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Lo “spirito dei luoghi” nel viaggio papale nel Baltico

Alla fine del mese, il papa si recherà nei Paesi baltici; come informa il quotidiano della CEI, Avvenire, tra il 22 e il 25 settembre papa Francesco sarà a Vilnius, Kaunas, Riga e Tallin. La precedente visita di un papa risale al 1993, due anni dopo la proclamazione della “indipendenza” delle tre repubbliche baltiche dall’URSS: a capo della ditta c’era allora il polacco Wojtyła.

Secondo le indagini della Commissione europea, l’Estonia è il paese più ateo tra quelli della UE (davanti a Svezia, Norvegia e Repubblica Ceca) e il terzo a livello mondiale (dietro Cina e Giappone), con il 16% di credenti; percentuali più alte per Lettonia (40%) e Lituania (42%). In Estonia, quel 16% di fedeli è ripartito poi tra ortodossi (55%), luterani (39%), battisti (1,4%), cattolici (1,4%). Si parla anche della rinascita di rituali e miti pagani – credenze nello spirito di ogni oggetto e luogo, legate ai riti di Taarausk e Maausk – sorti nei primi anni ’30.

Ora, al di là delle percentuali di atei e credenti, superstiziosi e agnostici, ci sono altri “miti”, sorti anch’essi negli anni ’20 e ’30, che accomunano le tre repubbliche baltiche. Da alcuni anni, il loro risorgere è anche ufficializzato ai massimi livelli del potere.

E’ certo che il papa e i suoi vescovi conoscano bene di quali miti si tratti, anche perché quasi tutti i maggiori media ne parlano regolarmente (?), denunciandone (??) il carattere di reazione antipopolare. E non è dunque il caso di rammentare ai devoti prelati le sfilate dei veterani lituani delle Waffen SS, con uniformi, decorazioni e stendardi; non c’è bisogno di ricordare la legge che qualifica il Partito comunista “organizzazione criminale, che nel 1940-1941 e nel 1944-1990 ha favorito l’URSS nell’occupazione della Lituania”.

Inutile tornare ancora sulle fiaccolate annuali al memoriale di Lestenes Brāļu kapi, “a ricordo degli eroi” legionari SS lettoni che qui, l’11 novembre 1944, furono liquidati nella cosiddetta sacca di Curlandia, in cui rimase intrappolato il Gruppo di armate “Nord” della Wehrmacht, due terzi del quale era costituito, appunto, da legionari lettoni. E a che pro parlare di nuovo dei raduni annuali ai memoriali di Sinimäe e Vaivara, in Estonia, a ricordo delle SS cadute; dell’apposizione di targhe celebrative alle facciate di edifici di ex ufficiali collaborazionisti; delle riviste rievocative del nazismo; o delle marce che ogni 16 marzo, a Riga, celebrano gli ex legionari lettoni, lituani ed estoni delle Waffen SS.

Non è proprio il caso di tediare gli alti prelati, ripetendo le lamentele di quelle “poche” centinaia di migliaia di lettoni (“appena” il 15% della popolazione) di origine russa, bielorussa, ucraina o polacca, considerati “non cittadini” e privati dei più elementari diritti.

Sono tutti temi, questi, di cui il sacro soglio è costantemente messo a conoscenza, così come delle centinaia di migliaia di ebrei, zigani, soldati sovietici o semplici cittadini baltici trucidati da quei volontari filonazisti cui oggi le Riga, Vilnius e Tallin ufficiali tributano omaggi.

Dunque, non resta che attendere fiduciosi – siamo sicuri che sua santità non deluderà le attese di quanti sono credenti nella necessità di estirpare croci uncinate, denti di lupo, tridenti e fanatici estimatori di “Adolf Aloisovic” – che Francesco, nel corso delle programmate visite ai “luoghi del martirio”, si ricordi di quali vittime si tratti e di chi siano stati i loro carnefici, quali le “lotte per la libertà”, quali gli “esiliati, i prigionieri politici e i sopravvissuti all’Olocausto”.

Non è certamente casuale, ad esempio, che proprio il Museo “delle vittime del genocidio”, una delle tappe della visita pontificia a Vilnius, sia stato recentemente ribattezzato in “Museo delle occupazioni e lotte per la libertà”: troppo da vicino la parola genocidio, che in Lituania sta a significare la “occupazione sovietica”, rischiava di ricordare come al genocidio nazista degli ebrei avessero preso parte migliaia di collaborazionisti lituani.

Ora, con il nuovo nome, è più chiaro cosa si intenda: le occupazioni sono state solo quelle sovietiche e le lotte per la libertà sono quelle successive alla rivoluzione d’Ottobre e alla guerra antinazista; su una delle facciate principali dell’edificio sono infatti incisi i nomi delle “vittime”: guarda caso, tutte cadute nella cosiddetta “guerra partigiana” antisovietica successiva al 1945. L’edificio era in origine la sede del tribunale, cui succedettero il distretto militare, il tribunale rivoluzionario bolscevico e poi la Corte giudiziaria polacca, durante l’occupazione dal 1920 al 1939. Ha poi ospitato GeStaPo e SD dal 1941 al 1944 e, dopo, il KGB fino al 1991; nelle illustrazioni ufficiali del museo si parla però solo di “occupazione sovietica”.

Secondo la definizione governativa, “per i cittadini lituani questo edificio è il simbolo della cinquantenaria occupazione sovietica”, a ricordo della “resistenza armata e non armata al potere sovietico”: come se gli anni del colonialismo polacco e della presenza nazista siano stati di “indipendenza nazionale”. Francesco sa certamente come si decorino da “eroi nazionali”, i combattenti antisovietici della Unione dei partigiani per la libertà della Lituania (attiva dal 1944 al ’57) salvo poi ritirare l’onorificenza quando si “scopre” la loro partecipazione a fucilazioni in massa di donne e bambini ebrei lituani. Egli sa come tutti quei volontari, prestando giuramento direttamente a Adolf Hitler e combattendo contro l’Armata Rossa, liberassero forze naziste per i campi di sterminio di Salaspils (in Lettonia) o Klooga (Estonia).

Siamo anche sicuri che il papa, a Riga, chiederà chiarimenti storici sulla vera sorte della consorella Madre Maria, dipinta nelle sale del Museo (anche qui) dell’occupazione come “vittima delle repressioni sovietiche” e assassinata invece in un lager nazista nel 1945. O si interesserà delle stragi di decine di migliaia di civli lettoni (da 30 a 60mila) e delle distruzioni di centinaia villaggi in Russia, Bielorussia e Polonia a opera di battaglioni lettoni delle SS o del “Comando Arajs” di polizia ausiliaria: le autorità governative gli sapranno dare ampie delucidazioni, dal momento che li hanno elevati a “partigiani dell’indipendenza nazionale” ed eroi dei famigerati “fratelli dei boschi” che, durante l’occupazione nazista, svolsero “solo” il lavoro di sorveglianza, nelle cosiddette Schutzmannschaften, coadiuvando le SS nel massacro di 25mila ebrei del ghetto di Riga.

L’erede di Pietro è certamente edotto del fatto che il luogo in cui celebrerà la funzione religiosa a Tallin è la piazza della Libertà, all’ombra di quel Monumento alla vittoria nella guerra di liberazione, inaugurato il 23 giugno 2009 e che, contrariamente a quanto il sant’uomo potrebbe pensare, rappresenta la guerra combattuta contro la Russia rivoluzionaria nel 1918-1920: anche a Tallin, quella piazza ha riacquistato nel 1989 il nome datole nel 1939.

D’altronde, gli alti religiosi non hanno certo bisogno di affidarsi a questo giornale per apprendere come, forse proprio per meglio celebrare l’arrivo del pontefice, lo scorso 2 settembre, al cimitero di Lihula, un centinaio da Tallin, gli estimatori estoni di “Aloisovic” si siano curati di ridar lustro alla stele del monumento alla 20° divisione SS, proditoriamente smantellata nel 2004. La stele è però solo una copia: quella originale è gelosamente custodita al Museo della lotta per la libertà, a Tallinn.

Venerdì scorso, all’antivigilia dell’annuale giornata internazionale in ricordo delle vittime del fascismo (istituita dall’ONU nel 1962, si celebra ogni seconda domenica di settembre) si è tenuta a Tallin una conferenza dedicata alle recrudescenze neofasciste e neonaziste in Europa, evidenziando come nel paese il fenomeno abbia raggiunto livelli pericolosi: il tutto, con il beneplacito e spesso con la diretta partecipazione delle autorità. I chiarissimi religiosi sono meglio di noi al corrente della recentissima deturpazione della lapide dedicata ai seimila prigionieri di guerra sovietici, assassinati dai nazisti a Kalevi-Liiva nel ’42-’43, insieme a ebrei e zigani portati qui da Cecoslovacchia, Polonia, Francia, dai lager e ghetti tedeschi di Theresienstadt, Francoforte, Berlino.

Se di questi luoghi, nel viaggio baltico del papa, ci si dimenticherà, meglio affidarsi allora ai riti di Taarausk e Maausk, di sicuro più innocui.

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