Jean Luc Mèlenchon è stato invitato a “The World Transformed”, uno dei festival politici più grandi organizzati in Gran Bretagna negli ultimi decenni.
Il festival è collaterale al Congresso del Labour, che quest’anno si svolge in questi giorni a Liverpool, ed è stato creato da Momentum nel 2016.
Questo evento ha visto l’altro anno la partecipazione di 5.000 persone.
Momentum è l’organizzazione di base che sostiene il nuovo leader laburista Jeremy Corbyn, creata nel 2015 poche settimane dopo la ascesa alla guida della formazione politica britannica e che ha avuto un ruolo chiave nelle ultime elezioni legislative.
“The World Transformed” è uno spazio di incontro e di dibattito dal ricco programma, e un altrettanto corposo spettro di argomenti trattati.
La cifra dell’evento la danno le parole di Fergal O’Dwyer, organizzatore del TWT, che ha dichiarato:
“Gli ultimi due anni hanno mostrato che c’è sete in Gran Bretagna per un diverso tipo di politica e una nuova società; che strappa il potere dall’establishment e lo mette nelle mani dei più. Con il doppio della capacità e centinaia di altri relatori e sessioni, The World Transformed 2018 sarà il più grande festival politico nel Regno Unito da decenni e discuterà le nuove politiche socialiste che potrebbero confluire nel prossimo manifesto. Quest’anno ci concentreremo su come costruiamo il socialismo dal basso e su come formiamo gli attivisti per portare ora cambiamenti concreti nelle comunità. TWT2018 vedrà anche il nostro movimento diventare globale, con relatori e attivisti provenienti da tutto il mondo per imparare gli uni dagli altri e forgiare un nuovo internazionalismo socialista“.
È in questa cornice che si è tenuto il discorso di Mélenchon, e sempre nella stessa città portuale l’incontro con il leader del Labour.
È interessante leggere ciò che scrive Angus Satow, organizzatore del TWT, nella presentazione che spiega le ragioni di questo invito:
“Il veterano socialista apparirà al fianco del membro del gabinetto ombra laburista Jon Trickett in uno degli atti principali del nostro festival di quattro giorni di politica, arte e musica che è diventato un pilastro della conferenza del partito. I paragoni abbondano tra Mélenchon e Jeremy Corbyn. Dopo l’ondata di Corbyn delle elezioni del 2017, una rivista francese definì il leader laburista un “Mélenchon britannico”. Entrambi sono, naturalmente, uomini bianchi di una certa età che guidano una sinistra in ripresa nei loro rispettivi paesi. Sono compagni di socialismo navigati e controcorrente – entrambi sono emarginati mentre il neoliberismo si impadronisce dei loro partiti, con Corbyn che emerge dalle ceneri nel 2015, e Mélenchon che lascia il Partito Socialista (PS) nel 2008 per formare una nuova sinistra, ora in ascesa. Ma la vera ragione dell’invito di Mélenchon a TWT non è perché questo è il marchio di Corbyn 2.0. No, è per lo stesso motivo per cui TWT sta innanzitutto avvenendo: come parte di un progetto socialista democratico per spostare il potere verso le persone. La verità fondamentale sui successi dei due uomini è che non si tratta di loro. Si tratta di ciò che loro, e TWT, rappresentano: la sinistra che si impadronisce del futuro.”
Diciamo, una visione prospettica ad ampio raggio che ha poco a che fare con i dibattiti correnti nella Sinistra nostrana…
È il prestigioso giornale marxista “Jacobine Magazine” che analizza le ragioni per cui – al di là di alcuni articoli critici abbastanza inconsistenti pubblicati “a sinistra” in Gran Bretagna – si dovrebbe dare il benvenuto a Mélenchon.
Scrive David Broder, dopo avere decostruito alcune delle accuse mosse al leader di FI, sintetizzando alcune linee guida della sua politica, ed avere ricordato che il 40% dei mussulmani francesi ha votato per lui e più del 50% degli aderenti alla CGT:
“Mélenchon dovrebbe essere esaminato attentamente per i suoi fallimenti proprio come chiunque altro. Ma è meschino e un poco sciocco giudicare France Insoumise, o il suo leader, assemblando una serie di citazioni decontestualizzate ed emettere dichiarazioni di colpevolezza con associazioni traballanti. Jeremy Corbyn non era soggetto a una tale campagna, solo due settimane fa? Non sono d’accordo con tutto ciò che dice Jean-Luc (o Jeremy). Ma una politica solidaristica parte dal futuro che vogliamo costruire in comune.”
Vista la sua importanza, in un contributo successivo analizzeremo in dettaglio il suo discorso che, insieme all’incontro con il leader del Labour, delinea una strategia da lui apertamente annunciata di un consesso internazionale che vada oltre i perimetri continentali ed un inizio di confronto con il mondo anglosassone:
“Tutta l’Europa è in crisi“, ha dichiarato al quotidiano Libération, ed è importante, a sinistra, “per ricreare questi legami, dobbiamo conoscerci e, per forza, uno di noi riuscirà ad ottenere una vittoria alle elezioni generali“. Immagina la creazione di un vasto think tank tra i partiti coi movimenti della sinistra del mondo. “La mia pratica personale è più latina e spagnola, prima, non avevamo scambi con il mondo anglosassone. Stiamo appena iniziando la nostra storia con Corbyn.”
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Jean Luc Mélenchon e Jeremy Corbyn hanno molto in comune.
Innanzi tutto l’età: entrambi hanno superato abbondantemente i sessanta e si avviano verso i settanta, ma entrambi hanno avuto un discreto successo tra le fasce più giovanili dei rispettivi elettorati – come il loro “omologo” statunitense Bernie Sanders, rendendo i millenials nuovamente protagonisti della politica.
Le ragioni di questo appeal stanno in un programma politico-sociale avanzato, mentre il programma della France Insoumise è relativamente più conosciuto e reperibile in italiano (“L’avvenire in comune”), quello del Labour è meno noto.
Il programma che sta per uscire dal Congresso di Liverpool, che si svolge in questi giorni, prevede tra l’altro: la ri-nazionalizzazione delle ferrovie e del settore energetico come delle poste, tasse sugli “immobili secondari” per finanziare gli alloggi per i senza casa, l’obbligo per le imprese con più di 250 impiegati di riservare un terzo dei consigli di amministrazione ai dipendenti, una forma di “azionariato popolare” attraverso il trasferimento forzato del 10% delle più grandi imprese nazionali ai dipendenti…
Aditya Chakrabortty, su The Guardian, si chiede se qualcuno ha notato che il Labour ha appena dichiarato la “guerra di classe”, sì usa proprio il termine class war per definire le politiche laburiste…
Il giornalista, che non lesina critica al caustico consigliere economico di Jeremy Corbyn, John McDonnell, e alla sua politica economica, traccia comunque un quadro impietoso della situazione della workig class anglosassone causata da un “eccesso di libera impresa”.
“Per decenni, gli inglesi hanno praticato un lasseiz-faire che consente ai grandi investitori di comprare qualsiasi attività che gradiscono e fare ciò che vogliono. Quell’atteggiamento ha permesso a Philip Green di spogliare le ossa di BHS, a Kraft di atterrire Cadbury e Thames Water ad essere preda di un consorzio di investitori internazionali. I frutti di tutta questa carneficina sono confluiti in un solo gruppo: gli azionisti. Nel 2015, il capo economista della Bank of England, Andy Haldane, ha tracciato ciò che è accaduto alla quota di reddito nazionale dei lavoratori nel lungo periodo. Ha scoperto che il lavoro ha avuto fette sempre più piccole della torta: dal 70% negli anni ’70 al 55% ora. Secondo i suoi calcoli, gli impiegati ottengono proporzionalmente meno ora di quanto ottenevano all’inizio della rivoluzione industriale, negli anni settanta del Settecento. Se i salari degli operai fossero stati mantenuti in linea con l’aumento della loro produttività dal 1990, il lavoratore medio sarebbe oggi più ricco del 20%. Oppure potrebbero avere un weekend di tre giorni tutto l’anno e comunque essere pagati lo stesso.“
Non stupisce che nel Paese che in Europa, per primo, ha conosciuto l’applicazione delle ricette liberiste grazie alla Thatcher, e lo svuotamento tra le file laburiste di ogni istanza progressista con la parabola del “New Labour” di Tony Blair, abbia votato prima per uscire dalla UE e poi per il Labour di Corbyn, che ora è “testa a testa” nei sondaggi con il 35% delle preferenze di voto ed una non escludibile ipotesi di elezione anticipata a novembre…
Torniamo alla strana coppia.
Entrambi sono due “pellacce” che vengono da esperienze “di minoranza” nei propri ranghi, ma non hanno smesso di perseguire una politica “radicale” divenuta sempre più mainstream nei rispettivi Paesi.
La comune passione per le lotte dei popoli latino-americani del Sud-America gli dà un idioma comune con cui potersi parlare: lo spagnolo, frutto anche dell’ispirazione che hanno tratto dalla Rivoluzione Bolivariana nelle sue varie declinazioni continentali.
Entrambi sono stati oggetto, e lo sono tuttora, del linciaggio mediatico da parte dei media internazionali, cioè dei grandi gruppi della comunicazione che dominano il mercato: il partito unico dell’informazione e le sue propaggini nella sinistra “liberal”.
Le critiche alla politica israeliana da parte di Corbyn gli sono costate le accuse di antisemitismo, piattamente riprese anche dalla stampa nostrana.
Il documentario di Gilles Perret sulla campagna del leader di France Insoumise alle ultime presidenziali dello scorso anno, “L’insoumise”, oltre a regalarci un ritratto di Mélenchon, ci fa tastare con mano la vera e propria “macchina del fango” che si è attivata contemporaneamente alla sua crescita nei sondaggi, nel mentre girava la Francia in lungo in largo, proiettando un suo discorso attraverso un ologramma in città differenti da dove si svolgeva il comizio.
Man mano che sempre più persone, in particolare giovani, si stringevano a lui, cresceva il bashing mediatico e le narrazioni tossiche, cosa che è avvenuta anche con Corbyn, le cui copertine dedicategli in fase elettorale da alcuni tabloid rimangono un capolavoro di fake news da ammannire al popolo…
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I sondaggi d’Oltralpe ormai vedono l’indice di gradimento di Macron al di sotto di un quinto, mentre Mélénchon sembra essere il leader più apprezzato dai francesi. Nella “perfida Albione”, sebbene la gestione della Brexit da parte del governo conservatore di Theresa May sia molto criticata nei sondaggi, c’è invece un testa a testa, in una situazione di forte instabilità dovuta all’empasse nelle trattative sull’uscita dalla Gran Bretagna dall’Unione Europea.
Al vertice di Salisburgo, la May ha incassato un “no” unanime alla sua proposta, risultato di una mediazione in patria con l’ala più oltranzista che propugna per una hard brexit, che non ha però annichilito le voci contrarie a quel tipo d’accordo nel partito conservatore.
Il prossimo consiglio europeo del 18 ottobre è un’altra tappa per vedere come procederanno le trattative, per ora ferme, con una UE che mostra compatta una intransigenza nei confronti della leader dei conservatori, che va ripetendo da tempo che “nessun accordo è meglio di un pessimo accordo”.
I tories si avvicinano al loro Congresso questo fine settimana, un appuntamento pieno di incognite, la Brexit sarà al centro delle discussioni così come in parte lo è stata per i laburisti in questi giorni.
La settimana prossima potremmo dare un quadro più dettagliato di come le due formazioni si stanno muovendo verso quel 29 marzo che segnerà o un divorzio “consensuale” tra UE e Gran Bretagna – con un periodo di transizione che finirà il 31 dicembre del 2020, in cui verranno applicate le regole dell’Unione – o un “no deal” dagli scenari geo-politici difficilmente prevedibili.
In ogni caso, sia se si andasse ad elezioni anticipate o che si riuscisse a fare celebrare un “secondo referendum” (come vorrebbe una parte trasversale del Labour), anche la crisi politica britannica ha triturato i precedenti attori politici: quelli che avevano guidato il processo di integrazione europea…
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