La “Grande Marcia del Ritorno”, è questo il nome che il popolo palestinese ha dato alla serie di manifestazioni che nelle scorse settimane hanno portato migliaia di persone a camminare verso il confine tra Israele e la Striscia di Gaza. Manifestazioni caratterizzate dal violento intervento dell’esercito di Tel Aviv, che ha causato decine di morti e migliaia di feriti, passati per lo più nel silenzio generale dei media italiani ed occidentali. Eppure la Grande Marcia non intende fermarsi, ed è anzi pronta a sfidare un altro confine: se i manifestanti, negli ultimi mesi, si erano concentrati lungo il limite orientale di Israele, oggi ad essere contestato è il confine occidentale.
A farlo sarà una flottilla, partita ieri mattina da Gaza con l’intento di sfidare la Marina israeliana, abituata a fare fuoco su chiunque si avvicini. La partenza del gruppo di imbarcazioni arriva in un momento carico di significati, anche simbolici: domani, infatti, ricorrerà l’ottavo anniversario della strage della Mavi Marmara, quando militari israeliani assaltarono un’imbarcazione uccidendo nove attivisti turchi e arrestando altre cinque persone.
Ma c’è di più: la flottilla vuole anche essere una risposta alla decisione di Tel Aviv di erigere una barriera in mare, lunga diversi chilometri e sormontata da filo spinato, sempre allo scopo di proteggere i confini dello stato di Israele. Secondo Salah Abdul-Ali, membro del comitato per la Grande Marcia del Ritorno e tra gli organizzatori della flottilla partita dal porto a-Sayadin di Gaza, su quelle barche ci saranno “i sogni del nostro popolo e la sua aspirazione alla libertà”.
Un’aspirazione che accomuna tutte le persone costrette a vivere in quella che “è diventata la più grande prigione del mondo, un’area che non gode dei diritti minimi a causa del blocco israeliano”, ha proseguito Salah Abdul-Ali, che ha poi spiegato che a bordo delle navi in navigazione verso il confine di Israele ci sono gruppi che possono rappresentare chiaramente le condizioni di vita a Gaza: “pazienti (alcuni dei quali feriti dal fuoco dell’esercito israeliano, ndr), studenti e laureati senza lavoro”. Nella striscia, infatti, la disoccupazione dilagante e lo stato del servizio sanitario, prossimo al collasso, rappresentano due gravissime emergenze.
Come ampiamente previsto, non appena la flottilla ha raggiunto le nove miglia nautiche dalla costa, i mezzi della Marina israeliana sono entrati in azione, circondando le imbarcazioni in movimento. L’equipaggio e le persone a bordo, per fortuna, fanno sapere di essere in buone condizioni, mentre sono immediatamente iniziate, secondo quanto rende noto l’associazione We Are Not Numbers, le operazioni della Marina per agganciare la flottilla allo scopo di trascinarla verso il porto israeliano di Ashdod, dove con ogni probabilità l’equipaggio è stato arrestato.
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