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Al fianco del popolo che in Ecuador lotta contro neoliberismo, austerity e Fmi!

Una cappa mediatica circonda l’Ecuador dagli inizi di ottobre. A seguire stampa e grandi media sembra che nulla stia accadendo, che tutto proceda nella normalità più assoluta.

Falso. Perché da più di una settimana in Ecuador il popolo è nelle strade di tutto il Paese per rivendicare il ritiro delle misure di austerity comunicate in TV il 2 ottobre dal presidente Lenín Moreno. Un presidente eletto per essere erede dei governi progressisti di Rafael Correa e che con un brusco voltafaccia è oggi espressione dei Bucaram, dei Lasso e dei Nebot, ovvero di quell’oligarchia che solo la Revolución Ciudadana aveva cominciato a spodestare dai gangli del potere.

Moreno ha annunciato una feroce stagione di austerity, decisa di comune accordo con quel Fondo Monetario Internazionale (FMI) che lo scorso marzo ha accordato un prestito di più di 4 miliardi di dollari. Il decreto 883 prevede la fine dei sussidi a diesel e benzina, con un aumento dei prezzi rispettivamente del 123% e del 29% (il biglietto degli autobus è già triplicato e questo in un paese in cui il 90% della popolazione ne fa abbondantemente uso; così come il prezzo di patate, mais, riso, alimenti base della cucina ecuadoriana, è quadruplicato); il taglio degli stipendi dei lavoratori del 20% a partire dai prossimi rinnovi contrattuali; il dimezzamento dei giorni di ferie, che passeranno da 30 a 15 per anno; l’obbligo per i dipendenti pubblici di donare una giornata di lavoro al mese.

Dinanzi a misure che andranno a peggiorare la vita di milioni di persone, il popolo è sceso per strada per rivendicare il ritiro del decreto 883, ma pian piano si sono fatte strada altre rivendicazioni, in primis le dimissioni della Ministra degli Interni María Paula Romo e del Ministro della Difesa Oswaldo Jarrín, responsabili – stando ai dati riportati il 12 ottobre dalla Defensoría del Pueblo – di una repressione che ha già causato 6 morti, 937 feriti e 1121 detenuti, oltre a un numero ancora imprecisato di “desaparecidos”.

Questa violenza, che si fa sempre più dura col passare delle ore, scompare puntualmente dai nostri media. Alle 15:22 di sabato 12 ottobre addirittura Moreno ha dichiarato lo “stato d’assedio” (“toque de queda”) e la militarizzazione del distretto di Quito e delle valli. Sono apparsi cecchini alle finestre, si spara ad altezza uomo. La situazione sta precipitando.

Nonostante ciò, nelle strade si continua a manifestare. “Fuera Moreno” è diventata una rivendicazione comune non solo al movimento indigeno, ma a tutte le componenti della popolazione che lottano: sono in molti ormai a volere un completo un cambio di governo, visto che quello attuale ha tradito le aspettative e le speranze popolari.

Se Mike Pompeo, segretario di Stato USA, ha annunciato il sostegno dell’amministrazione Trump all’esecutivo di Quito e l’Unione Europea e i suoi membri risultano di fatto assenti, Moreno ha pubblicamente dichiarato che dietro le proteste di piazza c’è un disegno eversivo i cui mandanti sarebbero l’ex presidente ecuadoriano Correa, niente poco di meno che da Bruxelles, e il presidente del Venezuela. Deve essere davvero un portento della natura questo Maduro che, dato per finito un giorno sì e l’altro pure dinanzi all’ascesa dell’autoproclamato Guaidó, non solo resiste in patria, ma addirittura ordisce trame e manovra milioni di persone in un altro paese!

La mobilitazione popolare ha già raggiunto un primo obiettivo: per le 15:00 di domenica 13 ottobre (ore 21:00 di Roma) è previsto un primo formale tavolo di dialogo tra manifestanti e governo. È costato tanto al popolo dell’Ecuador, in termini di morti, feriti, “desaparecidos” e misure coercitive del governo di Moreno. A maggior dobbiamo far sentire la voce della solidarietà internazionale, per evitare che ci siano altre trappole e per contribuire al successo delle rivendicazioni popolari.

Potere al Popolo! Denuncia perciò la “normalizzazione” mediatica che distorce quanto sta accadendo in Ecuador e il silenzio internazionale che avvolge anche episodi puntuali molto gravi, come la sospensione nella giornata di mercoledì 9 ottobre delle trasmissioni della “Pichincha Universal”, canale informativo che nella stessa giornata ha subito più di 2.500 attacchi web, segno di una manovra organizzata e tutt’altro che spontanea. O, ancora, la sospensione delle trasmissioni del canale multinazionale Telesur, denunciata il 12 ottobre dalla direttrice Patricia Villegas.

La vittoria della mobilitazione popolare, il ritiro del decreto 883 e la caduta di Moreno, sarebbero un successo non solo per il popolo ecuadoriano, ma per tutte e tutti noi: il nostro obiettivo, infatti, è quello della vittoria sul paradigma neoliberista che affama i popoli a qualsiasi latitudine si affermi. Una vittoria dei “nostri” indebolisce il nemico comune e rende più concreta la possibilità di una transizione dal capitalismo a un sistema in cui a fare la fame non sia sempre la povera gente.

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