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Prigionieri palestinesi. Crescono le proteste nella carceri israeliane

Dalle parole ai fatti. Dopo l’annuncio di gennaio, in formato pre-elettorale, del Ministro della Pubblica Sicurezza israeliano, Gilad Erdan, su un” peggioramento delle condizioni dei prigionieri” si è passati all’attuazione di nuove misure repressive nei confronti dei detenuti palestinesi nelle carceri di Neguev, Ramon e Ofer.

In questi mesi, come denunciato dalla Ong per i diritti umani Addameer, le autorità di Tel Aviv hanno cominciato ad utilizzare nuovi “dispositivi di disturbo ad onde sonore” – considerati da diverse Ong cancerogeni – con l’obiettivo di limitare qualsiasi possibilità di contatto dei prigionieri con il mondo esterno e per oscurare i segnali di televisione e radio. Apparecchi di nuova generazione che, emettendo un continuo segnale sonoro, producono un rumore “assordante” che provoca “forti mal di testa , malattie croniche e impedisce ai detenuti anche di poter dormire” come riportato dal “Movimento dei prigionieri palestinesi”.

Un nuovo inasprimento del regime di detenzione, da parte del governo israeliano, che si va ad aggiungere alle altre forme di “tortura” già utilizzate: le continue deportazioni da un carcere all’altro, la privazione del cibo e del sonno, il divieto di poter incontrare avvocati, familiari o le limitazioni di potersi far visitare, per motivi di salute, se non per “gravi condizioni fisiche”. Limitazioni e pratiche utilizzate anche nei confronti delle donne detenute – circa una sessantina – con atteggiamenti che hanno l’obiettivo di “umiliare e mortificare la loro stessa condizione femminile”, come recentemente denunciato da Khalida Jarrar, avvocato ed esponente del Fplp. La Jarrar è stata recentemente liberata, dopo un periodo di oltre 20 mesi di detenzione amministrativa, senza, quindi, un preciso capo d’imputazione e senza la possibilità di potersi difendere davanti ad un tribunale.

In risposta all’utilizzo di questi nuovi dispositivi stanno progressivamente crescendo le proteste da parte dei prigionieri palestinesi. Lo scorso sabato due prigionieri hanno ferito due guardie carcerarie nel centro di detenzione del Neguev, il più grande carcere israeliano. Dopo qualche ora sono intervenuti i “reparti anti-sommossa delle forze speciali israeliane” che hanno ferito quasi tutti i detenuti di quel settore, oltre 250 prigionieri, ferendone 25 in modo grave.

Tensioni e scontri anche nelle altre carceri di Ofer e Ramon, dove i detenuti, in segno di protesta, hanno incendiato vari oggetti. Anche in quel caso i prigionieri hanno subito una repressione “sproporzionata e brutale da parte delle autorità israeliane”, come riportato da quotidiano palestinese online Al Hadaf.

In un comunicato congiunto il Fplp- principale forza politica della sinistra palestinese- ha dichiarato che “i detenuti sono oggetto di un attacco senza precedenti nella violazione dei loro diritti fondamentali, con pratiche che incidono sulla loro salute fisica e psicologica”. “Questo obbliga tutti i partiti palestinesi che rappresentano la Resistenza” – continua il comunicato – “a sostenere e affiancarsi nella battaglia dei detenuti per la loro libertà e per la loro dignità”.

Lotte che si vanno ad aggiungere ai continui gesti di ribellione, da parte della popolazione, in Cisgiordania o alla possibile escalation di questi giorni, con il rischio di un nuovo conflitto, nella Striscia di Gaza.

Il “Movimento dei prigionieri palestinesi”, di cui fanno parte tutte le principali fazioni politiche (Fatah, Fplp, Fdlp, Hamas e Jihad islamico) – forse l’unico raggruppamento, in questo momento storico, a rappresentare quell’unità nella resistenza tanto richiesta dal popolo palestinese – ha dichiarato che la repressione non “fermerà le proteste e la lotta dei detenuti nelle carceri israeliane”.

Nella loro protesta tutte le formazioni politiche palestinesi hanno invitato , lo scorso 11 marzo, le istituzioni umanitarie e le associazioni per i diritti umani, tra i quali la Croce Rossa Internazionale, ad entrare nelle carceri israeliane ed a “fare pressione sulle autorità per verificare il rispetto dei più basilari diritti dei prigionieri”. Richieste, ad oggi, rifiutate dal governo di Tel Aviv.

Come esempio dell’utilizzo delle pratiche repressive da parte dell’esercito israeliano, sta diventando virale, in questi giorni, l’arresto di un bambino palestinese di 8 anni prelevato in una scuola della Cisgiordania dalle forze di occupazione israeliane e difeso dai propri insegnanti.

https://www.youtube.com/watch?v=apASojLc2MM&feature=youtu.bett /youtu.be/apASojLc2MM

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