“Non si può forzare lo stile di vita delle attuali e future generazioni” ha affermato un compassato e comprensivo Hassan Rohani, tornando a parlare delle proteste che hanno scosso per alcuni giorni l’Iran e che sembrano placate o sedate da repressione e arresti (venti morti e un migliaio di reclusioni).
Il presidente ha lanciato una riflessione reale: la via che la sua generazione ha tracciato può star stretta agli attuali ventenni e trentenni. E’ il sentimento che si può facilmente raccogliere in una larga fetta della gioventù urbana e magari anche rurale del Paese. “Libertà e vita sono acquistabili col solo denaro? Questo sembra un insulto per la gente” ha anche rilanciato l’ayatollah moderato, ventre molle d’un sistema clericale che in questa delicata fase appare aderire totalmente all’inattaccabile posizione della Guida Suprema: i governi nemici dell’Iran (statunitense, saudita, sionista) hanno ordito un complotto destabilizzante, usando propri agenti e orientando le proteste contro la nazione.
Però, se si ascoltano le voci di amici e parenti di alcuni dei giovani fermati dalle forze antisommossa davanti all’Università di Teheran, accanto a chi affermava di passare lì per caso, magari negando l’evidenza per non cadere nell’accusa di moharebeh (senza Dio) punita con la pena di morte, la questione dell’identità soggettiva e generazionale di fronte a una classe politica che non ascolta c’è tutta. E bisogna capire se Rohani stia riproponendo un sincero dialogo con quell’elettorato giovanile che, deluso, l’ha apertamente accusato nelle strade o se la sua sia pantomima di regime, perché l’uomo si mostra sì diplomatico e aperto, ma interpreta pur sempre quel compromesso pragmatico fra il khomeinismo reicarnato in Khamenei e pragmatismo clerical-affaristico di Rafsanjani.
Che in queste settimane nel Paese si stia giocando una partita di potere, è apparso chiaro coi “domiciliari” non ufficializzati, ma neppure smentiti di Ahmadinejad. Il laico che lo stesso secondo mandato Rohani vorrebbe inchiodato per quella corruzione che fa crollare le case sulla testa dei poveri che l’ex basij ha sempre sostenuto di voler difendere.
Provata o meno che sarà quest’accusa, l’altra rivoltagli: aver fomentato disordini nelle province povere, fra quei mostazafan che ancora lo venerano come uno di loro, ha tagliato fuori l’ex presidente da un possibile ritorno politico (non certo istituzionale). Una mossa gestita dal partito dei Pasdaran e l’entourage dell’attuale presidente. Stretti attorno alla Guida Suprema, di cui da mesi si vociferano malattia e morte e che invece continua a mostrarsi presente e attivo.
Certo, discorrere di Ahmadinejad nell’Iran del futuro sembra una contraddizione. Eppure nel perenne contrasto fra tradizione e innovazione, chi raggiunge ruoli di prestigio non scompare definitivamente, sia sul versante riformista, pensiamo a Khatami, sia in campo conservatore. Per tacere di chi ha trascorso un’esistenza pubblica relazionandosi ai due schieramenti: Rafsanjani. Sulle cui orme – lo è stato detto sin dalle elezioni in cui agitava la chiave del “cambiamento” nel 2013 – si pone Rohani, probabilmente costretto a mediare perfino sulla proposta dell’Alto Consiglio per l’Educazione che vorrebbe tagliare l’esperimento d’insegnare la lingua inglese nelle elementari. Motivo: sventare il pericolo di modelli devianti, magari pensando all’uso comunicativo dei social media.
Una proposta che appare un autogol in un Paese altamente scolarizzato che insegue impulsi tecnologici. Un’idea che fa trasparire un passatismo antistorico, visto l’uso globale che quella lingua ha assunto, pur imponendosi al mondo grazie allo strapotere economico e geostrategico degli imperi prima britannico, poi statunitense.
Il Rohani che stiamo già osservando, non tace affermazioni simili: “La gente ha posto domande e queste domande dovrebbero essere ascoltate”, ma deve difendersi dalla piazza di Meshaad, aizzata forse dai basij ma sostenuta da quel Raisi su cui nel maggio scorso Rohani l’ha spuntata, che però resta in lizza per i ruoli di presidente o, addirittura, di Guida Suprema. L’ayatollah moderato deve galleggiare in un panorama dove i nemici esterni esistono eccome, mentre gli amici interni, che si sentono traditi da promesse non mantenute e dalle difficoltà oggettive, non gli faranno più da sponda.
articolo pubblicato su http://enricocampofreda.blogspot.it
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