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USA: secondo shutdown in meno di un mese

La notizia è questa: per la seconda volta nel giro di pochi giorni per il governo degli Stati Uniti è scattato lo “shutdown”, il blocco dei fondi federali per mancato accordo sul bilancio.

Si tratta di una procedura del sistema politico statunitense che di fatto mette in blocco le attività amministrative del settore esecutivo nel caso in cui il Congresso non approvi la legge di rifinanziamento dei bilanci.

Meccanismo in apparenza burocratico, ma ovviamente vero e proprio strumento di ostruzionismo politico.

Questo secondo shutdown è stato innescato dal senatore repubblicano Rand Paul, che con un lungo intervento contro il rischio di aumento di deficit ha impedito l’approvazione entro la mezzanotte, che era il limite temporale per evitare il blocco delle attività amministrative.

L’amministrazione Trump ha appena presentato un aumento di spesa pubblica di circa 300 miliardi, principalmente destinati ai settori della difesa e dei servizi.

L’incremento di spesa va a sovrapporsi ai tagli delle tasse: si prospetta un “buco” di circa 1500 miliardi per i prossimi dieci anni.

Il senatore Rand Paul, considerato una sorta di “free rider” all’interno del partito repubblicano, ha in questo caso dato voce ad un atteggiamento politico tipico della destra del Grand Old Party: grande attenzione per i conti pubblici, poco “welfare” e poche tasse.

Linea politica che Trump non può rispettare: da un lato per l’incremento delle spese militari (e qui crediamo che i repubblicani siano comunque contenti), dall’altro perchè, se vuole diminuire il tasso di disoccupazione deve procedere ad investimenti infrastrutturali che creino posti di lavoro – almeno così ha spesso dichiarato di voler fare sia in campagna elettorale sia in questo primo anno di presidenza.

Secondo alcune fonti anche gli ultimi cali in borsa (ieri Wall Street ha chiuso parecchio in ribasso) hanno sicuramente contribuito a creare preoccupazione per la tenuta dei conti pubblici.

Il Senato, nelle prime ore della mattina, ci ha messo una pezza approvando

un accordo che accontenta un po’ tutti: aumento delle spese militari di 80 miliardi per il 2018 ed 85 per il 2019 (questo per i repubblicani), aumento delle spese NON militari di 63 e poi 68 miliardi per infrastrutture, povertà infantile e prevenzione (per i democratici).

A proposito dei Dem: il precedente shutdown fu determinato da una loro operazione ostruzionistica, dovuta alla mancata risoluzione del problema dei cosiddetti “dreamers” (gli immigrati irregolari arrivati negli Stati uniti da bambini) che teoricamente andava affrontato entro la scadenza di stanotte. Non essendoci stato nessun intervento in materia, i democratici non possono dichiararsi soddisfatti.

La legge approvata un in pò fretta e furia dal Senato ora deve passare alla Camera, dove dovrà per forza contare sul voto di qualche democratico.

Staremo a vedere.

Nel frattempo è abbastanza confusa la situazione dei dipendenti pubblici coinvolti dallo shutdown, che prevede appunto la chiusura di molti uffici e la mancata erogazione di servizi: l’ufficio federale della Gestione del Personale ha comunicato che le attività varieranno “caso per caso”, ammettendo la possibilità per le agenzie governative di convocare i lavoratori anche per metà giornata per rendere meno complessa la situazione per i fruitori dei servizi (fonte CNN).

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