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Francia: “Non è un braccio di ferro, è una guerra”

Martedì 17 dicembre ci sarà il terzo “sciopero inter-categoriale” contro la riforma pensionistica, dopo quelli di giovedì 5 dicembre (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/12/05/francia-chi-ha-del-ferro-ha-del-pane-0121602) e di martedì 10 dicembre (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/12/12/francia-sono-25-anni-che-perdiamo-questa-volta-possiamo-vincere-0121897).

Dal 5 dicembre è continuato lo “sciopero ad oltranza” nel trasporto ferroviario, la SNCF, e nella metro parigina, la RAPT, e nelle raffinerie.

Metro parigina e ferrovie sono stati di fatto paralizzati dall’undicesimo giorno continuativo di sciopero anche questa domenica, mentre nei giorni dello sciopero interprofessionale – su spinta della combattiva Federazione dei Chimici della CGT – sette raffinerie su otto erano chiuse.

Anche questa domenica sono circolati in media solo un Treno ad Alta Velocità (TGV) su quattro ed un “Transilien” – che serve la regione parigina – su cinque. Uno su tre TER sono stati sostituiti da automezzi hanno mantenuto il loro tragitto e circa solo un “Intercités” su dieci ha circolato, con il traffico internazionale perturbato.

Per ciò che concerne la metro parigina: 14 linee sono rimaste ferme – viaggiando solo la 1 e la 14 che sono quelle automatizzate – mentre nella RER, che serve la periferia, è stata totalmente interrotta la linea A. La linea B invece ha visto circolare solo un treno su tre, con l’importante “inter-connessione” della Gare du Nord sospesa, e solo poco più della metà di tram e bus di superficie in servizio attivo.

Le organizzazioni sindacali che hanno fin qui hanno condotto lo sciopero nel settore ferroviario sono intenzionate a continuare la lotta senza dare alcuna tregua durante il periodo delle festività natalizie.

SUD, CGT e FO nelle ferrovie sono state molto assertive. Solo la CFDT, che come centrale si è unita solo ultimamente alle mobilitazioni, dopo le dichiarazioni del Primo Ministro lo scorso giovedì – come Federazione dei ferrovieri invece ha fin qui scioperato – si è detta contraria a proseguire anche durante le feste natalizie.

Laurent Berger, il segretario della CFDT, giovedì ha assicurato alle antenne di BFMTV, di voler “ritrovare il cammino del dialogo”.

Laurent Brun, segretario della CGT Cheminots, ha invece promesso «Nessuna tregua a Natale, tranne che il Governo non ritrovi la ragione».

Fabrice Angéi sempre della CGT spiega bene la situazione: «Non abbiamo un bottone per fermare uno sciopero, e nemmeno per prolungarlo. È più complicato. Il nostro solo posizionamento attuale è che la mobilitazione deve continuare nel mese di gennaio. Dopo, non siamo noi che decidiamo le modalità, ma le assemblee generali dei lavoratori».

Lo spettro della possibile riduzione del consenso all’azione degli scioperanti è ben presente nella testa dei lavoratori che, se anche determinati, da un lato sono ben coscienti  dei disagi che si verrebbero a creare e dall’altro sono consapevoli della necessità di continuare.

È un anziano ferroviere della CGT di Caen – uno dei bastioni della protesta – che spiega in un’assemblea generale seguita da Libération la posta in gioco:

«Nell’86-87, le due festività sono state coinvolte dalla mobilitazione, quindi è già successo. (…) Voi sapete bene bene che se ci si ferma è finita per noi»

Venerdì 4 raffinerie su 7 erano bloccate contro le 5 su 8 di giovedì, e si attende una radicalizzazione della protesta questa settimana.

Per il segretario federale dei chimici della CGT il livello elevato della mobilitazione smentisce «la comunicazione del governo, che vuole far credere che sono mobilitati i soli salariati dei regimi speciali»

Se la stampa tende a relativizzare l’impatto di questi salariati del privato, parlando solo di un 5% di stazioni di distribuzione colpite dallo sciopero, la situazione sembra più complessa, come spiega il coordinatore della CGT della Total, Eric Sellini, al sito d’informazione Révolution Permanente:

«È sufficiente prendere qualche esempio. Nella regione parigina, oggi, il deposito di Gennevilliers è vuoto. Non c’è più del combustibile. Per la rete Total, è catastrofico. Se c’è del ri-approvvigionamento, sarà in piccole quantità. E, in ogni modo, i camion, con la circolazione congestionata, non possono fare i loro giri abituali. Per la Bretagna, la situazione diverrà ancora più tesa. La raffineria di Donges ha ripreso, ma i compagni la ri-bloccheranno all’inizio della settimana prossima. Ogni volta, sono dei milioni di litri che non escono più, e non ci sarà più del carburante sui grossi depositi di Rennes.»

In un’inchiesta del quotidiano Libération, apparsa venerdì 13 dicembre, il presidente dell’Unione Francese delle Industrie Petrolifere (Ufip), Francis Dusex, sembra relativizzare l’impatto dello sciopero affermando che si è lontani dalla penuria di carburante.

I lavoratori delle raffinerie di Pètroinéos di Lavera e quelli della ExxonMobil di Fos-sur-Mer, della regione delle Bocche del Rodano, giovedì sono passati al fermo della produzione. Non spediscono più una goccia di carburante, così come quelli della raffineria di Donges di Total, in Loira Atlantico, o di Mède, sempre nelle Bocche del Rodano.

La rete dei depositi di carburanti francesi conta su 200 siti, con 90 depositi principali. Alimentano una rete di distributori che dispone in media di due-tre giorni di autonomia.

Gli stock strategici della Francia, che applica le regole dell’Agenzia Internazionale dell’Energia, rappresentano tre mesi di riserve che possono essere sbloccati su richiesta del governo.

I poteri pubblici possono prendere delle misure che vanno dal razionamento alla requisizione, per fornire carburante ai pompieri e alla gendarmerie.

Durante le mobilitazioni contro la riforma delle pensioni di Fillon, nel 2010, le forze dell’ordine sono intervenute per sbloccare le barriere di fronte alle raffinerie e alla decina di depositi bloccati.

La Francia,  “in tempo di pace”, ha conosciuto solo una volta un caso di penuria di carburante: nel maggio 1968, quando dieci milioni di lavoratori sono entrati in sciopero generale.

Una situazione che non è detto che si riproponga, vista la situazione di malessere sociale diffuso…

Proprio sabato l’intersindacale della regione delle Bocche del Rodano – la regione marsigliese – ha organizzato un meeting unitario nella raffineria di Lavera, ribadendo le ragioni della protesta in un luogo simbolico dell’unità tra lavoratori del pubblico e del privato. È stato Olivier Mateu, segretario generale della CGT della regione marsigliese – la UD 13 aderente alla FSM – a spiegare lo scenario che si apre la settimana prima dell’inizio delle feste natalizie:

«Le modalità di sciopero saranno più dure la settimana prossima, una settimana che sarà bollente».

Intanto giovedì 12 dicembre, nel giorno di scioperi ed azioni locali, già prevista prima dell’annuncio organico della riforma da parte del Primo Ministro, si è svolta una “giornata porti morti”, con i maggiori scali francesi bloccati per l’intera giornata: Le Havre, Marsiglia, Rouen, Saint-Nazaire, La Rochelle erano fermi.

È chiaro che questa settimana sarà uno snodo decisivo per comprendere il bilanciamento dei rapporti di forza tra l’attuale Esecutivo e il movimento che si oppone alla riforma pensionistica.

Seppure con “prospettive differenti”, sia il fronte sindacale che quello politico della “sinistra” hanno ritrovato un’inedita unità a causa della volontà del governo di proseguire con il “muro contro muro”. Macron comunque vuole giocarsi la carta di una spaccatura tra le organizzazioni sindacali rispetto alla posizione in generale sulla “riforma universale” dei 42 regimi speciali del sistema pensionistico francese.

Lo scoglio più grosso per coinvolgere nella futura governance del sistema pensionistico i sindacati “riformistici”, CFDT in testa, è l’allungamento dell’età pensionabile a 64 anni, a regime.

Sul fronte politico, verdi e socialisti (EELV e PS) sono “aperti” ad una riforma delle pensioni in senso universale, ma la contrastano così come formulata dal governo, mentre la France Insoumise, PCF, NPA e LO sono suoi feroci oppositori.

Intanto questo lunedì mattina ci sarà un’uscita comune delle sinistre moderate e radicali ai picchetti di sciopero e un tentativo di lavoro comune, tra cui un “gruppo di contatto” ed un “gruppo di Lavoro” in Assemblea Nazionale per fare delle proposte comuni e concrete in Parlamento ed in Senato.

Se, come ha dichiarato il portavoce del NPA Olivier Besancenot, durante l’incontro unitario tenutosi mercoledì alla Bourse du Travail di Saint-Denis, nella periferia parigina, il Primo Ministro ha dato un secondo impulso alle mobilitazioni, le differenze permangono, anche a causa dei percorsi precedenti, in particolare durante il quinquennio di F. Hollande.

È Eric Coquerel, de “La France Insoumise”, che esprime con realismo le possibilità di lavoro comune:

«Noi siamo pronti a tutte le mobilitazioni comuni con il fine di sostenere il movimento e gli scioperanti, ma non per scrivere un progetto in comune perché esistono troppe differenze tra gli uni e gli altri».

Intanto, per ora, l’Esecutivo sta continuando a perdere la battaglia d’opinione (https://contropiano.org/news/internazionale-news/2019/12/10/francia-non-sono-gli-scioperanti-a-tenerci-in-ostaggio-ma-la-finanza-0121812). I sondaggi oscillano sul tasso di disapprovazione della manovra governativa ma danno tutti che la maggioranza dei francesi è contro l’opera del governo.

Il 54% degli intervistati in un sondaggio Elab per BFMTV rifiuta l’età pivot a 64 anni.

Ben più realistico il sondaggio Odoxa, per Franceinfo e Le Figaro, svolto giovedì: il 68% dei francesi intervistati che hanno seguito l’intervento del Primo Ministro stima che la mobilitazione contro la riforma è giustificata, il 70% non è stato rassicurato dalle dichiarazioni, e il 60% pensa che il progetto non sia giusto né durevole.

Abbiamo usato le parole del coordinatore della CGT della Total per fare intendere come questa battaglia sia considerata da chi da più di 10 giorni ha rifatto emergere sul continente la necessità di una azione collettiva, dai contorni inediti, per opporsi ad un progetto neo-liberista benedetto dai tecnocrati dell’Unione Europea.

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