Il dispiegamento dei sistemi “Aegis Ashore” in Europa orientale, già avviato in Romania (nella ex base aerea di Deveselu) e che proseguirà nel 2018 in Polonia (nella base aerea di Redzikowo) e poi fino al 2020, sembra preoccupare Mosca, sia perché il sistema (anti)missilistico USA è in grado di intercettare i missili balistici intercontinentali russi nella traiettoria iniziale, sia per la copertura di buona parte del territorio europeo della Russia. Secondo Mosca, il sistema “Aegis Ashore”, versione a terra di quello navale “Aegis”, con bocche di lancio per razzi “Standard SM-3”, viola il trattato sui missili a medio e corto raggio: al pari del “Aegis” navale, infatti, in grado di lanciare missili Tomahawk, anche “Aegis Ashore” può lanciare missili di portata da 500 a 5.500 km.
L’esperto militare russo A. Matjušenko scrive su Russkaja Vesna che le leadership americana e NATO sono consapevoli che la nuova dottrina militare russa prevede l’eventualità di una risposta nucleare a un attacco convenzionale contro strutture missilistiche nucleari e anche la possibilità di colpire obiettivi (anti)missilistici in Europa con armi convenzionali ad alta precisione. Ma è improbabile, afferma Matjušenko, che rumeni e polacchi siano stati informati del fatto che “Aegis”, con i suoi “Patriot PAC-3” o i più avanzati “Standard SM-3”, non garantisce un’intercettazione affidabile degli “Iskander” russi. Al momento, Mosca sta sviluppando missili strategici con una maggiore accelerazione e ridotta possibilità di intercettazione nella parte iniziale della traiettoria. Nei prossimi anni, Mosca aumenterà di diverse volte il numero di missili con base a terra, su navi e aerei e, in risposta a “Aegis” in Romania e Polonia, ci sono piani di dislocamento in Crimea di vascelli e bombardieri supersonici, in grado di portare missili alati che coprano ben oltre l’area del mar Nero. Già ora gli “Iskander-M” nella regione di Kaliningrad possono colpire estese aree europee e si parla del loro dislocamento anche in Bielorussia; i “Kalibr” in Crimea o nell’area di Kaliningrad possono coprire praticamente l’intero territorio europeo; i K-300P “Bastion” in Crimea, armati con missili alati “Onix”, annullano ogni manovra NATO nel mar Nero: “Onix” raggiunge 15 km di quota, dopo di che picchia fino a 10 m sul livello del mare ed è difficilmente radiolocalizzabile.
Analizzando le possibili varianti, conclude Matjušenko, si può ritenere che in caso di guerra i primi colpi russi verranno portati sui sistemi “Aegis” in Romania, Polonia, nei mari Mediterraneo, Baltico e del Nord. Così che, i paesi europei, acconsentendo alla dislocazione di “Aegis”, come se questo eliminasse la minaccia di colpi nucleari da “paesi terzi”, si trasformano in realtà in obiettivi da distruggere e gli USA, agendo al loro solito su territorio straniero, “cavano le castagne dal fuoco con la zampa del gatto”.
Nel maggio scorso l’americana The National Interest (TNI) scriveva che se l’Europa è davvero preoccupata per l’espansionismo di Mosca, allora deve pensare “seriamente alle spese per la difesa”, portandole, come chiede Washington, al 2% del PIL. Nel 2016, i paesi europei della NATO hanno stanziato il 1,47%, contro il 1,44% del 2015; prima di allora, lamenta TNI, il livello era sempre sceso, dal 1,69% del 2009. Solo Estonia, Gran Bretagna, Grecia e Polonia si sono adeguate al livello USA del 2%, mentre Belgio, Repubblica Ceca, Ungheria, Lussemburgo, Slovenia e Spagna hanno stanziato l’1% o meno; la Germania è arrivata al 1,19%. Lettonia e Lituania, “sentendosi in mortale pericolo, sono arrivate rispettivamente a 1,46 e 1,49%”; la Francia ha stanziato il 1,79%. Lo scorso anno, continua TNI, nove paesi hanno ridotto le spese o le hanno aumentate meno del 1%. Delle cinque nazioni con incrementi a due cifre, solo una, l’Italia (poteva essere altrimenti? diciamo noi) ha un consistente bilancio militare. Ed è la stessa TNI a dire che, a dispetto delle grida sul “pericolo russo”, nel 2016 i membri europei della NATO hanno stanziato “circa 265 miliardi di dollari, quasi quattro volte più dei 68 miliardi di dollari di Mosca”. Economicamente, conclude TNI, Mosca “sembra una tigre di carta; l’Unione europea ha circa tredici volte la forza economica della Russia. Germania, Regno Unito, Francia e Italia hanno PIL maggiori della Russia”. Ma, soprattutto, “Putin non è un suicida” e non ha mai mostrato il “desiderio di creare un impero con popoli non russi”.
Chi invece si è da sempre preparato allo scontro, sono gli yankee. Ancora su The National Interest, Joseph Trevithick ricorda come già nel 1956 il SAC (Strategic Air Command) avesse messo a punto l’elenco dettagliato degli obiettivi per la Terza guerra mondiale, compreso numero di bombardieri (2.000) e armi nucleari necessari: oltre 2.300 potenziali “ground zero” tra basi militari e città in Unione Sovietica, paesi del Patto di Varsavia, Cina, Corea del Nord, Vietnam del Nord, Iran pre-Scià e altrove. Mosca e Leningrado avevano rispettivamente priorità uno e due: Mosca, con 179 “Designated Ground Zeros” (DGZs) e Leningrado con 145, inclusi obiettivi civili. Con i missili balistici a lungo raggio ancora in fase di sviluppo, si puntava su una flotta di bombardieri e caccia veloci, con bombe a caduta libera e missili da crociera. Il B-52, ricorda Trevithick, poteva portare due bombe H “Mark 36” da 17.000 libbre: 250 volte più potenti della bomba atomica sganciata su Hiroshima. I bombardieri più piccoli B-47 e i caccia F-101 avrebbero portato più piccole bombe nucleari e termonucleari. Obiettivi prioritari erano le basi aeree del blocco sovietico: per sventare preventivamente la minaccia di possibili contrattacchi dei bombardieri sovietici Tu-16, ai bersagli militari erano riservate le bombe H, mentre sui restanti obiettivi si sarebbero usate bombe atomiche. Secondo William Burr, il SAC, in violazione delle norme internazionali, contemplava la “distruzione sistematica” degli obiettivi urbano-industriali del blocco sovietico, mirando espressamente a quelli civili di tutte le città, tra cui Pechino, Mosca, Leningrado, Berlino Est e Varsavia.
A sessant’anni di distanza dal piano del SAC e a quasi trenta dalla fine dell’URSS, Vladimir Gromov, a proposito del manuale yankee “La guerra russa di nuova generazione” – pubblicato un anno fa, questo analizza le operazioni militari russe, i punti di forza e debolezza dell’aviazione russa, le tattiche di guerra ibrida, ecc. – spiega su Svobonaja Pressa “cosa non sanno di noi gli americani, preparandosi alla guerra con la Russia”. Pretendono di sapere tutto sulla dottrina militare russa, afferma Gromov; ma se il manuale statunitense descrive alcuni punti deboli della tattica russa delle guerre ibride, da parte nostra possiamo individuare la maggiore inadeguatezza della metodica USA contro la Russia. Non solo le loro istruzioni sono arretrate, ma si basano su un’idea sbagliata della concezione russa di difesa, che è invece quella di difendere i propri interessi là dove sia necessario. E’ sufficiente guardare alla crisi ucraina, per comprendere i piani russi di difesa dei propri interessi, scrive Gromov. Il referendum in Crimea ha aiutato la Russia non solo a riprendersi il suo territorio storico, ma anche a creare una potente testa di ponte per controllare il bacino del mar Nero. Se prima, i vertici di majdan, con l’aiuto dei tatari di Crimea, imbastivano provocazioni per trasferire la regione sotto protettorato USA-turco, continua Gromov, oggi la Turchia è diventata un quasi-alleato, riconsiderando tutta la sua politica verso la Russia. Il sostegno militare alla Siria, poi, ha non solo contribuito alla lotta contro l’Isis, ma ha anche mostrato le capacità militari russe e quali conseguenze potrebbe avere l’invasione della Russia per Ucraina e NATO. Così, la presenza di specialisti in Libia dimostra la volontà di Mosca di consolidare i poteri locali, dopo le azioni aggressive di Washington contro lo stato libico. E la possibilità di disporre di una base navale nell’isola di Socotra, nell’Oceano Indiano, costituisce una seria risorsa a garanzia degli interessi russi nella regione. Non ultime, sulla mappa geopolitica mondiale, le intese coi partner strategici (realizzazione della nuova Via della Seta) e l’apertura della rotta del Nord, col varo del nuovo rompighiaccio atomico “Sibir”, in grado di superare ghiacci di tre metri di spessore e primo di una serie che assicureranno la leadership russa nell’Artico. Sia come sia, conclude Gromov, il Cremlino tiene saldamente “l’iniziativa nelle aree strategiche mondiali, perché sa cosa l’avversario penserà domani e non solo cosa pensava ieri”.
Naturalmente, come hanno dimostrato i “Kalibr” navali che hanno colpito le basi terroristiche in Siria, l’iniziativa strategica è accompagnata da continue innovazioni tecnologiche. Sempre The National Interest sottolinea come, durante le manovre russo-bielorusse “Zapad-2017” del settembre scorso (su cui si sono sbizzarriti i media occidentali, tacendo sulle contemporanee “Northern Coasts” della NATO, definite dalla stampa tedesca “le più grandi manovre annuali nel mar Baltico”, con paracadutisti, fanteria di marina, forze speciali e oltre 50 tra vascelli di superficie e subacquei) Mosca abbia messo in mostra il sistema missilistico “Iskander”, quello di difesa aerea S-400 “Triumf” e il sistema costiero “Bal”, insieme ai sistemi avanzati di ricognizione radioelettronica.
Il Daily Star scrive della nuova “arma segreta russa” che, per mezzo di radiazioni ad alta frequenza, può disattivare i sistemi di comunicazione e neutralizzare i mezzi militari nemici per un raggio di 3,5 km. Il giornale britannico parla del complesso “Alabuga” come di un missile radioelettronico, più potente di una bomba nucleare, da installare su droni che lo porterebbero nelle retrovie nemiche, dove poi bloccherebbe l’armamento automatico dei tanks, colpirebbe i proiettili di artiglieria ancora all’interno del cannone e, con le radiazioni, sarebbe in grado di eliminare soldati nemici, anche a 100 metri sotto terra. Krasnaja Zvezda scrive però che al complesso “Radioelektronnye Tekhnologii”, che ha messo a punto “Alabuga”, fanno notare come non si tratti di un’arma specifica, ma di un intero “complesso di ricerche scientifiche, che determineranno le linee di sviluppo delle armi elettroniche del futuro”.
In fin dei conti, come ha dichiarato Putin, “La Russia non combatterà più sul suo territorio e difenderà i propri interessi là dove lo ritiene necessario”. Ancora una volta, nel confronto mondiale con l’imperialismo USA e nel ventiquattresimo anniversario delle sanguinose giornate dell’ottobre 1993 e del golpe eltsiniano, si tratta di intendersi circa gli interessi di quale Russia.
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