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Hezbollah: “guardiamo a Gerusalemme ed alla liberazione della Palestina”

«Il nostro sguardo adesso va a Gerusalemme nello spirito dell’Intifada» queste le dichiarazioni del segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, nelle ultime interviste di queste settimane. Affermazioni che hanno riacceso il dibattito anche tra i media israeliani visto che Nasrallah è conosciuto per la sua concretezza e perché alle parole fa seguire sempre i fatti.

Riguardo alla futura guerra contro Israele, come avviene ciclicamente da diversi anni, i campanelli di allarme cominciano ad aumentare nuovamente. Secondo il segretario generale : « Il conflitto è molto probabile soprattutto a causa dell’inasprimento delle posizioni americane e sioniste nell’area…stiamo vedendo che, chi sta sabotando il processo di pace con le dichiarazioni su Al Quds, sta inevitabilmente cercando un pretesto per la guerra e  se osserviamo il comportamento di Trump e Netanyahu non possiamo scartare questa opzione ».

In queste settimane, inoltre,  sono aumentati  i contatti tra i diversi partiti palestinesi che rappresentano la Resistenza (FPLP, Hamas e Jihad Islamico)  e lo stesso segretario generale  Nasrallah. Al di là delle dichiarazioni di facciata, infatti, sembra che Hezbollah sia tornato concretamente  su uno dei suoi pilastri ideologici: la liberazione di Gerusalemme, attraverso un concreto supporto in termini di addestramento e armamenti.

Il fatto che lo stesso Nasrallah abbia incontrato, per la prima volta da anni, una delegazioni di Fatah assume un significato particolare. Questo significherebbe, in effetti,  un possibile ritorno dell’OLP all’opzione della resistenza, anche armata, contro Israele, visto che “gli USA hanno definitivamente sotterrato qualsiasi speranza di soluzione pacifica e si sono finalmente  rivelati come fiancheggiatori di Tel Aviv e non come parte neutrale nel processo di pace”.  Le recenti dichiarazioni di Abu Mazen riguardo agli accordi di Oslo, definitivamente tramontati, indicherebbe un possibile cambiamento di rotta anche di Fatah il cui peso politico e militare è considerato fondamentale da Hezbollah.

Le recenti reazioni americane relative ad una cospicua diminuzione dei finanziamenti dell’Unrwa, per i profughi palestinesi dei campi, o un taglio delle  sovvenzioni nei confronti dell’ANP, spinge lo stesso Abu Mazen a seguire tutte le opzioni possibili, cominciando dalla sospensione degli  accordi di collaborazione in materia di sicurezza tra le forze israeliane e quelle dell’ANP.

Nel suo editoriale della scorsa settimana sul giornale online Rai Al Youm, Abdel Bari Atwan  analizza le dichiarazioni di Nasrallah indicando tre punti fondamentali. Il primo riguarda il passaggio in cui si dice che “se Israele finirà per imporre una guerra in Libano, questa sarà  piena di sorprese ed avrà come punto di partenza  il confine settentrionale” volendo far intendere che il prossimo conflitto sarà non solamente difensivo, ma soprattutto offensivo. Nel secondo punto l’editorialista palestinese indica come, alla conclusione del conflitto siriano, lo stesso Hezbollah sia ormai pienamente consapevole delle proprie capacità militari e logistiche con una serie di nuovi armamenti di ultima generazione di produzione iraniana e russa. Come ultimo punto, infine, il fatto che aver sconfitto un esercito come quello dello Stato Islamico, con fanatici determinati al martirio, è stato molto più complicato che un possibile confronto contro Tsahal.

Sul versante israeliano restano i dubbi in merito all’efficacia della preparazione dell’esercito ed alla progressiva escalation dopo il riconoscimento di Al Quds come capitale d’Israele da parte di Trump. Il quotidiano Yediot Aharonot ha reso pubblica una dichiarazione dello stesso ministro della Difesa, Avigdor Lieberman, riguardo al fatto che, in un eventuale conflitto, « Hezbollah sarà capace di lanciare oltre 4mila razzi al giorno su tutto il territorio israeliano e con una maggiore precisione in confronto alla guerra del 2006 ». Un ulteriore timore dei media israeliani riguarda la possibilità di un ampliamento del conflitto non solo con il Libano, ma anche con la Siria e con  le decine di migliaia di miliziani pronti ad intervenire dall’Iraq (Al Nujaba o Hezbollah iracheno, ndr) o da altri paesi che rappresentano l’asse sciita nella regione.

Il quotidiano libanese Al Akhbar, invece, evidenzia quanto la tensione stia crescendo sempre più a causa delle continue provocazioni israeliane anche all’interno del paese dei cedri. L’ultimo episodio è stato un attentato dinamitardo nella città di Sidone ad un quadro di Hamas, Mohammed Hamdan (uscito solamente ferito alle gambe),  attribuito, come modalità di esecuzione e grazie agli arresti effettuati in questi giorni, al Mossad israeliano. «Le aggressioni contro il Libano, contro la sua sovranità, la costruzione di una barriera nella zona libanese delle Sheba’a Farms (territorio libanese conteso con Tel Aviv, ndr) ed un attentato terroristico nel nostro paese » – ha dichiarato il comandante dell’esercito libanese Joseph Aoun – «non fanno che accrescere il clima di tensione contro Israele, anche se, dopo aver sconfitto Daesh e Al Nusra, siamo pronti a rispondere a qualsiasi provocazione israeliana».

Un clima di unità ritrovato all’interno dei confini libanesi dopo le dichiarazioni di sostegno ad Hezbollah come « forza di difesa nazionale e risorsa per tutti i libanesi » espresse dallo stesso primo ministro Saad Hariri.  In questi giorni la monarchia saudita sembra intenzionata, con una visita diplomatica in Libano, a riallacciare i difficili rapporti con il suo ex pupillo. Relazioni forse definitivamente interrotte dopo le recenti rivelazioni riguardo alle sue dimissioni forzate e volute da Ryadh ed a quelle che riguardavano l’organizzazione, da parte di ambienti vicini ai servizi segreti sauditi, di un attentato -sventato dalla sicurezza libanese con il supporto di Hezbollah-  ai danni della sorella Bahia Hariri con l’obiettivo di far cadere il Libano nel baratro della guerra civile.

 

Articolo pubblicato anche su www.nena-news.it

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