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La “Guerra Ibrida” della CIA contro il Venezuela

Nonostante “La Operacion Constitucion” si sia conclusa con il misero e silenzioso ritorno a Caracas di Juan Guaidò, e la cattura dei quattro comandanti del fatiscente “Esercito di Liberazione Venezuelano” (1), attualmente nella regione di Tona, nel dipartimento colombiano di Santander, le “antenne” della CIA e gli ufficiali colombiani della Inteligencia y Contrainteligencia Militar Conjunta-J2, continuano i preparativi per mettere in piedi negli stati venezuelani di Tachira, Zulia, Amazonas e Apure un “foco” eversivo, con l’obbiettivo di promuovere una guerra civile, che coinvolgerebbe la Colombia e quindi l’immediato intervento militare degli Stati Uniti.

Basandosi su questa prospettiva, il 4 marzo, il vicepresidente degli USA, Mike Pence, tornava all’attacco ricordando che “… Il presidente Donald Trump continua fermamente convinto della necessità urgente di derubare il governo presieduto da Nicolas Maduro, anche con una soluzione militare (2) e senza l’autorizzazione internazionale!...”

Una dichiarazione scandalosa che non è stata gradita nemmeno dai lacchè del Gruppo di Lima (3), registrando nuovamente il dissenso dei generali brasiliani e di quelli argentini e anche la discordanza di molti ufficiali superiori colombiani.

Infatti, il 25 febbraio, il vicepresidente del Brasile, generale Hamilton Mourão, presente nella riunione del gruppo di Lima, realizzata nella capitale colombiana, Bogotà, riaffermava allo sbigottito Mike Pence la posizione contraria dei militari brasiliani che, lo stesso generale Mourão aveva annunciato, per la prima volta il 23 gennaio, subito dopo l’incoronamento di Juan Guaidò con il titolo di “Presidente Interino” da parte di Donal Trump. Un pronunciamento che spezzò l’enfasi bellicista della Casa Bianca, poiché, il generale Hamilton Mourão, che in quel periodo ricopriva l’incarico presidenziale in assenza del presidente Jair Bolsonaro, sentenziò: “il Brasile e le sue forze armate non si immischieranno nella politica interna del Venezuela!”.

La posizione espressa dal vicepresidente brasiliano, generale Mourão nella riunione del gruppo di Lima, ha influenzato il posizionamento dei generali argentini, che, nonostante le dichiarazioni belliciste del presidente Macri, in modo categorico hanno ricordato che: “… Le forze armate argentine potrebbero integrare una missione di pacificazione in Venezuela solamente se questa sarà votata e autorizzata dall’Assemblea delle Nazioni Unite!..”.

Nella capitale colombiana – dove il clima politico è sempre più complesso a causa della crisi economica e del permanente stato d’instabilità provocato dalla corruzione e dal narcotraffico -, gli abbracci e le strette di mani del presidente Iván Duque Márquez con il vicepresidente statunitense Mike Pence non hanno convinto i generali dello Stato Maggiore, poiché dopo la decennale e tragica esperienza del “Plan Colombia”, nessuno ufficiale e soldato colombiano vuole più rischiare la vita in una difficile “guerra di selva”, soprattutto con il Venezuela!

In realtà, soltanto l’esplosione di una dilacerante guerra civile, che minacci di danneggiare le infrastrutture petrolifere (pozzi, raffinerie e porti di imbarco), potrebbe convincere il Congresso degli Stati Uniti sulla necessità d’intervenire militarmente in Venezuela e quindi autorizzare i generali del Pentagono a realizzare un “attacco chirurgico” contro il Venezuela.

Un attacco che l’ammiraglio Craig Faller, capo del comando meridionale delle forze armate degli Stati Uniti (SouthCom), nel passato mese di ottobre, in una seduta del Comitato del Senato per la Difesa, definì “rischioso”, perché “… l’esercito bolivariano è strutturato in maniera orizzontale, con circa duemila generali che comandano e controllano i differenti settori della difesa territoriale …”.

Anche, Galen Carpenter, analista del conservatore “Cato Institute” e specialista di questioni militari internazionali, in un’intervista a “BBC News Mundo” sottolineando i rischi ricordava che: “… Nonostante possano esistere dei motivi di divisione interna, è certo che la maggior parte delle forze dell’esercito bolivariano si mobilizzeranno per respingere l’invasione..”.

Un argomento che non trova impreparati gli ufficiali delle FANB. Infatti, nel 2018, il generale venezuelano Jacinto Pérez Arcay (4), subito dopo la decisione del governo bolivariano di sostituire il dollaro con il yuan cinese nelle operazioni di vendita del petrolio, presentò allo Stato Maggiore delle FANB e allo stesso presidente Maduro, uno studio dettagliato sulle possibili operazioni del SOUTHCOM, realizzate per aprire il cammino all’invasione terrestre delle truppe statunitensi.

Sempre secondo il generale Jacinto Pérez Arcay e altre fonti dell’intelligenza militare delle FANB “… la prima operazione bellica del SouthCom sarebbe un attacco chirurgico con aerei e missili contro le basi aeree di Palo Negro e di Barcellona e contro la base navale di Puerto Cabello”.

Secondo il capo del Pentagono, il generale Jim Mattis, per determinare la dissoluzione dell’organizzazione dell’esercito venezuelano e quindi favorire l’eventuale arrivo dei marines statunitensi con la funzione di pacificare e non di combattere, l’attacco aereo chirurgico dovrebbe essere realizzato su tutti gli obbiettivi militari del Venezuela senza soffrire nessuna perdita. Infatti, per il generale Mattis, la dissoluzione organica delle FANB è sempre stata la condizione “sine qua non” per realizzare in poco tempo e senza gravi perdite l’invasione del Venezuela per instaurare un nuovo governo. Per questo il capo del Pentagono ha sempre avvisato il presidente Donald Trump che “… Senza questa condizione l’attacco potrebbe diventare una tragica avventura!”.

Un argomento che il generale Jim Mattis ha più volte ribadito al presidente Donald Trump, ricordandogli anche che senza la partecipazione e soprattutto senza la logistica dell’esercito brasiliano e di quello colombiano, il coinvolgimento dei “marines” in Venezuela risulterebbe estremamente rischioso. Una posizione, che secondo alcuni analisti, è stata una delle cause per il suo licenziamento da parte di Trump, dall’incarico di segretario alla Difesa. Da sottolineare che anche i generali H.R. McMaster, John Kelly e Michael Flynn, tutti assunti e poi licenziati dal presidente, hanno avuto autentici diverbi con Donald Trump a causa delle problematiche politiche e militari connesse alla questione venezuelana.

La guerra nelle mani della CIA

Di conseguenza, Mike Pompeo – l’eminenza grigia del governo Trump – senza il parere vincolante dei generali, ha potuto conferire alla CIA la responsabilità assoluta della pianificazione e della realizzazione di tutte le operazioni eversive necessarie a provocare una crisi profonda e distruttiva nel Venezuela, capace di distruggere la capacità di resistenza del governo di Nicolas Maduro.

In quest’ottica, ed avendo ricevuto il palese appoggio di molti paesi “democratici” dell’Unione Europea, il governo Trump ha triplicato il cosiddetto “fondo per il ristabilimento della democrazia in Venezuela”, che adesso supera i 120 milioni di dollari. A questi si devono aggiungere i fondi per le “operazioni top secret” della CIA in Venezuela, che secondo alcune indiscrezioni sono stimate in ottocento milioni di dollari per il solo anno in corso. E’ quindi, su questa base che la CIA ha potuto rafforzare la collaborazione con i servizi segreti brasiliani e i colombiani e con i settori dell’ Intelligenza militare brasiliana e quella colombiana, per capire cosa stia succedendo all’interno del Venezuela.

Infatti, per gli analisti di Langley è importante sapere fino a che punto i diversi settori dell’opposizione sono ancora credibili, che tipo di mobilizzazioni sarebbero in grado di realizzare e se esistono le condizioni e la capacità di creare un “foco eversivo urbano” nelle principali città del Venezuela, nello stesso tempo in cui i gruppi paramilitari orchestrerebbero un “foco eversivo rural” negli stati che confinano con la Colombia.

La divisione all’interno dell’opposizione, dopo l’avventura di Juan Guaidò e la conseguente inattività dei partiti oppositori, ha spinto la CIA a ricorrere all’azione del terrorismo-cibernetico, che rimane l’unico elemento di conflittualità attiva di questa guerra ibrida, sempre più isolata in termini politici, anche a livello di classe media.

Purtroppo negli ultimi trenta giorni, il terrorismo-cibernetico ha provocato seri danni all’economia con diversi sabotaggi alle linee di trasmissione e ai centri di erogazione di energia elettrica. Di fatto, il 7 marzo si è registrato il primo blackout nazionale, che è durato 60 ore, paralizzando tutte le reti informatiche del paese.

Sabotaggi che non hanno ridotto la fiducia nei confronti del governo da parte della maggioranza della popolazione. Al contrario, i Blackout hanno provocato un maggiore discredito nei confronti dei partiti dell’opposizione venezuelana, soprattutto di quelli che sostengono la necessità di un cambio politico immediato, ricorrendo a tutte le forme di lotta incluso quelle violente. Per questo motivo, e per mascherare l’insuccesso politico, il presidente Donald Trump e l’eminenza grigia dei NewCons (5), Mike Pompeo, sono tornati a sventolare la bandiera della soluzione militare, stimolando la guerra psicologica dei media, sperando in una resurrezione dell’opposizione.

A questo punto la congiuntura politica che si è creata nel Venezuela presenta tre interrogativi: 1) Perché il presidente Donald Trump e il gruppo dei “NewCon”, pur sapendo che l’opposizione è praticamente delegittimata, insistono nel voler derubare urgentemente e a tutti i costi il governo di Nicolas Maduro? 2) Perché Mike Pompeo ha valutato “interessante” il progetto eversivo formulato dalla CIA (distruzione economica progressiva del Venezuela)? 3) Perché John Bolton ha archiviato il parere dei generali del Pentagono, secondo i quali lo sviluppo delle azioni eversive rafforzerebbe la posizione di Maduro e il ruolo dell’esercito bolivariano, annullando la missione pacificatrice dei “marines” statunitensi e la possibilità di “ristabilire la democrazia” senza colpo ferire?

Per rispondere a queste domande è necessario ricorrere alle analisi di alcuni scienziati politici specializzati in “geo-strategia dei blocchi dominanti”. In particolare quelle del professore brasiliano, José Luis Da Costa Fiori (6), che nel mese di agosto del 2018 pubblicava un articolo in cui analizzava il nuovo ruolo della cosiddetta “Guerra Ibrida”, come parte integrante della politica geo-strategica del governo di Donald Trump, intesa come tentativo estremo per imporre il controllo statunitense su tutti gli stati del continente latinoamericano attraverso una guerra di bassa intensità.

Infatti, per il professore Fiori, il termine “Guerra Ibrida” identifica l’evoluzione della tradizionale soluzione militare (bombardamento e invasione dei marines) e dello storico tentativo di colpo di stato castrense con una “Guerra di Quarta Generazione”, in cui il Dipartimento di Stato, la CIA e la Casa Bianca articolano nello stesso tempo una serie di attacchi (economici, giuridici, finanziari, diplomatico, mediatico, politico, psicologico, eversivo e cibernetico), con l’obbiettivo di destabilizzare il governo di Nicolas Maduro, smobilizzare il movimento chavista e, soprattutto, disarticolare le forze armate bolivariane.

L’urgenza di una “Guerra Ibrida”

L’elemento chiave di questa “Guerra Ibrida” è l’urgenza del governo imperialista di Donald Trump di voler mettere in moto, “a tutti i costi”, la complessa molteplicità degli elementi eversivi di questa “guerra di bassa intensità”, dove il principale obbiettivo sarebbe la realizzazione di un’apparente ribellione popolare spontanea, capace di assorbire i principali rami dell’esercito ed i settori operai più dinamici delle imprese energetiche e petrolifere statali.

Quindi se consideriamo che la cosiddetta “complessa molteplicità sovversiva” ha i suoi tempi per affermarsi nel contesto politico-istituzionale venezuelano, risulta evidente che non può essere improvvisata e tantomeno può essere accelerata. L’esempio più evidente è stato il fallimento dell’”Operacion Constitucion”.

Di fatto, il governo di Donald Trump, dopo che il governo bolivariano è riuscito ad aggirare gran parte delle sanzioni finanziarie, ha opportunisticamente giocato la carta del “presidente ad interim”, sperando che l’opposizione fosse capace di realizzare una “rivoluzione colorata”, con cui poter imporre un nuovo governo totalmente dipendente dalla Casa Bianca e dalle multinazionali. In realtà la CIA, il Dipartimento di Stato e la Casa Bianca hanno cercato di realizzare una seconda “Operazione Maidan”(7) a sud dell’equatore.

Il fallimento di questo progetto acuisce sempre più le critiche degli industriali del petrolio statunitensi legati a Rex Tillerson, dirigente della multinazionale Chevron, anche lui assunto e poi licenziato in tronco dal presidente Trump. Il malumore delle imprese petrolifere statunitensi è dovuto al fatto che – senza i 1.300.000 barili al giorno di petrolio venezuelano – adesso sono obbligati ad importarlo dall’Arabia Saudita a prezzi più alti, mentre prima delle sanzioni decretate da Trump contro la PDVSA, tutte le raffinerie del Texas usavano petrolio del Venezuela.

D’altra parte, le sanzioni di Trump non hanno paralizzato la produzione della PDVSA, poiché l’OPEC ha fissato nuove quote di produzione, con prezzi più alti, e Cina e India hanno immediatamente siglato nuovi contratti di acquisto con la PDVSA, comprando tutte le quantità di petrolio che anteriormente erano destinate agli Stati Uniti attraverso l’impresa CITGO Petroleum Corporation. Da sottolineare che i nuovi contratti della PDVSA non sono stati sottoscritti in dollari ma in Yuan, cioè la moneta cinese che attualmente Russia, Cina e India utilizzano negli scambi commerciali bilaterali.

L’uso dello Yuan, come pure della cripto-moneta creata dal governo bolivariano, è in realtà, il vero motivo dell’urgenza geo-strategica della Casa Bianca nel voler destabilizzare il governo di Nicolas Maduro, che con questo tipo di transazioni commerciali contribuisce ad indebolire il potere del dollaro nel mercato finanziario mondiale.

E’ tassativo ricordare che la guerra di aggressione degli Stati Uniti contro l’Iraq, come pure quella contro la Libia, scoppiarono quando Saddam Hussein e poi Gheddafi tentarono di uscire dall’area del dollaro, vendendo i titoli del debito statunitense per comprare oro, argento, diamanti, per poi usare l’Euro come moneta base nella vendita di petrolio e gas.

A questo punto non bisogna dimenticare che quindici giorni prima dell’attacco “umanitario” alla Libia da parte degli aerei della NATO, la Banca d’Inghilterra si appropriò della riserva di oro della Libia, negando al presidente Gheddafi di procedere al trasferimento presso la Banca Centrale di Tripoli. Sarà una casualità, ma anche il governo venezuelano ha sofferto lo stesso “esproprio” da parte della Banca d’Inghilterra, quando il presidente Maduro richiese il rimpatrio della riserva di oro del Venezuela, depositata in quella banca fin dagli anni settanta!

L’ultima giustificazione dell’urgenza della “Guerra Ibrida” riguarda il tentativo da parte degli USA d’interrompere la presenza delle imprese cinesi e indiane in Venezuela, garantendo allo stato bolivariano nuove forme di ricchezza con lo sfruttamento di numerosi giacimenti minerari, in particolare quelli di coltan e di oro (8), e la realizzazione di grandi progetti infrastrutturali.

Una presenza, soprattutto quella cinese, che la Casa Bianca considera un pericolo, poiché le sue imprese alimentano in tutta l’America Latina la possibile alternativa alle rigide regole imposte dal FMI e dalle multinazionali statunitensi ed europee, oltre che presentare invidiabili soluzioni tecnologiche che rompono l’egemonia dei conglomerati di Wall Street.

Un contesto che ci fa scoprire una seconda casualità con il Nicaragua, quando le imprese cinesi avrebbero dovuto iniziare i lavori per la realizzazione di un secondo canale che unirà l’Oceano Atlantico con il Pacifico. Anche in Nicaragua, come in Venezuela l’opposizione cominciò la contestazione del governo di Daniel Ortega, volendo a tutti i costi la sua rinuncia in nome del cosiddetto “cambio democratico”!

Resistenza e preparazione combattiva delle FANB

La grande riforma geostrategica e la ristrutturazione del sistema di difesa nazionale, che il presidente Hugo Chavéz mise in atto subito dopo il fallito colpo di stato del 2002, fu considerata da tutti i governi che si sono succeduti nella Casa Bianca un autentico “atto di guerra”. Il rafforzamento militare delle forze armate venezuelane, voluto e coordinato dallo stesso Comandante Chavez, dette inizio ad una progressiva conflittualità che il governo degli Stati Uniti ha accentuato negli ultimi dieci anni. Una conflittualità latente che, con il governo di Donald Trump, si è trasformata poi in una guerra silenziosa a bassa intensità.

Comunque, il motivo principale del conflitto che ha spinto i generali del Pentagono a considerare lo stato bolivariano “irrecuperabile come quello cubano”, è appunto di natura strategica oltre che militare. Infatti, i nuovi concetti di difesa territoriale e i nuovi meccanismi di organizzazione militare che il presidente Hugo Chavez ha introdotto nelle forze armate venezuelane hanno cancellato a una velocità pazzesca le metodologie organizzative e i concetti teorici importati dalle accademie militari degli Stati Uniti. Bisogna ricordare che negli anni sessanta l’esercito venezuelano era considerato il pupillo del Pentagono, presentato come il modello per tutti gli eserciti del continente sudamericano.

Comunque, il Comandante Chavez – seguendo l’esperienza delle FAR cubane – oltre ai fondamenti teorici, modificò tutta la struttura del sistema di difesa, investendo vari miliardi di dollari per comprare nuove armi tecnologicamente più avanzate e dotare tutte le unità, incluso i reparti della “Milicia”, di un sistema di comunicazioni di ultima generazione. Materiale bellico prodotto dalle imprese russe che, subito dopo la fine della Guerra Fredda, hanno superato l’efficienza bellica di molte industrie militari degli Stati Uniti o dei paesi dell’Unione Europea. E’ il caso dei caccia bombardieri Sukhoi e soprattutto del Sistema di Radar e Missili di Difesa Aerea S-300VM, prodotto dal’impresa russa Antey-Almaz.

L’elemento più importante della riforma geostrategica e militare di Chavéz non è solo l’introduzione di nuove armi tecnologicamente avanzate, ma soprattutto la strutturazione del potenziale bellico nelle nuove linee di difesa tracciate nel paese. Inoltre, la grande innovazione è stata la creazione del Comando di Difesa Aereo-Spaziale (CODAI), che è il ramo operativo della difesa subordinato, in linea diretta, al Comando Strategico Operativo (CEOFANB), con sede in Caracas.

Quindi, con l’implementazione di una nuova concezione di difesa territoriale, intesa come elemento fondamentale dell’alleanza politica delle forze armate con il popolo, è stato effettivamente facile trasformare l’antico esercito – che era soggetto alle despoti intenzioni delle oligarchie -, in autentico esercito popolare, in permanente mobilità per difendere la sovranità e la legittimità del governo bolivariano.

Una condizione che ha permesso la rapida crescita, intellettuale e politica, del corpo degli ufficiali e dei soldati di leva, promovendo la formazione di una “Milicia Nacional Bolivariana”, perfettamente armata e organizzata per integrare il sistema di difesa territoriale nazionale al lato delle FANB (Forze Armate Nazionali Bolivariane).

Come nelle FAR cubane e in tutti gli eserciti che sono nati per difendere una prospettiva rivoluzionaria, anche nelle FANB l’elemento che maggiormente ne contraddistingue l’organizzazione e la struttura è, senza dubbio, la preparazione politica combattiva, che trasforma il soldato e l’ufficiale in un soggetto politico attivo e presente nell’evoluzione del contesto sociale ed economico del paese. Per questo motivo tutti gli appelli dell’opposizione per una diserzione di massa o per realizzare un colpo di stato contro il governo bolivariano di Nicolas Maduro sono falliti.

Comunque, l’elemento che ha maggiormente irritato i generali del Pentagono è stata la decisione del presidente Nicolas Maduro d’installare in tutte le regioni di frontiera il Sistema di Difesa Aereo S-300VM. In questo modo qualsiasi tentativo di penetrazione nello spazio aereo venezuelano da parte di missili, aerei-spia o cacciabombardieri è immediatamente individuato dai radar, che hanno una capacità di lettura efficace fino a 10.000 metri di altezza e 300 chilometri in linea di superficie. Chi cerca di violare lo spazio aereo venezuelano senza autorizzazione è abbattuto dal sistema di difesa anti-aera, che è composto da cinque linee di fuoco: 1) Cannoni antiaerei da 20 e 40mm; 2) Missili portatili MANPADS Igla5 con un raggio d’azione di 5.000m.;3) Missili S-125 PECHORA 2M con raggio d’azione 20.000m; 4) Missili BUK-2ME con raggio d’azione di 25.000m.; 5) Missili S-300VM con raggio d’azione di 30.000m.

Un contesto che è sempre stato presente nelle difficili riunioni dei generali Jim Mattis e John Kelly con Donald Trump, e a Mike Pompeo sulla necessità di realizzare un “bombardamento chirurgico” con cui distruggere gli obbiettivi strategici del Venezuela. Infatti, Donald Trump e Mike Pompeo, non avendo nozioni di tecnologia militare, non hanno mai capito che con la creazione da parte del CODAI venezuelano (Comando di Difesa Aereospaziale Integrale) di un’efficiente area di esclusione aerea (NOTAM A0 160/19) era estremamente rischioso realizzare missioni di bombardamento aereo. Questo perché tutto lo spazio aereo venezuelano risulta protetto dai missili S-300VM, incluso lo spazio aereo marittimo che si estende fino alle isole di Curaçao, Aruba e Bonaire!

In realtà i radar venezuelani controllano perfettamente l’attività aerea a più di 100 chilometri dalle proprie frontiere. In particolare gli spazi aerei della regione colombiana di Cucuta e quella brasiliana di Pacaraima che, secondo il piano eversivo “Operacion Constitucion”, avrebbero dovuto essere il punto di partenza della sognata invasione statunitense mascherata con l’invio dei generi alimentari.

In pratica il presidente Nicolas Maduro, seguendo l’orientamento di Hugo Chavéz, ha completato l’istallazione delle batterie di missili S-300VM in tutto il paese, proteggendo tutto lo spazio aereo del Venezuela con un autentico ombrello armato di missili anti-aerei, guidati da potenti radar russi, capaci di annullare fino a 300 chilometri qualsiasi tipo interferenza elettronica!

A questo punto, vista l’impossibilità di promuovere un’insurrezione popolare, risultando impraticabile un colpo di stato e irrealizzabile un Impeachment contro il presidente Nicolas Maduro, gli uomini della CIA cercano di sfiancare e di delegittimare il governo bolivariano con i sabotaggi cibernetici (9), che sono l’ultimo capitolo della guerra ibrida inventata da Mike Pompeo e Donald Trump!

Note

1— Il 1 febbraio le unità speciali dell’Esercito e del SEBIN catturavano nell’autostrada José Antònio Paez i primi due auto-denominati Comandanti del nascente “ELV”, gli ex-colonnelli in pensione Oswaldo Garcia Palomo e José Acevedo Montonès. In seguito erano catturati gli altri due “comandanti” Antonio José Labichele Barrios e Alberto José Salazar Cabana.

2— Il 4 febbraio il Presidente statunitense, Donald Trump, in un’intervista alla CNN, ribadiva “…la volontà della Casa Bianca di derubare il “dittatore venezuelano” anche con una soluzione militare …”.

3 – Il “Gruppo di Lima” fu formato all’interno dell’OSA (Organizzazione Stati Americani) per isolare diplomaticamente il governo bolivariano e appoggiare l’eversione dell’opposizione.

4— Jacinto Péerez Arcay, Generale, esercita l’incarico di Capo dello Stato Maggiore del Comando delle Forze Armate Nazionali.

5—New-Con (Nuovi Conservatori) è il gruppo creato all’interno del partito Repubblicano da Mike Pompeo e John Bolton, che ha sempre sostenuto Donald Trump.

6-José Luis Da Costa Fiori, è un accademico brasiliano specializzato in macroeconomia politica internazionale, che è stato analista del BID (Banca Internazionale per lo Sviluppo) per poi insegnare durante per due anni (2005/2006) nell’Università di Cambridge.

7— Operazione Maidan, è il codice del progetto eversivo che la CIA e il Dipartimento di Stato utilizzarono per rovesciare il governo dell’Ucraina.

8—La Banca Centrale Russa è stata il principale acquirente globale di oro nel 2018. Nello specifico, essa ha venduto tutti i titoli di Stato USA che aveva in bilancio, acquistando nel contempo 274,3 tonnellate di oro. In questa maniera, la Federazione Russa è diventata il quinto possessore al mondo di oro dopo gli Stati Uniti d’America, la Germania, la Francia e l’Italia.

9— Giovedì 7 marzo, il Venezuela è stato l’obiettivo di una serie di attacchi cibernetici sul sistema di controllo della centrale idroelettrica di El Guri. Dopo il Black out, un nuovo attacco è stato orchestrato contro il paese, questa volta nelle strutture della frangia petrolifera dell’Orinoco, la più grande riserva di greggio del pianeta. Il governo bolivariano ha detto che questo sabotaggio è stato effettuato con una tecnologia che solo il governo degli Stati Uniti possiede per generare un Blackout in tutto il paese.

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