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Kiev e gli spari degli “eroi” di Ankara

Come distinguersi in mezzo al coro di sdegno? Come portare il contributo nazionale alla coscienza critica universale? Come fare dell'Ucraina il centro del mondo – che precipita? A Kiev lo hanno imparato da tempo. Nel dicembre 2014, in occasione della strage di poliziotti ceceni portata a Grozny da terroristi islamisti, l'ex comandante del battaglione neonazista “Azov”, Igor Mosijčuk, proponeva alla Rada di stimolare azioni del tipo di quella di Grozny in tutta l'Asia centrale, per aprire più fronti ai confini con la Russia.

Ora, dopo l'assassinio ad Ankara dell'ambasciatore russo Andrej Karlov, un altro eminente deputato della Rada, Vladimir Parasjuk, ha definito “eroe” l'omicida e un ex esponente del parlamento ucraino, Taras Černovol, lo ha qualificato come “salvatore”, mentre il diplomatico russo, secondo il novello cosacco, non sarebbe stato che un “combattente nemico”, da non considerare dunque come “vittima innocente”. L'ex deputato del Partito delle Regioni – nel 2005 Černovol aveva diretto la campagna presidenziale di Viktor Janukovič, capovolgendo poi le proprie vedute – ha aggiunto che “il vendicatore islamico, potrebbe esser stato un islamista dell'Isis, ma potrebbe anche esser stato un uomo che non sopportava le crudeltà dei russi in Siria e aveva scelto quel modo brutale di vendetta. Ma è possibile che egli, con quello sparo, abbia salvato molte vite di cittadini dell'Ucraina, un paese di cui avrebbe potuto non sapere nulla”.

Dunque nel mondo, c'è anche chi non sa nulla dell'Ucraina e, per certi versi, da quasi tre anni in qua, può vivere sereno! O, quantomeno, può non porsi il problema di quali conseguenze possano avere gli spari di Ankara, a partire da quelle sui rapporti russo-turchi e, per citarne solo due: sulla realizzazione del gasdotto Turkish Stream, quale passo fondamentale della “partnership strategica” tra i due paesi e sul regime del cessate il fuoco ad Aleppo. Due punti su cui, in giro per il mondo, in molti non disdegnerebbero un capovolgimento dei rapporti tra Vladimir Putin e Recep Erdoğan.

Ma non si può nemmeno dimenticare che Kiev ha più volte guardato alla Turchia come a un prezioso retroterra e un fidato alleato, tanto in campo economico – quale possibile partner nelle speculazioni criminal-affaristiche di vari oligarchi ucraini, in combutta con gruppi polacchi, baltici e azerbajdžani – sia in campo militare. Per tornare al 2014, dopo la strage di Grozny, il leader ceceno Ramzan Kadyrov aveva apertamente accusato Ankara di offrire riparo agli autori dell'incursione terroristica e, successivamente, più di una volta, gli esponenti del Medžlis dei tatari di Crimea si sono vantati di poter contare sull'appoggio militare turco, ufficiale e non, nei loro piani di riconquista armata della penisola.

In ogni caso, almeno per il momento, un eventuale raffreddamento dei rapporti tra Mosca e Ankara non sembra all'ordine del giorno: si è tenuto oggi regolarmente a Mosca il programmato vertice sulla Siria tra i Ministri degli esteri russo, turco e iraniano, Sergej Lavrov, Mevlüt Çavuşoğlu e Javad Zarif, che hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si dicono “pronti a farsi garanti nei colloqui per giungere a un accordo tra governo siriano e opposizione e alla ripresa del processo politico per porre fine al conflitto” in Siria. "Abbiamo un'opinione comune, consistente principalmente nel fatto che sia necessario rispettare pienamente sovranità, integrità territoriale e unità della Siria e non possa esserci una soluzione militare alla crisi siriana", ha detto Lavrov, citato dalla Tass.

Russia, Iran e Turchia “confermano la determinazione a combattere insieme contro Stato Islamico, "Džebhat an-Nusra" e isolarli dall'opposizione siriana” ha sottolineato Lavrov, che ha anche espresso la speranza che l'evacuazione da Aleppo est sia questione di uno-due giorni.

Dunque, un eventuale irrigidimento tra Mosca e Ankara non avrebbe potuto esser giudicato che favorevolmente a Kiev, ora che si paventa ogni giorno di più un diverso atteggiamento statunitense nei rapporti con Mosca e, di conseguenza e in senso contrario, con l'Ucraina. Un timore che spinge proprio ora Kiev, nelle more del passaggio di poteri a Washington, ad accelerare gli ultimi tentativi di una soluzione di forza nel Donbass.

Tentativi che, però, come i precedenti, sembrano scontrarsi con la risoluta volontà combattiva e l'efficace capacità bellica delle milizie delle Repubbliche popolari. Così che, di nuovo a distanza di due anni, l'offensiva contro una delle città simbolo della guerra nel Donbass, Debaltsevo, è tornata a occupare drammaticamente le cronache militari di questi giorni. E, di nuovo come due anni fa, si sta tramutando in un'altra sonora sconfitta per le truppe di Kiev. Nelle ultime ore, dalle Repubbliche popolari informano che le forze ucraine stanno evacuando la popolazione civile dei centri (quelli sotto controllo ucraino) nelle vicinanze di Debaltsevo, prima dell'inizio di un nuovo attacco contro la città, dopo il “regime del silenzio” su cui Kiev e Lugansk si erano accordate ieri, per consentire l'evacuazione di morti e feriti rimasti sul terreno dopo la battaglia di domenica scorsa. Secondo le milizie della LNR, nel corso dei combattimenti nell'area di Kalinovka e Logvinovo, le truppe ucraine avevano lamentato 10 morti e circa 30 feriti, mentre le milizie contavano due feriti e due scomparsi. Nelle ore precedenti, tra domenica e lunedì, dalla LNR si denunciava l'intensificarsi dei tiri di artiglierie da 122 e 152 mm, armi pesanti e mortai da parte dell'esercito ucraino e dei reparti di Pravyj Sektor. Secondo altre fonti, Kiev avrebbe già perso oltre un centinaio di uomini attorno a Debaltsevo, tanto che i cadaveri venivano evacuati con i camion dal campo di battaglia lungo il saliente di Svetlodarsk. Sembra dunque infrangersi ancora una volta la speranza di Petro Porošenko di riportare l'area sotto controllo ucraino, dopo la cocente sconfitta di quasi due anni fa, proprio in coincidenza col vertice di Minsk tra Hollande, Merkel, Putin e il presidente golpista, allorché i soldati ucraini poterono lasciare la sacca in cui erano rimasti accerchiati, solo grazie al corridoio lasciato aperto dalle milizie popolari.

Per ora, i piani ucraini e dei loro sponsor paiono segnare il passo.

 

Fabrizio Poggi

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