La tensione resta alta lungo il confine tra Libano ed Israele e, secondo alcune testate mediorientali, potremmo essere vicini alla “resa dei conti”, soprattutto dopo le recenti dichiarazioni di Hassan Nasrallah, segretario di Hezbollah, o il monito di Bashar Jaafari, rappresentante siriano all’Onu, su una possibile risposta militare di Damasco contro l’aeroporto di Tel Aviv a fronte delle continue provocazioni israeliane.
Numerosi analisti, della stessa stampa israeliana, affermano che l’obiettivo del governo di Netanyahu, perseguito in questi anni, sarebbe quello di aumentare la tensione in Libano con l’intenzione di aprire un nuovo fronte nella continua lotta tra Arabia Saudita, Israele e Usa contro l’asse sciita (Iraq, Siria, Libano) guidato dall’Iran.
Proprio per evitare tensioni e ulteriori frizioni lo stesso Hezbollah aveva deciso di mantenere un basso profilo, non replicando alle provocazioni di Netanyahu, durante l’operazione “Margine del Nord”. Una scelta legata al difficile clima politico interno e all’impasse nella formazione del governo libanese, ad 8 mesi dalle elezioni parlamentari.
Dopo un’assenza di tre mesi, il segretario generale di Hezbollah ha rotto il silenzio ed ha rilasciato un’intervista sul canale televisivo libanese Al Mayadeen, smentendo tutte le recenti illazioni della stampa israeliana su una sua “grave malattia invalidante”. “Il primo ministro israeliano ha reso comunque un grande servizio alla Resistenza libanese, instillando la paura in tutti quei coloni che vivono lungo la frontiera”- ha affermato Nasrallah – “ed ha aiutato Hezbollah nella sua guerra psicologica di deterrenza”. Un’operazione “mediatica” da parte del governo israeliano, senza nessuna rilevanza militare anche perché, secondo numerose fonti, quei tunnel “inutilizzati e vecchi” risalirebbero al conflitto del 2006.
“In caso di aggressione contro il Libano, noi dovremo difendere la nostra terra e ci riserviamo il diritto di ricorrere a tutte le nostre capacità militari” – ha ironizzato il segretario di Hezbollah – “se decideremo di entrare in Galilea, loro non sapranno da dove arriveremo se dal mare, dal cielo o dalla terra”.
I recenti bombardamenti in Siria, il continuo sconfinamento ed utilizzo dello spazio aereo libanese, le minacce di un possibile attacco contro le postazioni dello Hashed Shaabi (Unità di Mobilitazione Popolare) in Iraq, vengono considerate, al contrario, una strategia molto rischiosa per Tel Aviv. Una possibilità di conflitto che sembra essere diventata molto più “concreta che in passato” a tal punto da aver portato al rientro di oltre 3mila militari dei reparti scelti di Hezbollah dalla Siria. Soprattutto alla vigilia della prossima conferenza di Varsavia per la creazione di una “Nato Araba” con l’obiettivo di combattere l’Iran ed i suoi alleati.
La possibilità di un conflitto sembra vicina e lo stesso quotidiano israeliano Maariv ha riportato la notizia della richiesta fatta del ministro francese, Jean Yves Le Drian, ad Israele “di ritardare un’eventuale azione militare contro Hezbollah fino al mese di marzo lanciando un ultimatum a Beirut per la formazione di un governo”.
Nell’intervista Nasrallah ha chiarito che la “Resistenza libanese è pronta a qualsiasi aggressione” e “potrebbe concretamente rispondere alle provocazioni israeliane” come i recenti bombardamenti in Siria che hanno come obiettivo quello di distruggere le armi iraniane. Una “motivazione ridicola”, secondo il segretario generale di Hezbollah, visto che il partito sciita, com’è ormai noto, possiede da diverso tempo un arsenale militare (si parla di oltre 120mila testate) con missili di alta precisione pronti a colpire obiettivi in tutto il territorio israeliano.
Dello stesso parere il direttore del giornale online Rai Al Youm, Abdel Bari Atwan, che considera l’atteggiamento di Netanyahu, in calo di consensi per le accuse di corruzione nei suoi confronti, maggiormente aggressivo proprio a fini elettorali, con l’intento di creare un sentimento di minaccia nei coloni per ottenere i loro voti. I bombardamenti aerei di queste settimane sarebbero, sempre secondo Atwan, il tentativo di “risollevare, a livello mediatico, l’immagine di Israele come potenza militare da temere” dopo le sconfitte di questi anni e la scomparsa di tutti i gruppi jihadisti sostenuti e finanziati da Tel Aviv nelle alture del Golan.
“La strategia dell’asse sciita” – conclude Atwan – “sta cambiando e potrebbe portare ad una concreta risposta militare in caso di una nuova possibile aggressione israeliana contro la Siria o il Libano, anche perché siamo in un contesto in cui gli USA sono in un momento di stallo e si stanno ritirando dalla Siria e gli stati arabi del Golfo sono in crisi nella loro lotta interna tra sauditi e qatarioti”.
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