Brexit ed elezioni in Italia sono due cose sicuramente diverse con almeno un punto forte in comune: la maggioranza non esprime un voto per ma contro qualcosa e qualcuno. Quel qualcosa è la propria condizione di vita; quel qualcuno é Renzi o l’Unione Europea, ritenuti responsabili di tale condizione. È un’individuazione semplificata, per i colti analisti della politica è grossolana e rozza, tuttavia non è certo sbagliata. Quando si è sotto assedio e si fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, bisogna colpire il bersaglio grosso e più immediato. Il tempo per i dettagli e i distinguo verrà dopo.
Lo dimostra la composizione sociale del voto nel Regno Unito, come già quella in Italia: i centri urbani vogliono rimanere, periferie e territori colpiti dalla crisi andarsene. Tant’è che il quesito referendario potrebbe essere così riformulato: vuoi restare nella tua attuale condizione di vita o uscirne? Cosa volete che rispondano disoccupati, precari cronici, pensionati ridotti sul lastrico, ceti medi deprivati di ciò che avevano avuto fino a qualche tempo fa? Era già successo per l’Oxi in Grecia, quella fulminea scintilla che non incendiò la prateria: Tsipras e Syriza volutamente non ammisero che si trattava di un no contro il mostro Europa, e ciò mise fine alla storia politica della loro breve anomalia.
Ancora una volta, nella Brexit si rompe la dialettica tra destra e sinistra, che serve ormai solo all’autoriproduzione dei ceti politici e dei loro intellettuali più o meno organici. Nella crisi la divisione iniziale, istintiva, si crea tra chi vuole conservare lo status quo (magari, promettono i sinistri, per riformarlo o cambiarlo in futuro) e chi lo rifiuta. Da che parte stiamo noi? Questo è il punto. Chi si schiera dalla parte della conservazione dello status quo, fa una scelta di campo. Fa una scelta di classe. A poco serve appellarsi al pericolo fascista, anzi: se i fascisti hanno la scaltrezza di tentare di sguazzare in quella composizione sociale, la responsabilità è nostra, non della composizione sociale.
Mutatis mutandis, si ritorna qui alla teleologia del marxismo ortodosso della Seconda Internazionale, quello per cui i popoli colonizzati dovevano accettare il proprio destino storico, o i briganti piegare la testa di fronte al Regno Sabaudo. Tra le fila degli europeisti a prescindere, che oggi si lagnano dell’idiotismo dei proletari inglesi, ve ne sono molti che si entusiasmavano quando gli storici militanti dei Subaltern Studies ci hanno spiegato come gli indiani che nell’800 si ribellavano alle truppe imperiali inglesi erano mossi dalle più diverse pulsioni, un misto di credenze e tradizioni unificate da un istinto comune, l’opposizione e il rifiuto dell’invasore. (E non parliamo della questione nazionale, spauracchio per i burocrati dell’internazionalismo ideologico, anche di quello esportato con le armi: ma siamo sicuri che tra lavoratori e precari che stanno lottando in Francia in questi mesi non vi sia anche l’ambiguo desiderio di non voler fare la fine di italiani e greci?) Oggi per queste stesse persone i soggetti colpiti dalla crisi dovrebbero rassegnarsi alla propria vita di merda, nell’interesse generale degli ideali di sinistra e della funzione progressiva dell’Europa. Ma, si sa, i barbari lontani nello spazio e nel tempo sono sempre più simpatici e innocui di quelli che prendono forma sotto casa, minacciando gli standard di vita di quei ceti che in fondo dall’Europa dipendono.
Se non un terremoto (gli effetti sono stati in anticipo enfatizzati per creare paura e indirizzare il voto), certo degli scossoni la Brexit li procura: Cameron costretto alle dimissioni, i laburisti in crisi, i mercati in fibrillazione, i media sgomenti, l’Europa a pezzi. Noi non sappiamo che direzione prenderanno questi scossoni, ma la cosa sicura è che solo qui dentro possiamo organizzare il terremoto. Chi oggi impaurito preferisce la quiete non sta dall’altra parte nella dialettica tra destra e sinistra, sta dall’altra parte nella dialettica di classe. Perché le rivoluzioni si sono sempre fatte con i barbari. Sarebbe troppo auspicare che chi a parole vuole la trasformazione dello stato di cose presente si metta a studiare Lenin. Ma almeno qualche romanzo di Ballard in questi anni avrebbe potuto leggiucchiarlo…
da http://commonware.org
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Francisco
Per una volta, una almeno, si dovrebbe prendere una chiara posizione sul ruolo del voto.
Noi non votiamo? Abbiamo ragione a non farlo da comunisti? Però sbaviamo per i “successi” dei qualunquisti che col loro VOTO determinano la classe dirigente del paese che fa del proletariato la solita unica vittima… delle due l’una, o ci si è completamente rimbambiti o abbiamo letto la storia a rovescio.
C’è una terza via però molto più pericolosa, che vede malati di testa che girano il mondo dicendosi comunisti tipo “io sono Napoleone” e che qualcuno ci crede pure solo perché questi nominano Lenin o Marx senza tener conto (a differenza di quei due) di 170 anni di storia, dal carretto a Marte, detto i soldoni.
Allora mi chiedo perché e per come dovrei accettare e bearmi pure immobile, da comunista, il potere designato da una metà della metà degli aventi diritti al voto, perché tirate le somme di questo si tratta, altro che starsi a preccupare dei piagnistei di chi si offende perché lo tacciano da barbaro.
Mi cucio addosso la veste di maggioranza vessata (maggioranza una cippa, siamo una minoranza) addirittura a volte offro (non certo io) anche il mio voto a rappresentanti reazionari borghesi fascistoidi e lascio passare in silenzio che ormai il 50% (quando va bene) dei maggiorenni se ne sta in finestra a guardare? Cosa aspettano costoro, un’implosione priva di schegge?
Questi altri votano, vanno al governo, fanno le leggi e guadagnano decenni, non giorni… Lenin si rivolterebbe nella tomba a sentirsi citato in una boiata del genere.
marco
perfettamente d’accordo con francisco .
sperando che non mi oscurino il commento ogni qual volta si mette in discussione il sacro dogma pentastellato.
dai su… le elezioni sono passate, avete vinto, spero che qualche lavoratore venga internalizzato.
Per quel che mi riguarda l’unico cambiamento in vista è che la neosindaca “previta”, mutatis mutandi, si è messa una bella rappresentanza di cerroni in giunta e minaccia di costruire un inceneritore proprio sotto casa mia.
Almeno sul piano personale potrò dire che avevo ragione a fregarmene dei 5 stelle e a pensare ad una prospettiva comunista?