”, è previsto che si uniscano anche attivisti russi e rappresentanti da Grecia, Italia, Francia, Germania, Finlandia e Serbia. Manifestazioni sono previste anche a Kramatorsk e Mariupol, controllate dalle truppe di Kiev.

A dar man forte ai reparti ucraini, le agenzie del Donbass riferiscono sempre più spesso della presenza di cecchini, uomini e donne, provenienti da vari paesi dell’Europa continentale e della Scandinavia, dal passato apertamente neonazista e affiliazioni al Ku Klux Klan, esaltati da pubblicazioni come la norvegese Det hvite raseriet. Si riferisce di mercenari georgiani, come quelli scoperti in questi giorni dalla ricognizione della LNR nell’area di Valujskoe, nella provincia di Stanitsa-Luganskaja e di cui ha dato notizia Andrej Maročko, parlando anche di nuovi reparti di istruttori americani e inglesi che, a quanto risulta da loro stesse testimonianze, non si limitano a “istruire” le truppe ucraine. Anche se, a quanto pare, le loro lezioni non risulterebbero così efficaci, se solo dall’inizio di questo mese e in due sole operazioni, secondo lo scrittore Zakhar Prilepin, ora impegnato in prima linea a fianco delle milizie popolari, l’esercito ucraino avrebbe perso più di un centinaio di militari. Solo a Gorlovka, in un solo giorno, sono rimasti uccisi o feriti poco meno di 60 militari ucraini e altri 21 del battaglione “Azov” nell’area di Širokoe. Ma, secondo le notizie ufficiali diramate da Kiev, solo alcuni militari ucraini sarebbero morti nell’intero mese di maggio. Prilepin nota come la maggioranze delle vittime siano giovani di leva inesperti “che non sanno perché vengano mandati allo sbaraglio al fronte”, mentre rimangono ben riparati gli uomini dei reparti neonazisti.

Un cui degno esponente, l’ex comandante del battaglione neonazista “Azov” e ora deputato della Rada Igor Mosijčuk, lo scorso 23 maggio ha dichiarato che l’assassinio dei comandanti delle milizie popolari Arsen Pavlov (Motorola) e Mikhail Tolstykh (Givi) è stato “il colpo di risposta ucraino” alla morte di Petljura, Bandera, Dudaev, Litvinenko e Voronenkov, della cui eliminazione Mosijčuk ha incolpato Mosca. La dichiarazione è stata rilasciata in coincidenza con l’anniversario dell’eliminazione a Rotterdam, il 23 maggio 1938, del presidente dell’OUN Evgenij Konovalets da parte del NKVD. “Gli ucraini hanno iniziato il conto dei colpi di risposta” ha scritto Mosijčuk; “Motorola, Givi… non ci si deve fermare. L’elenco dei nemici liquidati deve superare quello degli Eroi caduti”. E per rendere “multilaterale” la propria vicenda parlamentare, Mosijčuk ha voluto sproloquiare anche sulla questione della “politica linguistica” golpista, rifacendosi al modello originale hitleriano: non si possono eliminare completamente le trasmissioni televisive in lingua russa, ha detto, perché ciò impedirebbe di “conquistare l’anima degli ucraini del Donbass”; ci si può limitare a vietare la lingua russa “a Kiev, L’vov, Vasilkov, Kharkov”, questo perché “quando Hitler occupava l’Ucraina, non si rivolgeva a noi in tedesco, bensì in ucraino e in russo”, ha sentenziato l’epigono.

E, su questa scia, Kiev pretende ora che i cittadini ucraini forniscano informazioni sui propri parenti residenti in Russia. L’iniziativa sarebbe dovuta al segretario del Consiglio di sicurezza Aleksandr Turčinov, anche se formalmente il “programma di dichiarazione” sul numero di parenti, grado di parentela e residenza dovrà essere ufficializzato dal solito Vladimir Vjatrovič, dell’Istituto per la memoria nazionale, che ha anche dichiarato che i cittadini ucraini dovranno cessare ogni contatto coi parenti residenti in Russia.

Poi, per seguire più scrupolosamente l’esperienza nazista, l’amministrazione golpista della regione di Lugansk controllata da Kiev ha interrotto completamente, dallo scorso 24 maggio, la distribuzione dell’acqua potabile alla LNR, con il rischio concreto, all’inizio della stagione estiva, di una catastrofe umanitaria.

E’ nei confronti di questa Ucraina, che ora il Senato olandese ha votato a maggioranza (50 voti su 75) la ratifica dell’accordo di associazione tra UE e Kiev. Una Ucraina che, come rileva l’ex primo ministro Nikolaj Azarov, nei 3 anni di presidenza di Petro Porošenko ha fatto registrare alcuni record autenticamente “europeisti”, quali un PIL passato da 183 a 93 miliardi di dollari, un debito estero da 300 a 1.233 miliardi di grivne, una percentuale di popolazione in miseria dal 12 al 60%, tariffe elettriche, idriche, del gas, municipali (secondo le imposizioni del FMI) cresciute rispettivamente del 300, 360, 700 e 350%.

Al momento l’Olanda è l’unico paese della UE a non aver ratificato l’accordo; in effetti, come ricorda la Tass, nel 2015 questo era stato ratificato, ma nel referendum tenuto nell’aprile 2016, il 61% degli olandesi si era espresso contro. Nonostante ciò, il governo aveva immediatamente dato avvio a una serie di dichiarazioni e di passi che avevano condotto, lo scorso febbraio, alla ratifica dell’accordo da parte della Camera bassa. Ancora un esempio della “via europeista” alla sovranità popolare e all’integrazione delle “forze democratiche” majdaniste nella compagine UE.

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