Un fiero colpo all’immagine dell’”europeismo” come sentiment in grado di contrastare l’ondata di destra che assume proporzioni preoccupanti in alcuni paesi.
L’Austria guidata dal “giovane talento” Sebastian Kurz è presidente di turno del Consiglio europeo fino al 31 dicembre. In questo periodo punta a far approvare da tutta l’Unione Europea una nuova legislazione in materia di diritto d’asilo. E se ne comincerà a discutere serenamente nella prossima riunione dei ministri dell’interno – a Innsbruck, l’11 e 12 luglio – in cui il ministro di polizia Herbert Kickl, eletto ne partito della destra austriaca Fpö (quello di Haider, per capirci) porterà alla discussione comunitaria un documento di nove pagine “altamente innovativo” che recita: «Stop alle domande per il diritto di asilo sul territorio della Ue».
Vista l’ormai generale ignoranza sui princìpi e la legislazione internazionale che regolano la materia, sarà il caso di ricordare che i profughi sono riconosciuti dalla Convenzione di Ginevra, firmata da quasi tutti i paesi del mondo, come le persone che fuggono dalla loro terra per motivi di persecuzione politica, razza o religione e raggiungono un Paese sicuro, hanno diritto di avviare lì una procedura per una richiesta di protezione.
La qualifica di profughi è insomma di competenza internazionale, con l’Onu che stila una lista dei paesi dov’è in corso una guerra e dove minoranze di vario tipo vengono perseguitate. La qualifica di “paese sicuro”, altrettanto: tutti quelli in cui non c’è una guerra in corso e dove le varie minoranze possono vivere senza (troppe) discriminazioni.
E’ l’abc su cui si è costruita anche l’Unione Europea, costituendo uno dei suoi principali – o più strombazzati – “valori” fondanti.
Il documento proposto dall’Austria, semplicemente, cancella questa storia. E lo fa in modo esplicito, anche se contraddittorio.
Secondo la bozza Kurz-Kickl, pubblicata dal settimanale «Profil», sarebbero in futuro ammesse solo due categorie di profughi autorizzati a fare richiesta d’asilo: a) «Coloro che rispettano valori, diritti e libertà fondamentali della Ue», e b) coloro che «scappano da un Paese vicino all’Ue», o da terre lontane, ma solo «se non trovano nessun Paese terzo sicuro tra il loro e il Paese di primo approdo Ue».
La prima caratteristica è semplicemente irrealistica, perché presuppone che uno fugga dal suo paese dopo aver studiato cultura, tradizioni e valori del paese (o Unione) d’arrivo. Ma è anche fuori dalla Convenzione di Ginevra, che richiede – com’è ovvio – il semplice rispetto delle leggi esistenti nel paese che ti ospita. Non è difficile capire che le leggi sono certe (esistono dei codici scritti), mentre “i valori” sono ballerini nel tempo (fino a 60 anni fa, in Italia, molti femminicidi prevedevano una pena minima per gli assassini, se familiari stretti della vittima, per “motivi d’onore”; e sembrava perfettamente “normale”).
Il secondo criterio – che il profugo non abbia attraversato un “paese sicuro” dalla partenza all’arrivo – punta invece ad eliminare le richieste provenienti da paesi certamente in guerra (Afghanistan, Siria, Yemen, Iraq, Somalia, Eritrea, ecc), ma abbastanza lontani.
L’altro punto decisivo del documento, di improbabile realizzazione, riguarda il luogo dove dovrebbero essere detenuti i profughi in attesa della risposta alla loro richiesta: hotspot collocati fuori dal territorio dell’Unione, dove le organizzazioni internazionali come l’Unhcr o la Iom dovrebbero identificare chi ha davvero bisogno di protezione, su mandato dei singoli Paesi Ue.
La traduzione è semplice. Ogni paese europeo potrebbe stilare la sua lista di “competenze professionali” che è disposto ad utilizzare, e gli organismo dell’Onu dovrebbero fornire loro un profilo individuale che consenta di scegliere fior da fiore. Come un’agenzia di collocamento…
E’ almeno realizzabile, sebbene altamente infame? No. Nel documento austriaco manca infatti completamente la consapevolezza del fatto che quasi tutti i paesi candidabili come “hotspot” si sono già detti indisponibili a ricoprire questo ruolo. Fa parzialmente eccezione la Libia – divisa in una serie di “zone di influenza” in guerra tra loro e con bande Isis – che però preferirebbe, come la Ue, che gli hotspot fossero collocati a sud dei propri confini.
Vedremo come andrà questo primo vertice. Ma un punto fermo è già chiaro: il razzismo è ufficialmente accettato nell’Unione Europea, ai suoi massimi vertici. Si possono discutere tutte le sue “proposte” senza alcun problema morale o etico. Anche quando queste sono in aperta violazione di trattati internazionali fondativi come la Convenzione di Ginevra.
In fondo, si sa bene che le uniche posizioni “inaccettabili” riguardano i trattati economici e finanziari. Quelli sono i veri ed unici “valori europei” in difesa dei quali, se necessario, interviene la Troika, la Bce, la Ue e naturalmente “i mercati”. Per il resto, “fate pure, non verseremo una lacrima, se non quelle di circostanza, a telecamere accese”.
p.s. Viene da provare compassione per quei “sinistri” ancora convinti che ci si debba schierare con gli “europeisti delle banche” per “arginare il populismo nazionalista e razzista”. I barbari stanno a Bruxelles, al posto di comando…
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