Conclusosi con un eclatante flop il “Grand Debat” macroniano, e terminato un ciclo di mobilitazioni iniziate venerdì scorso con le marce per il clima, proseguite sabato e conclusesi questo martedì con un riuscito sciopero generale e relative iniziative, il “presidente dei ricchi” non ha che una carta da giocare di fronte ad un movimento che non rifluisce e non arretra: il terrore.
Il terrore è stato al centro delle politiche sociali macroniane ed ora diventa un dispositivo di gestione dell’ordine pubblico tout court: il movimento sociale diviene ufficialmente “il nemico interno” contro cui schierare l’esercito, dando mano libera all’uso indiscriminato delle armi non letali contro i manifestanti, amplificando anzi i mezzi a disposizione con i “marchiatori” per i manifestanti e i gas lacrimogeni lanciati dai blindati; nonché con il divieto di manifestazione nei centri cittadini degli epicentri della marea gialla, da Parigi a Marsiglia, da Bordeaux a Tolosa, solo per citare le città più mobilitate in questi mesi e dove la convergenza delle lotte è ormai un dato di fatto da tempo.
La tragica contabilità della repressione ci parla di più di 8.000 persone poste in stato di fermo, numerose condanne “esemplari” da scontare in carcere, circa 200 feriti gravi, 22 persone amputate e 5 mani “distrutte”, con chirurghi e specialisti in oftamologia che denunciano “ferite di guera” provocate da questa orrenda carneficina che non ha pari nella società francese del dopo ’68.
Un coraggioso giornalista che ha iniziato scientificamente questa indagine, David Dufresne, è diventato ormai un punto di riferimento per tutto il movimento ed una opinione pubblica sensibilizzata, così come gli storici collettivi che si occupano di violenze poliziesche, tra i protagonisti dell’oceanica marcia parigina di sabato scorso: il Comitato per la Verità su Adama e Desarmons-les.
Partiamo dalle parole del portavoce del governo che sintetizzano l’attitudine dell’entourage macroniano, che ha deciso di impiegare i militari del dispositivo antiterrorista “Sentinelle” per presidiare alcuni luoghi simbolo.
Era dagli scioperi “insurrrezionali” del 1947-48 che il governo non faceva ricorso all’esercito, assecondando così le richieste fatte già da dicembre da alcune organizzazioni di categoria della polizia.
“Noi non possiamo far sì che un infima minoranza violenta faccia precipitare il nostro paese in un abisso e che la nostra immagine all’estero si deteriori”, ha dichiarato appunto Benjamin Griveaux, portavoce del governo, da tempo alfiere del partito dell’ordine e non ostile alla possibilità di promulgazione dell'”Etat d’Urgence” che è di fatto in atto.
Non bastava l’aver adottato una legge liberticida, un pacchetto legislativo che introduce di fatto “il daspo” per i manifestanti ed equipara tra l’altro banali indumenti protettivi ad armi – nel mentre le forze dell’ordine dispongono di pallottole di gomma e granate “disaccerchianti” contenenti del TNT (tritolo) – e introducendo il reato penale di “travisamento”, ora il governo dei banchieri adotta come paradigma “la guerra civile a bassa intensità”, utilizzando dispositivi mutuati dalla lotta “antiterrorista” contro attentati e aggressioni.
Questo è un salto di qualità nella storia repubblicana che ha fatto insorgere le opposizioni: “voi siete diventati pazzi“, ha gridato Jean-Luc Mélénchon, leader di France Insoumise e deputato all’Assemblea Nazionale in direzione di F. Bayrou.
Mentre “En Marche” si compatta sulle misure prese – si tratta della formazione con cui tal Zingaretti “si felicita” di aver avviato un rapporto che spera “proficuo” – si moltiplicano le prese di posizione non proprio inclini al “vittimismo” di alcune figure di spicco o semplici militanti dei GJ.
È un dato straordinario, questa tenacia e capacità di capire il “momento storico” che avrà nell’atto di sabato la sua prova empirica, tenendo conto che il governo sta legittimando una “sale guerre” (“guerra sporca”) contro il più longevo e ampio movimento della sua storia contemporanea. Un governo intimorito – come lo fu a dicembre – dell’irruzione di una gioventù che ha riempito strade e piazze venerdì scorso, difficilmente recuperabile oltralpe dalle sirene del “centrismo” compatibilista dei verdi o da altre formazioni “neo-socialdemocratiche”.
La questione della transizione ecologica e sociale in Francia è percepita come un processo di “rottura” e non come un orpello del green-deal di cui Macron doveva tra l’altro essere espressione (ricordate le dimissioni del suo ministro Hullot e le sue dichiarazioni a settembre?).
In Francia hanno da tempo identificato nelle oligarchie, nelle lobbies e nei loro referenti politici il partito del “biocidio” che mette in discussione il pianeta, rende un inferno la vita delle persone, e che dovrebbe essere il bersaglio della tassazione per una vera transizione ecologica.
Dai padroni dell’agrobusiness a quelli della grande distribuzione, passando per l’establishment nucleare e i campioni della cementificazione ed i loro alleati finanziari, sono stati questi i “bersagli”, in tutti i sensi, di quattro mesi di protesta, “preparata” in un certo senso da importantissime esperienze di lotte ecologiste radicali come la ZAD di Notre-Dame des Landes e la lotta contro lo stockaggio dei rifiuti nucleari, o la sensibilizzazione attorno al divieto del pesticida Round-up della Bayern-Monsanto.
Concludiamo con i sondaggi che “allarmano” l’establishment: ora circa i tre quarti dei francesi, intervistati per una indagine citata dal Nouvelle Observateur, non hanno fiducia nelle capacità degli attuali “uomini forti” del governo nel sapere gestire la situazione; la sfiducia maggiore è nei confronti di Castaner.
A parte questo, un sondaggio dell’IFOP ci dice che il 39% degli intervistati dichiara che c’è bisogno di una “rivoluzione” affinché si determini un cambiamento, mentre il 50% parla di un “programma di riforme” e solo il 3 per cento dice che non c’è bisogno di cambiamento!
Tre percento, alla faccia di TINA (there is no alternative)!
David Nguyen, direttore di un importante dipartimento dell’IFOP, dichiara che “la radicalità è molto presente nella società”. Morte dell’ideologia neo-liberale, potremmo dire.
Il dizionario Larousse alla voce autoritario riporta: “chi fa ricorso a tutta l’autorità che possiede senza imporsi limiti”. E la sinistra nostrana, anche radicale, forse una ripassatina al dizionario dovrebbe darla…
I francesi, bontà loro, hanno una splendida letteratura; un tal esiliato dai moti del ’48 – 1848 – scriveva che non sarebbe servito l’esercito affinché una idea si affermi quando viene il suo tempo.
Era Hugo, Victor Hugo. Vi fa schifo la “rivoluzione”, poco importa, perché tanto non fa sconti a nessuno.
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