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Cile, tutti i docenti in sciopero

Mentre il presidente Piñera è in Israele a baciare il muro del pianto, i carabineros cileni, fedeli alle vecchie e tradizionali maniere, perseguitano i professori, alla loro quarta settimana di sciopero. Proprio ieri, durante un sit in pacifico davanti a La Moneda, sono stati arrestati 37 professori, tra cui il segretario nazionale del “Colegio Profesores”, il maggior organo professionale dei docenti, Mario Aguillar e il dirigente nazionale Eduardo Gonzales, dopo esser stati caricati con gli idranti.

Tutto questo avviene mentre l’ex presidente Michelle Bachelet è in Venezuela a dare lezioni di democrazia a un governo progressista, che non ha torto un capello a un golpista letteralmente “eletto” dagli Stati Uniti d’America.

I professori cileni stanno dando battaglia al governo di destra di Sebastian Piñera. Un conflitto che radica su problemi di carattere strutturale, che riguardano i docenti del paese, il sistema educativo nel suo insieme e altri problemi di carattere congiunturale, associati a misure politiche contro i lavoratori, che la nuova amministrazione ha adottato. La magnitudine del conflitto è tale da aver portato allo sciopero totale ottanta mila insegnanti, da ormai quattro settimane.

Per capire meglio la natura è necessario considerare i professori cileni non come una corporazione di professionisti che godono di privilegi dovuti al proprio status e funzione sociale, ma devono essere considerati, a causa della precarietà in cui vivono e alle condizioni salariali, come operai dell’istruzione e parte integrante della classe lavoratrice cilena.

Dal punto di vista contrattuale solo un quaranta per cento dei docenti è parzialmente considerato come dipendente pubblico, il restante sessanta per cento è impiegato nel settore privato e per tanto soggetto al trattamento salariale e al sistema di contrattazione di qualsiasi altro lavoratore dipendente del settore privato.

Questo implica livelli di precarietà lavorativa danteschi, giacché le scuole vengono amministrate come imprese private. Dal punto di vista salariale il panorama è ugualmente critico. Il salario medio di un insegnante è inferiore a ottocento euro al mese con una settimana lavorativa di 44 ore, un circa 40 studenti per classe. Questo mostra uno scenario in cui il carico di lavoro è ulteriormente aggravato dal doppio sistema di valutazione a cui i professori sono sottoposti dal 2015.

Queste sono le condizioni miserabili che riserva il Cile, fondato sull’esperienza pinochettista, ai professori, dei professionisti che hanno ottenuto il titolo dopo cinque anni di studi superiori in università accreditate e spesso dotati di titoli postlaurea. Molti di loro si sono dovuti indebitare per studiare, perché nel paradiso dei Chicago Boys che è il Cile, l’educazione non è un diritto, si paga salatamente.

La scintilla che ha dato il via alle proteste è stata l’approvazione di una legge che toglie l’obbligatorietà all’insegnamento di Storia, Arte ed Educazione Fisica. Il 3 giugno migliaia di professori cileni hanno dato inizio a una mobilitazione nazionale a tempo indefinito, contro il governo di Piñera. Più di ottanta mila lavoratori dell’istruzione hanno interrotto le loro attività pedagogiche e in massa hanno preso le strade di tutto il Cile.

Le cause di questo conflitto

I docenti descrivono la loro lotta a partire da tre questioni centrali:

1) la difesa dell’Istruzione Pubblica;

2) migliori condizioni di lavoro miglior livello pedagogico;

3) rifiuto del cambiamento disciplinare voluto dalla destra.

Dal 2018 il dialogo con il governo ha dato solo risposte negative e insufficienti. Le richieste sono state riassunte in una carta scritta dai docenti in cui, tra le tante cose, si rivendica il risarcimento del debito storico (il debito previdenziale che lo stato cileno ha contratto con i professori agli inizi degli anni ’80, durante la dittatura, e che sinora non è stato pagato); titolarità dei professori a contratto; pagamento della menzione di educatrici di sostegno e pedagogiste; fine della doppia valutazione a cui sono sottomessi i docenti; rafforzamento dell’istruzione pubblica.

A questa carta, che inizialmente era composta da 11 punti, si è aggiunto il rifiuto delle modifiche delle discipline curriculari, che prevede anche l’eliminazione dell’obbligo di insegnamento di Storia, Educazione Fisica e Arte negli ultimi due anni della scuola superiore. Queste misure, che entrerebbero in vigore a partire dell’anno 2020, sono state ampiamente rigettate dalla società cilena, tanto che tantissimi comuni hanno dichiarato ufficialmente che manterranno nelle loro scuole l’obbligatorietà di queste materie.

Caratteristiche della mobilitazione

Uno degli elementi più caratteristici di questa mobilitazione è stata l’adesione massiva del corpo docente. L’appello lanciato dalla dirigenza dell’organo collegiale è stato quasi totale da parte dei professori di base, raggiungendo circa l’85% delle adesioni allo sciopero.

La forza del collegio si è manifestata così in migliaia di piccole e medie manifestazioni a livello locale e due grandi cortei nazionali. La prima nella città di Santiago con la partecipazione di circa sessantamila docenti e la seconda manifestazione di carattere inedito, a cui hanno preso parte trentacinque mila docenti, che hanno occupato l’autostrada che collega le maggiori città del Cile, Santiago eValparaiso, dirigendosi verso quest’ultima sino a concentrarsi davanti al Parlamento Nazionale.

Un altro aspetto rilevante concerne con il carattere unitario con cui si è affrontato lo sciopero, che è espressione di un ampio consenso sul percorso da seguire tra la dirigenza e la base, agendo in maniera coordinata e con una sola voce.

L’aspetto più importante è il grado di politicizzazione del movimento. I professori cileni hanno maturato un concetto di difesa della Pubblica Istruzione, che include tra le sue forme di lotta l’applicazione di misure di pressione radicale come la paralisi totale delle attività scolastiche, per il raggiungimento degli obiettivi politici preposti. Per questa ragione gli insegnanti godono di un’ottima reputazione in tutti gli altri settori sociali, che si stanno unendo in maniera massiccia a questa lotta.

La risposta del governo alla mobilitazione per le strade è stata, come d’abitudine, una cruenta repressione da parte della polizia. Non solo sono stati duramente colpiti dalla repressione i professori che manifestavano, ma si sono addirittura commessi atti insoliti, come l’attacco con i lacrimogeni contro un asilo in pieno centro di Santiago, l’attacco con gli idranti contro una scuola elementare, nella città di Temuco, che ha colpito una ventina di bambini di terza elementare e il blitz in un liceo santiaghino contro studenti minori, svolto con metodi pinochettisti, tant’è che nei video si vedono i ragazzini gridare i loro nomi e cognomi al momento dell’arresto, per paura di finire desaparecidos.

Contesto politico sociale e interno

L’attuale mobilitazione dei professori cileni si presenta in un momento chiave per il governo. Una serie di polemiche hanno colpito il governo in maniera reiterata. L’assassinio di un uomo della comunità Mapuche, la nefasta partecipazione di Piñera all’assedio del popolo venezuelano, i recenti casi di corruzione che hanno coinvolto le Forze Armate e i Carabinieri, i casi di nepotismo relativi ai figli del presidente, hanno fatto sì che la sua popolarità sia in caduta libera.

Oggi il livello di consenso al governo raggiunge il livello critico di un venticinque percento, secondo gli ultimi sondaggi, che hanno costretto a dei cambi nel governo per nulla soddisfacenti. Questo conferisce un buon margine di negoziazione al corpo docente per affrontare l’attuale mobilitazione.

Dal punto di vista del campo popolare, la mobilitazione rompe in parte l’egemonia che da due anni stava esercitando la lotta femminista a livello nazionale. Questo mette nuovamente sul tavolo i temi del conflitto sociale e della mobilitazione politica come parte fondamentale della soluzione al conflitto.

Altri settori si stanno unendo a sostegno dei professori, come ad esempio gli studenti delle scuole superiori, che si stanno mobilitando contro il progetto di legge “Scuole Sicure” per mezzo di cui il governo li perseguita e criminalizza per lottare, gli studenti universitari, i portuali, i minatori, i lavoratori del servizio pubblico, etc.

Dall’altro lato è necessario specificare che a livello interno dell’organizzazione dei docenti, quest’anno si svolgeranno le elezioni generali. La particolarità di questo fatto è che questa sarà la prima volta che i dirigenti storici del magistero non potranno essere rieletti, in base a quanto stabilito nell’ultimo Congresso Statutario dell’anno 2017.

E’ per questo che questa mobilitazione sarà anche la chiave per far emergere e consolidare il nuovo gruppo dirigente che avrà la responsabilità di condurre le future lotte del corpo docente. Tra queste nuove figure emerge Luis Eduardo Gonzalez, professore di Storia, dirigente nazionale del Collegio dei Professori del Cile e portavoce del Movimento per l’Unità dei Docenti.

Giorno 17 giugno i professori, con una referendum nazionale, hanno respinto la proposta del governo con una percentuale oltre il 90% . Oggi, in seguito al sit in, ci sarà un tavolo tra il ministro dell’Istruzione, la pinochettista Marcela Cubillos e i professori. Parallelamente in tutto il territorio nazionale, si sta organizzando un cazerolazo, che conterà con la partecipazione di professori, alunni e genitori. Tutto sembra indicare che per le strade del paese più australe del mondo continueremo ascoltando con forza il grido “Arriba profes de Chile”.

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