L’assassinio, lo scorso 31 agosto, del capo della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko, ancorché costituire il tragico picco di una lunga serie di attentati ai danni dei comandanti più valorosi, conseguenti e anche più stimati dal popolo del Donbass, lascia aperte non poche illazioni sulla situazione interna alle Repubbliche popolari.
Non è certo questa la sede per sviscerare argomenti tutt’altro che semplici. Né, tantomeno, chi scrive dispone di materiali o conoscenze che consentano anche solo di imbastire congetture che, in quanto tali, rimarrebbero sospese in un’inutile astrattezza. Vengono alla mente alcune considerazioni fatte da media vicini alle Repubbliche popolari subito dopo l’assassinio di Zakharčenko, a proposito della presenza in Donbass di numerosissimi specialisti dei servizi segreti di Mosca che, nonostante la loro professionalità, sembrano non essere venuti a capo nemmeno di uno degli assassinii perpetrati in questi anni dagli incursori ucraini: è realistico? E, in ogni caso, fermo restando l’interesse e il grosso vantaggio per i nazigolpisti ucraini dalla eliminazione di capi riconosciuti e stimati delle milizie, come rifiutare qualche dubbio, ad esempio, su interessi “interni” nascosti dietro la tragica sorte di un combattente comunista quale Aleksej Mozgovoj?
Ma, si diceva, il nostro semplice compito di osservatori è quello di riportare, per quanto possibile, la pura cronaca legata direttamente o indirettamente all’aggressione ucraina contro il popolo e il territorio del Donbass.
E dunque, per la cronaca dei fatti, sul fronte caldo dell’aggressione ucraina, continuano i bombardamenti su Gorlovka e le periferie nord e sud di Donetsk, e Kiev sta ammassando mezzi e truppe nell’area meridionale della linea di demarcazione con la DNR. Da parte russa, il Ministro degli esteri Sergej Lavrov ha dichiarato che Mosca non ammetterà una soluzione di forza della questione nel sudest ucraino. “Vorrei mettere decisamente in guardia coloro che accarezzano uno scenario di forza”, ha detto Lavrov a conclusione dei colloqui con l’omologo tedesco Heiko Maas; “sarebbe una catastrofe per il popolo ucraino, che potrebbe davvero silurare lo stato ucraino. Non si può combattere contro i propri cittadini”.
Sul fronte interno al Donbass, nel febbraio scorso, il noto blogger Konstantin Dolgov aveva diffuso una storia secondo cui l’ex capo della Repubblica popolare di Donetsk, Aleksandr Zakharčenko, sarebbe stato circondato, anche nella cerchia più stretta dei suoi collaboratori, da figure non proprio limpide. Dolgov puntava in particolare il dito sul Ministro delle imposte e vice di Zakharčenko, Aleksandr Timofeev (nome di battaglia “Taškent”: rimasto ferito nell’attentato del 31 agosto), accusandolo di essere da sempre al servizio dell’intelligence ucraina, come era risultato essere anche il suo vice, Aleksandr Mikhailov, di cui Zakharčenko in persona aveva annunciato l’arresto in diretta televisiva, con l’accusa di appropriazione indebita.
Ora, in mezzo a fatti abbastanza chiari e netti, sembrano essercene anche altri di non altrettanto semplice definizione. Tra i primi, è di oggi l’accusa lanciata dalla dirigenza della DNR, secondo cui l’attentato contro Zakharčenko sarebbe stato portato a termine sì dal 5° Dipartimento del controspionaggio ucraino; ma, dall’analisi dei resti del materiale esplosivo, risulterebbero presenti elementi ad alta tecnologia, di cui i servizi di Kiev non dispongono, la qual cosa pare confermare la partecipazione diretta di servizi segreti stranieri. Su questo, pochi possono aver avuto sinora qualche dubbio e le evidenze sembrano ora confermare i sospetti.
Meno chiare risultano notizie “più interne” alla DNR. Non trova conferme la voce, diffusa giovedì scorso da media ucraini, su una presunta sparatoria nei locali dell’albergo “Praga”, a Donetsk, in cui ha sede il quartier generale del battaglione delle milizie popolari comandato fino a poco tempo fa dallo scrittore russo Zakhar Prilepin, ex consigliere del defunto Zakharčenko. I media avevano scritto che la sparatoria sarebbe stata originata dal tentativo di disarmare i miliziani, aggiungendo che, dopo l’insediamento di Denis Pušilin al vertice della DNR, a Prilepin e alla sua cerchia sarebbe stato interdetto l’ingresso nella Repubblica. Oggi, mentre lo stesso Prilepin avrebbe smentito sia le sparatorie, sia il divieto di ingresso nella DNR, sembra tuttavia confermata la notizia di ricambi al comando del battaglione, in relazione al suo passaggio agli ordini del Ministero degli interni della Repubblica.
E, a proposito di ricambi, dnr-live.ru scriveva ieri che il Parlamento della DNR aveva votato la sfiducia all’ex presidente della Banca centrale Irina Nikitina (una settimana fa si era parlato della sua fuga a Mosca, insieme a Timofeev e altri esponenti della cerchia di Zakharčenko) e la sua sostituzione, in un primo momento, con Kirill Kušnir, salvo successivamente fermarsi sul nome di Andrej Petrenko. Mentre è stato confermato Andrej Spivak a Procuratore generale, Olga Pozdnjakova sarebbe stata esonerata da direttrice dell’apparato del Parlamento. Difficile individuare le effettive ragioni dei tanti avvicendamenti seguiti all’omicidio di Aleksandr Zakharčenko; difficile rispondere alle numerose domande su “chi è chi” e, soprattutto, quali le linee prospettive di politica interna del nuovo vertice della DNR. Il solo fatto che, tra coloro che hanno finora annunciato la propria candidatura alle elezioni del prossimo 11 novembre, ci siano i nomi dell’ex comandante delle milizie Aleksandr Khodakovskij e dell’ex “Governatore popolare” Pavel Gubarev, ambedue a dir poco “critici” delle ultime scelte della Repubblica, lasciano intendere che ci siano quantomeno forze (quali?) intenzionate a sostenere la loro corsa elettorale, in alternativa all’attuale leadership.
D’altro canto, in mezzo ai tanti ricambi, il solito Dolgov, che non ha mai nascosto le sue simpatie per Denis Pušilin, giudica “strane” le conferme di alcuni ministri del nuovo Gabinetto, a partire dal Ministro per le situazioni d’emergenza, Aleksej Kostrubitskij, che Dolgov sospetta di “manovre poco chiare” nella distribuzione degli aiuti umanitari russi e il Ministro per le comunicazioni Viktor Jatsenko, che sarebbe malvisto da molti cittadini per non aver proceduto alla creazione di una propria rete della DNR, favorendo così i precedenti operatori ucraini. Altre “appropriazioni” a fini personali?
Ma gli avvicendamenti non si limitano agli incarichi repubblicani. Tre giorni fa, in un incontro con Sindaci e presidenti provinciali, Denis Pušilin aveva dichiarato che i mercati cittadini privati, precedentemente nazionalizzati – nel 2015 era stata costituito l’ente “Mercati del Donbass” e nel 2016 era iniziata la nazionalizzazione delle strutture commerciali – devono tornare ai precedenti proprietari privati e rimarranno di proprietà pubblica solo quelli acquisiti aggirando le norme statali. “Per quanto riguarda i mercati realizzati con fondi propri” ha detto Pušilin, “non si può assolutamente parlare del loro trasferimento in proprietà statale. Inoltre, i mercati trasferiti comunque allo stato, dovranno esser passati ai comuni”.
A questo proposito il deputato del movimento liberal-democratico “Donbass Libero”, Evgenij Orlov, ha accolto entusiasticamente l’annuncio del capo della DNR, ricordando come il suo movimento si sia “battuto contro la requisizione dei mercati da parte di Aleksandr Timofeev” e come, dopo la “mia pubblicazione di materiali sulle attività di “Mercati del Donbass”, siano cominciate le denunce sul mio conto e la Corte Suprema abbia rilasciato dichiarazioni disonorevoli su di me”. Ancora una volta, viene dunque ripetuta l’accusa di “appropriazione indebita” di strutture private rivolta a Timofeev, associata a quelle analoghe contro vari direttori a capo delle filiali dell’Ente statale di controllo dei mercati.
Difficile non pensare che sia in atto nella DNR un braccio di ferro su linee contrapposte di sviluppo sociale della Repubblica e che tale braccio di ferro covasse da molto tempo, attutito sinora solo dall’autorità di Aleksandr Zakharčenko. Staremo a vedere. Per parte nostra, la resistenza delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk all’aggressione dei nazigolpisti ucraini e dei loro padrini euroatlantici non può che essere di stimolo sul fronte internazionale della lotta all’imperialismo e ai loro mantenutoli liberalfascisti nazionali.
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