Il 25 dicembre il giornalista e militante marocchino Omar Radi è stato convocato dalla Brigata Nazionale della Polizia giudiziaria e, il giorno seguente, dopo un breve interrogatorio e attraverso una procedura accelerata, è stato portato davanti al procuratore del re, con un mandato di comparizione immediata davanti al giudice.
Da giovedì 26 dicembre, Omar Radi aspetta in cella fino all’inizio del processo, previsto per il 2 gennaio; nel frattempo, alla sua famiglia e ai suoi cari sono state impedite le visite senza una reale giustificazione. L’accusa è di “oltraggio a pubblico magistrato” per i tweet pubblicati nove mesi prima che criticavano le pesanti condanne inflitte ai detenuti dell’Hirak del Rif. I tweet hanno espresso idee che una consistente parte della popolazione condivide sulla realtà di un sistema di giustizia basato sulla repressione.
Radi è quindi accusato di aver osato criticare pubblicamente il sistema giudiziario, in particolare il giudice Lahcen Tolfi, che è stato favorito dalla stampa per il suo ritratto indulgente. Piuttosto un pretesto per mettere a tacere un giornalista che infastidisce le autorità. Perché Omar Radi è un giornalista militante, che scrive e parla senza concessioni e con coraggio.
Come lui, non ne è rimasto quasi nessuno e le sue indagini hanno sempre colpito nel segno, come nell’inchiesta sui baroni delle cave di sabbia o quella sui terreni concessi agli apparati del regime. Negli ultimi anni si è dedicato a tante questioni di interesse pubblico come le espropriazioni di terre tribali, un tema che vede una confluenza di diversi poteri predatori.
Il sistema giudiziario è andato a scavare indietro fino a ritrovare questo vecchio tweet per colpire un giornalista coraggioso e ovviamente “scomodo” agli interessi di potere, un pretesto per una repressione a tutto tondo della sua attività militante.
Infatti, sui social network le autorità marocchine fedeli al re danno la caccia alle voci dei dissidenti, come di coloro che si sono dati alla clandestinità per esprimere le loro idee e gridare la loro rabbia, mentre la stampa è più che mai imbavagliata, le discussioni pubbliche limitate e la politica devitalizzata, anche tra i giovani e nelle tifoserie degli stadi che criticano il regime.
Come Omar Radi, numerosi giornalisti subiscono le violenze e i crimini della repressione da parte del regime ed altri sono altrettanto a rischio a causa del loro lavoro e della loro attività, che la Costituzione dice di voler proteggere e garantire. La Redazione di Contropiano.org esprime la piena e massima solidarietà nei confronti di Omar Radi, affinché riconquisti la sua libertà, e di tutti i giornalisti che lottano ogni giorno con determinazione militante per la verità e la giustizia sociale.
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