La Francia è sempre stata un po’ più avanti nel considerare i diritti del popolo, le regole della democrazia, i confini del dissenso ammissibile fino alla teorizzazione del diritto alla resistenza. La ragione fondamentale non è ovviamente nella genetica di quella popolazione, né nella psicologia. E’ nella Storia.
La Francia (come l’Inghilterra) ha fatto la sua rivoluzione borghese, tagliato la testa al re e dunque i cittadini sono cresciuti nella consapevolezza che i governanti non sono inviati dal cielo, ma scelti dal popolo. E che quando si mettono contro il popolo, questo ha il diritto/dovere di destituirli. Al limite con la forza.
Non sorprende, allora, che la resistenza dei gilet gialli, giunti alla decima settimana di mobilitazione – record assoluto nella storia della Francia repubblicana – anche molti intellettuali si ricordino di avere un ruolo speciale nella formazione della coscienza pubblica collettiva. E che dunque a loro spetta di indicare le magagne del potere, non di coprirlo con la propria complicità servile. Per quello, ovunque, c’è già la polizia. i media mainstream e pure qualche “intellettuale” venduto…
I cani da guardia dello Stato debbono obbedire e tacere. La coscienza razionale e passionale di un paese deve invece disobbedire e parlare.
A voce altissima.
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Più di 250 accademici, intellettuali e artisti esprimono la loro solidarietà al movimento dei Gilets Jaunes, ritenendo che “è responsabilità storica della sinistra non lasciare il campo aperto all’estrema destra”. L’appello è poi stato sottoscritto da molte altre personalità e al momento si contano 4.000 firme.
Chi avrebbe mai pensato che un giubbotto sarebbe bastato a scuotere lo Stato?
Da due mesi assistiamo a un movimento popolare di grande portata sostenuto da gran parte del popolo francese. Questo movimento ha preso il giubbotto giallo come simbolo. Questo giubbotto di salvataggio, che segnala il pericolo, è diventato un grido di battaglia contro la distruzione sociale in corso: “non schiacciateci”! Permette di rendere visibili quelli che di solito rimangono invisibili. Occupando pacificamente le rotatorie, i Gilets Jaunes si ispirano a modo loro dalle occupazioni delle fabbriche del Giugno 1936 e del Maggio 1968, e da movimenti di protesta più recenti come le Primavere arabe, gli Indignados spagnoli o Occupy negli Stati Uniti.
Il movimento dei Giubbotti gialli ha dimostrato ancora una volta che, di fronte ad una potenza pronta a tutto per imporre le sue “riforme”, solo la lotta può vincere: occupare, bloccare, dimostrare, toccare i luoghi sensibili dello Stato, dell’economia e della finanza. Tessere legami, inventare la solidarietà, organizzarsi per resistere, federare la collera, cercare delle convergenze, creare nuove forme di resistenza, pensare a nuovi modi di fare politica.
Di fronte a questo movimento, lo Stato ha scelto la strada della repressione della polizia e giudiziaria. Ora sta pianificando di schedare i manifestanti per poter effettuare arresti preventivi. Mentre le armi utilizzate dalla polizia hanno già causato ferite e mutilazioni tra decine di manifestanti, nuove istruzioni di “estrema fermezza” sono state appena impartite a prefetti e procuratori.
Per giustificare questa politica di brutale scontro, le autorità stanno facendo tutto il possibile per screditare i Gilets Jaunes. Così, Emmanuel Macron li ha stigmatizzati come una “folla odiosa” che sarebbe xenofoba, omofoba e antisemita allo stesso tempo… Lo Stato può contare sulla complicità di alcuni media che mettono in evidenza il minimo incidente per far apparire i Gilets Jaunes come razzisti e fascisti. Può contare anche sui suoi cani da guardia, quegli intellettuali mediatici che si sono affrettati a denunciarli come “barbari” e “gilet bruni”. Uno di loro si è appena congratulato con la polizia per aver “salvato la Repubblica”!
Molti accademici, intellettuali (insegnanti, ricercatori, ecc.) e artisti sono finora rimasti cautamente silenziosi, compresi quelli che mostrano simpatia per la sinistra e l’estrema sinistra. Indubbiamente perché questo movimento sfugge alle consuete categorie di giudizio politico – imprevedibile, inclassificabile, come il Maggio 68 a suo tempo, come qualsiasi evento storico degno di questo nome. Alcuni hanno preso posizione a favore di questo movimento popolare, ma le loro parole sono ignorate dai media mainstream. È questo silenzio che noi vogliamo contribuire a rompere, affermando pubblicamente la nostra solidarietà con i Gilets Jaunes e invitando intellettuali, accademici e artisti ad unirsi a loro.
Si tratta certamente di un movimento eterogeneo, attraversato da molte contraddizioni, e che è oggetto di tentativi di infiltrazione e recupero da parte dell’estrema destra. È importante rimanere vigili di fronte a qualsiasi deriva complottista, razzista o omofoba. Ma questi slittamenti rimangono opera di una piccola minoranza e non possono in nessun caso essere usati come pretesto per screditare tutti i Gilets Jaunes. Pur condannando senza riserve le minacce di morte contro funzionari eletti o Gilets Jaunes accusati di “tradimento”, contestiamo l’uso indiscriminato del termine violenza, che confonde la violenza fisica contro le persone, che è inaccettabile, con i danni alle proprietà (auto bruciate, vetrine rotte o porte del ministero forzate…) che accompagna sempre le rivolte popolari. Senza contare che, come ha scritto Brecht, “Dicono che un fiume che porta via tutto è violento / Ma non dicono mai nulla della violenza / Delle rive che lo circondano“.
Il movimento dei Gilets Jaunes è nato da una esigenza di uguaglianza e giustizia, una protesta contro la distruzione del “modello sociale francese” e la precarizzazione di ampie fasce della popolazione, ancora accelerata dalle riforme neoliberali portate avanti a ritmo sostenuto e senza concertazione da Emmanuel Macron. Questo movimento riflette una richiesta di riconoscimento, un desiderio di essere ascoltato e rispettato, di fronte alla sprezzante arroganza di un governo di tecnocrati che si considerano “troppo intelligenti, troppo fini” per essere compresi da un popolo di “analfabeti”, di persone “che non sono niente”.
Partendo da una rivolta antifiscale, il movimento dei Gilets Jaunes ha vissuto una rapida politicizzazione che ha avuto luogo al di fuori di tutti i partiti. Si è assistito all’emergere di rivendicazioni radicali sulle istituzioni e sull’esercizio del potere. Facendo riferimento alle tradizioni storiche della Rivoluzione francese (cahiers de doléances, appello agli Stati Generali, “marcia delle donne”…), i Gilets Jaunes hanno risvegliato l’idea di una cittadinanza attiva basata sulla competenza del popolo. Sarebbe un grave errore condannare come “populisti” o reazionari la loro rivendicazione di un “referendum d’iniziativa popolare” o l’appello dei Gilets Jaunes de Commercy a creare “comitati popolari” di cittadini ovunque e a federarli in una “assemblea di assemblee”.
L’esigenza di un’espressione diretta della volontà popolare, la rivendicazione di controllo dei rappresentanti eletti dai loro elettori, che li sottoporrebbe a un mandato imperativo e revocabile: tutto questo appartiene alla tradizione democratica e rivoluzionaria, dai Sanculotti, la Rivoluzione del 1848 e i Comunardi fino ai Consigli operai del XX secolo. Il rifiuto di qualsiasi delega di potere che caratterizza la maggior parte dei Gilets Jaunes si inscrive nella stessa tradizione, quella della democrazia radicale e libertaria, rianimata dalla memoria delle rivolte tradite.
Oggi, il movimento dei Gilets Jaunes si trova ad un bivio. Anche se non deve essere sopravvalutato, c’è il rischio che l’estrema destra possa riuscire a imporgli il suo orientamento autoritario, odioso e xenofobo. È responsabilità storica della sinistra non lasciarle il campo libero.
Per tutte queste ragioni, ci rivolgiamo ad accademici, intellettuali e artisti fedeli agli ideali di emancipazione per sostenere attivamente i Gilets Jaunes, per trasmettere le loro richieste e unirsi a loro nella lotta.
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Questo testo è una petizione aperta, per firmarlo clicca qui
Elenco dei primi firmatari:
Naïm Aïm Aït-Sidhoum, regista
Karen Akoka, docente di scienze politiche, Università di Parigi Nanterre
Michel Andrieu, regista
Armelle Andro, professore di demografia
Hervé Amiot, dottorando in geografia, Parigi
Jean-Loup Amselle, direttore degli studi presso l’Ecole des Hautes Études en Sciences Sociales, Parigi.
Fabien Archambault, Università di Limoges
Valerie Arnhold, dottoranda in sociologia e ATER presso l’Università di Parigi Dauphine.
Stéphane Arnoux, regista
Nicolas Aude, ATER in Letteratura comparativa, Università di Lille
Michel Barthélémy, Sociologo, CNRS, Parigi
Yves Baumgarten, insegnante di filosofia del liceo
Traduzione a cura di Andrea Mencarelli (Potere al Popolo! Parigi) dell’appello pubblicato su: https://blogs.mediapart.fr/edition/les-invites-de-mediapart/article/120119/nous-ne-serons-pas-les-chiens-de-garde-de-letat?fbclid=IwAR0NndOxxvX-0dOJXKldztrWqjduasivtlJUk4cMSFb5ggmEET-0BcUYjNk
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