In Libia si stanno addensando nubi di guerra che vanno ben oltre una semplice e tradizionale guerra civile tra due fazioni. Intanto si stanno moltiplicando gli attori in campo con una geometria variabile di alleanze che smentisce in Libia relazioni magari migliori su altri teatri di crisi.
Volendo fare una rapida digressione storica, occorre rammentare che la Prima Guerra Mondiale – vera e propria rottura di quella Belle Epoque che segnò la prima grande globalizzazione capitalista del mondo – prima ancora che nelle trincee in Europa cominciò nelle colonie. Da lì si produsse l’onda che alla fine fece precipitare nel cuore degli imperialismi le relazioni tra le maggiori potenze dell’epoca.
In Libia, il dualismo di potere tra il governo di Tripoli e quello del generale Haftar, vede una ricerca spasmodica di alleati e di armamenti per potersi giocare la partita sul campo. L’Italia ne è coinvolta fino al collo ma con un atteggiamento ambiguo che, dopo essersi fatto nemico Haftar sta guastando i rapporti con il governo di Tripoli.
“Noi avevamo chiesto le armi a tanti Paesi, inclusa l’Italia, che pure ha diritto di scegliere la politica che più le aggrada e con cui i rapporti restano comunque ottimi” ha detto il presidente del Governo di Tripoli, Fayez al Serraj, in una intervista al Corriere della Sera nella quale giustifica la collaborazione militare con la Turchia. Serraj ha bocciato la missione diplomatica della scorsa settimana del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che si era recato anche a Bengasi dove aveva incontrato il generale Khalifa Haftar. “Di Maio non è riuscito a bloccare l’aggressione militare contro di noi. Questa sarebbe stata l’unica prova di un successo ai colloqui di Bengasi”, spiega. “Ciò non toglie – aggiunge – che l’Italia abbia tutto il diritto di comunicare con chiunque e invitarlo a Roma”.
Come noto, il governo di Tripoli – sempre più in difficoltà sul piano militare – nei giorni scorsi aveva chiesto aiuto a cinque Paesi, tra cui Italia e Turchia, per contrastare l’offensiva del gen, Haftar su Tripoli.
La Farnesina ha continuato a ripetere che non c’è soluzione militare, ma solo dialogo politico, ma la situazione sul campo ha visto schizzare la tensione verso l’alto, in particolare tra le forze di Haftar e la Turchia, che appoggia il Governo di Tripoli di Fayez al-Serraj.
Le forze dell’Esercito Nazionale Libico, del generale Haftar, hanno denunciato il volo di un Boeing 747 – partito da Istanbul e diretto in Libia con un carico di equipaggiamento militare destinato alle milizie di Tripoli – minacciando l’abbattimento di aerei civili che si sospetta abbiano carichi militari.
Domenica scorsa le forze del generale Haftar hanno inoltre sequestrato una nave con equipaggio turco poche ore dopo che il ‘via libera’ nel Parlamento di Ankara all’accordo di sicurezza e cooperazione militare con la Libia. La nave con equipaggio turco, registrata a Grenada, è stata fermata al largo della città orientale di Derna, e gli uomini di Haftar l’hanno portata al porto di Ras El Hilal per ispezionarne il carico.
Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha detto che Ankara è pronta a inviare truppe in Libia, se arriverà la richiesta di Tripoli. La capitale da mesi è assediata dalle milizie di Haftar e i bombardamenti sono ripresi con insistenza negli ultimi giorni. L’accordo approvato sabato dal Parlamento turco consentirà ad Ankara di sviluppare la sua presenza in Libia schierandosi con il governo di Tripoli. C’è da dire che l’accordo di cooperazione militare non autorizza la Turchia a inviare forze di combattimento in Libia ma consente alle parti di scambiare personale militare e di polizia per missioni di formazione e istruzione. Per ottenere l’autorizzazione a schierare forze di combattimento in Libia, il governo turco deve avere dal Parlamento un mandato separato, come accade ogni anno per i soldati in Iraq e Siria.
Sull’altro fronte si muovono intanto forze sia ostili che in buoni rapporti con la Turchia, ma che in Libia giocano per conto proprio.
L’agenzia Agi rivela che per stoppare l’accordo tra Turchia e Libia sulle Zone Economiche Esclusive nel Mediterraneo (vedi altro articolo su Contropiano di oggi, ndr), a Bengasi è arrivato il ministro degli esteri greco, Nikos Dendias per una visita nel feudo di Haftar ed incontrare due esponenti delle autorità ‘parallele’ nella Libia orientale. All’ aeroporto di Bengasi il ministro greco ha incontrato il premier del governo che sfida il Gna, Abdallah Al-Thini e il suo ministro degli Affari esteri, Abdulhadi Al-Houeij.
Haftar come noto è sostenuto da Russia, Egitto e Emirati Arabi Uniti, il posizionamento attivo della Turchia al fianco del governo di Tripoli evidenzia la preoccupazione che il conflitto libico stia cambiando volto, diventando una guerra per procura.
Ad appesantire la situazione va segnalato l’arrivo in zona di mercenari russi del gruppo Wagner, guidato da un uomo considerato molto vicino al presidente Vladimir Putin, complica ulteriormente gli sforzi internazionali per porre fine ai combattimenti.
Erdogan non ha alcun interesse ad uno scontro con la Russia in Libia, ma nei giorni scorsi è tornato a criticare le attività del gruppo Wagner in Libia. Secondo il Wall Street Journal, le autorità turche hanno contattato la Russia per capire in che modo evitare un potenziale scontro ed Erdogan parlera’ di Libia con Putin quando lo ospiterà in Turchia l’8 gennaio prossimo.
Secondo Affari Internazionali, la Russia, per ora non si frappone all’espansionismo turco: i contatti tra Ankara e Mosca continuano ad essere sono molto frequenti aspettando il summit dell’8 gennaio a Sochi. Formalmente l’intesa militare tra Turchia e Libia non è stata di fatto osteggiata dal Cremlino, nonostante lo stesso Putin abbia dichiarato durante la sua conferenza di fine anno che la Russia è vicina sia al generale Haftar sia al governo di al-Sarraj. Una posizione equidistante che contraddice però le dichiarazioni di Lev Dengov, inviato speciale di Mosca in Libia. “Il conflitto andrà avanti fino a quando non emergerà un leader capace di unire tutti” e “se quel leader fosse Haftar, sarebbe già a Tripoli e la città sarebbe già caduta, senza combattere”, ha dichiarato Dengov a Bloomberg.
Anche ad occhio emerge come il ritornello della Farnesina sul “dialogo che deve prevalere sulle armi” rischi di diventare formale e ridicolo di fronte allo sviluppo degli avvenimenti. Del resto l’Italia porta il suo carico di responsabilità nella destabilizzazione della Libia e il violento spodestamento di Gheddafi. Chi ha seminato vento raccoglie tempesta, soprattutto nel deserto libico… praticamente alle porte di casa.
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