Un elastico di quarantott’ore separa oggi e domani il Qatar dalla decisione di sanzioni che i sauditi vogliono infliggere al clan al-Thani. Probabilmente a poco servirà il giro diplomatico che in queste ore ha portato a Kuwait City un esponente della famiglia regnante qatariota, Abdul Rahman, che ricopre l’incarico di ministro degli Esteri. L’incontro col locale emiro che s’è sfilato dal quartetto sanzionatorio (Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Egitto) intenzionato ad attaccare a testa bassa il governo di Doha, non dovrebbe far recedere gli avversari degli al-Thani dalla loro volontà punitiva. Ai 13 punti richiesti, fra cui la chiusura dell’emittente Al Jazeera considerata irricevibile dallo stesso Abdul Rahman, il mediatore aveva in prima battuta risposto che il mondo economico s’opporrà a un atteggiamento palesemente prepotente. Aveva, inoltre, ricordato che l’obiettivo della sicurezza e della pace nella regione rendono impraticabile e ingiustificata una punizione collettiva da estendere ai 2.5 milioni di cittadini del Qatar.
In realtà l’embargo alimentare e d’ogni merce è già partito da giorni (la crisi politica era iniziata il 5 giugno e ha visto l’apice il 23 del mese) a seguito dell’isolamento delle comunicazioni di terra fra Arabia Saudita e la piccola penisola qatariota, oltreché il blocco dello spazio aereo, superato per ora dagli aerei iraniani. Così due nazioni islamiche che hanno un peso nell’area, la sunnita Turchia e l’Iran sciita, si sono dichiarate pronte a rompere ogni accerchiamento di quel Paese.
E tale scelta condiziona il futuro della crisi. Ieri due importanti agenzie d’informazione (Associated Presse e Reuters) hanno divulgato ulteriori richieste rivolte al sovrano di Doha dal gruppo delle nazioni arabe. Fra esse: censura ad altri due media (Arabi21 e Middle East Eye), ottenimento di notizie su oppositori mediorientali finanziati dal Qatar, pagamento di una non definita quota di risarcimento alle monarchie del Golfo, oltre al già richiesto allineamento alla linea del Consiglio di Cooperazione, al disconoscimento della Fratellanza Musulmana, all’allontanamento di contatti e finanziamenti a gruppi qaedisti, del Daesh e di Hezbollah, considerati tutti terroristi.
Ora che i citati pesi massimi mediorientali hanno compiuto una sortita favorevole agli al-Thani, soprattutto per limitare la levata di scudi saudita, alcuni analisti mettono in guardia l’Occidente. I cui governi potrebbero essere tirati per la giacca su una questione che anziché sgonfiarsi va montando. Difficilmente la mediazione kuwaitiana sortirà effetti, perciò mercoledì mattina a ultimatum concluso il clan sanzionatorio potrebbe passare all’azione acuendo un evento che indurrebbe potenze come Gran Bretagna e gli stessi Stati Uniti a inderogabili scelte. Cosa accadrebbe nella base statunitense di al-Udeid si chiedono taluni think tanks filo Nato? Nulla? Si difenderebbero gli assediati o si simpatizzerebbe con Riyad?
La situazione incrinata avrebbe risvolti non indifferenti sul versante delle alleanze non solo militari, coinvolgendo su quest’ultimo terreno i turchi, che dalla base creata da circa un biennio, aiuterebbero i qatarioti. Una Doha assediata dalle sanzioni potrebbe diminuire o far svaporare ben 350 miliardi di dollari investiti dagli al-Thani fra Londra e Washington, creando qualche problemino.
Nel mondo globalizzato la geopolitica viaggia sempre più a contatto di gomito con l’economia finanziaria. Forse anche per questo il Segretario di Stato Tillerson si sta “sporcando le mani” con questa crisi. Del resto deve (dovrebbe) sminuire il valore che i Saud hanno dato alla visita di Trump, a seguito della quale è montato l’attacco allo Stato fratello che da anni odiano. Tillerson ha già incontrato l’epigono al-Thani che preside il ministero degli Esteri e ricucendo ricucendo spera di trovare una quadratura del cerchio fra richieste saudite e dinieghi qatarioti.
Ma non è facile. Ciò che maggiormente può preoccupare sia i sovrani sauditi sia gli inquilini della Casa Bianca è che, nonostante i desideri duri e puri dei Salman, padre e figlio, quel che appare sgretolarsi in queste ore è il progetto pluritrentennale del Consiglio del Golfo attualmente diviso in tre blocchi. Gli irriducibili: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein), i neutrali (Kuwait, Oman) e l’entità isolata del Qatar, ricca, irrequieta, non omologabile e sempre più nemica. Mentre questa frattura s’acuisce Teheran sorride e Ankara è pronta a ricevere i benefici dell’ennesima crisi mediorientale.
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