L’America Latina è scossa da imponenti manifestazioni popolari, represse brutalmente: ma c’è un Paese che non è toccato da questo caos, Cuba!
La popolazione cubana certo non se la passa bene – con l’inasprimento selvaggio da parte di Trump dell’anacronistico bloqueo per strangolare il Paese, che in questi giorni sta inasprendo i problemi di forniture di carburante e di generi alimentari – eppure a Cuba non vi è l’ombra di manifestazioni popolari. Nemmeno la debole opposizione ha approfittato della situazione per rialzare la testa. Vi sarà chi pensa al controllo esercitato dal regime, se anche questo pesasse (chi visita Cuba vede con i propri occhi le cubane e i cubani muoversi, esprimersi e agire con la massima libertà), è difficile negare che in Cile, Brasile o altri Paesi agisca una repressione selvaggia.
Quante volte sentiamo ripetere “A Cuba non c’è democrazia perché non può organizzarsi un’opposizione politica”. Noi siamo convinti che questa è stata una scelta saggia, perché si è visto ovunque come i partiti politici sono veicoli di penetrazione economica, manipolazione politica e pesanti interferenze.
D’altra parte in Italia andiamo a votare senza reali possibilità di scelta candidati designati dalla classe politica (per non parlare degli Stati Uniti, dove l’affluenza alle urne è particolarmente bassa, non basta avere il diritto di voto per votare ma bisogna registrarsi; un presidente viene eletto con meno del 30% dei consensi degli aventi diritto, Trump fu eletto con 3 milioni voti meno di Hillary!).
Non esiste un solo modello di “democrazia”, a Cuba ce n’è una diversa, essa pure lungi dall’essere perfetta: altrimenti il regime sarebbe crollato dopo il 1990, come in tutti gli altri Paesi “Comunisti”, nei quali era viva la rivendicazione di più “democrazia”, borghese. Del resto la nostra “democrazia” ci ha regalato anche tentativi di colpi di stato, attentati e stragi.
Torna a galla spesso la denuncia delle violazioni dei “diritti umani” a Cuba, ovviamente i “diritti umani” a casa degli altri, quando sono calpestati a casa propria: nel 2010 sollevò un clamore internazionale lo sciopero della fame del dissidente Guillermo Fariñas, e qualcuno sentenziò che “potrebbe forse essere uno degli ultimi chiodi sulla bara del decrepito regime dell’Avana” (http://il-punzecchiatore.over-blog.com/article-cuba-un-altro-chiodo-sulla-bara-del-regime-59798869.html).
Lo stesso Fariñas, invitato di recente a Bruxelles, è stato invece trattenuto all’Avana (http://www.ansa.it/europa/notizie/rubriche/altrenews/2020/02/06/cuba-pe-havana-rilasci-loppositore-guillermo-farinas_d957af14-56e1-4806-a316-8f28f33d3b90.html), fatto ovviamente subito deplorato dal Parlamento europeo che ne ha chiesto il rilascio: peccato che nelle carceri italiane si suicidino una sessantina di detenuti ogni anno senza che venga data notizia alcuna al pubblico! Il caso più recente ed eclatante di “prigioniera politica” è la pericolosa settantatreenne NO-Tav Nicoletta Dosio.
Cerchiamo allora di analizzare quali possono essere i motivi della “tranquillità” dei cubani nel marasma dell’America Latina.
Cominciamo dal 1959
Cominciamo dalle cose pratiche, che riguardano direttamente la popolazione. Il 24 agosto scorso è caduto il terzo anniversario del terremoto nella “democratica” Italia centrale: migliaia di persone ancora in hotel, in casette (è di domenica 16 febbraio la notizia dell’inchiesta della Procura per appalti irregolari, abuso d’ufficio, truffa e falso), ricostruzione al palo (“Qui è tutto fermo, non riparte niente”, Il Fatto Quotidiano, 23.08.2019). Nella “non democratica” Cuba nel febbraio 2019 un tornado devastò un quartiere de L’Avana: a dispetto delle ristrettezze economiche e del bloqueo, tutti i residenti hanno avuto la loro casa ricostruita.
Ma partiamo dal 1959. Il Paese usciva da tre anni di guerra di liberazione (e c’erano ancora sacche di antiguerriglia), le necessità erano impellenti, le risorse scarse, l’apparato statale da ricostruire, l’assedio degli Stati Uniti incombeva (appena un anno e mezzo più tardi gli Stati Uniti organizzarono la disastrosa invasione alla Baia dei Porci). I provvedimenti furono immediatamente in favore della popolazione.
Nel 1960 la capillare campagna di alfabetizzazione sradicò l’analfabetismo (unificando la popolazione rurale e urbana: cosa che in Italia fece la 1a Guerra Mondiale, a costo di un vero massacro!), le caserme batistiane furono trasformate in scuole, e l’istruzione fu resa gratuita per tutti a tutti i livelli.
La giovanissima dirigenza rivoluzionaria (“ragazzi” dai 25 anni di Camilo Cienfuegos ai 29 di Fidel) aveva molto chiaro che, per affrancare il Paese dalla condizione di subalternità e dipendenza, era necessario sviluppare autonomamente le competenze scientifiche moderne e le tecniche più avanzate, per dominarle e adattarle alle esigenze del Paese, e sviluppare inoltre per il benessere della popolazione un servizio sanitario universale e gratuito.
In quelle condizioni Fidel pronunciò nel 1960 l’audace discorso “Il futuro di Cuba non può essere che un futuro di uomini di scienza”. Condiviso integralmente dal Che e gli altri dirigenti, diede un segnale a tutta l’intellighenzia che non aveva abbandonato l’Isola (metà dei medici nel 1959 aveva lasciato Cuba) e compattò in questa impresa l’intera popolazione, la quale percepì chiaramente che questo audace programma era destinato a risolvere i problemi più urgenti e al progresso integrale del Paese. Nella “democratica” Italia (ma anche negli altri paesi dell’America Latina) la gente è ormai abituata al fatto che i programmi politici e governativi ubbidiscono a calcoli e interessi ben lontani da quelli reali della popolazione!
Così ebbe inizio questo processo, e la coesione del Paese, sostenuta dalla caparbietà di Fidel, consentì che fosse realizzato in pieno. Nel libro in cui abbiamo ricostruito questo processo1 abbiamo tratto ispirazione dal concetto gramsciano di egemonia (ma si possono estrarre concetti equivalenti dal pur diversissimo José Marti):
La supremazia di un gruppo sociale si manifesta in due modi, come dominio e come direzione intellettuale e morale. … Una delle caratteristiche più rilevanti di ogni gruppo che si sviluppa verso il dominio è la sua lotta per l’assimilazione e la conquista «ideologica» degli intellettuali tradizionali, assimilazione e conquista che è tanto più rapida ed efficace quanto più il gruppo dato elabora simultaneamente i propri intellettuali organici.2
Negli anni Sessanta iniziarono da un lato lo sviluppo di un sistema di ricerca scientifica e tecnologica avanzati che puntò allo sviluppo indipendente dei dispositivi elettronici a stato solido (transistor e circuiti integrati, rifiutando, dopo analisi e dibattiti approfonditi e accesi, i modelli dominanti centrati su acceleratori di particelle e reattori nucleari, ovviamente dipendenti da conoscenze e tecnologie importate e lontani dai bisogni del paese), e dall’altro la creazione di un sistema sanitario universale e anch’esso gratuito che nel giro di un decennio sradicò le malattie caratteristiche dei paesi del Terzo Mondo e portò Cuba a standard sanitari al livello dei paesi più avanzati.
Da allora questo esempio è stato considerato una minaccia capitale per il potere degli USA. I dirigenti di altri Paesi che nei processi di decolonizzazione lo hanno ripreso sono stati non a caso fatti fuori: il caso emblematico fu Thomas Sankara, presidente del Burkina Faso, chiamato il “Che africano”, che infatti fu assassinato nel 1987 in un colpo di stato che condannò il suo paese al sottosviluppo.
Ma l’eccezionalità cubana si manifestò con altre scelte inusitate. Già in questi processi Cuba si distinse nell’intero Blocco Comunista per la libertà che si assunse in tante scelte decisive, scegliendo le vie più pratiche ed efficaci per realizzare i propri obiettivi. Per lo sviluppo della ricerca scientifica nei campi più avanzati infatti i cubani, mentre si appoggiavano all’URSS e ad altri Paesi comunisti, si avvalsero fin dai primi anni ‘60 anche del supporto diretto di numerosi scienziati dei Paesi capitalisti, i quali introdussero corsi universitari avanzati, le prime attività di ricerca, e tecnologie sulle quali l’URSS si trovava più arretrata, come nel campo della genetica moderna.
Il caso emblematico fu lo sviluppo delle scienze biologiche e della genetica molecolare, dove la Russia per ragioni ideologiche era rimasta tagliata fuori dagli sviluppi decisivi (da quando negli anni ’30 l’agronomo Trofim Lysenko, poi sostenuto da Stalin, negando i principi fondamentali della genetica, aveva sostenuto la tesi della trasformazione delle specie provocata da cambiamenti ambientali).
Qui giocarono un ruolo fondamentale un gran numero di giovani biologi italiani i quali nei primi anni ‘70 impartirono a Cuba corsi di genetica molecolare e di altre branche della biologia moderna, e formarono la generazione dei biologi cubani che dopo il 1980 sviluppò un florido settore di biotecnologie, proprio quando questo campo nasceva a livello mondiale.
Cogliamo qui l’occasione per ricordare che proprio il 31 dicembre scorso abbiamo pianto la scomparsa di Paolo Amati, che di queste insostituibili collaborazioni fu l’alfiere: vogliamo ricordarlo con le parole che ci disse “Dai cubani ho imparato moltissimo”!
L’eccezione nel Blocco Comunista
Questa libertà delle scelte di Cuba nel blocco comunista non si limitò al campo scientifico: l’intervento militare in Angola nel 1975 a fianco del MPLA di Agostiño Neto (in piena Guerra Fredda, quando gli USA cercavano di uscire dal pantano del Vietnam) fu decisivo nel determinare la sconfitta dell’esercito del Sudafrica, cambiando il corso della storia del Continente. A differenza di tutti i paesi intervenuti in Africa, Cuba non portò a casa neanche una goccia di petrolio!
Ma la caratteristica distintiva dei cubani è non solo di apprendere ma anche di mettere in pratica in modi originali, efficienti e rapidi le conoscenze e capacità che acquisiscono. Il caso senza dubbio più brillante è stato lo sviluppo di un sistema e un’industria all’avanguardia a livello mondiale nel campo biotecnologo e delle sue applicazioni.
I medici e genetisti cubani freschi della formazione conseguita soprattutto nei corsi dei biologi italiani nei primi anni ‘70, a cui erano seguiti stage in laboratori e università in Italia e in Francia, si inoltrarono immediatamente nei primi anni ‘80 nel nuovissimo campo della biotecnologia nel momento in cui esso stava nascendo nei paesi avanzati, cogliendo così il momento che permise alla piccola Cuba (già allora gravata dal bloqueo, che impose costi esosi per procurarsi apparecchiature irreperibili in Unione Sovietica) di assumere un ruolo di primissimo piano a livello mondiale, e di portare i massimi benefici al Paese.
L’industria biotecnologica cubana, fondata su una struttura alternativa a quella capital-intensive dominante, più efficiente, raggiunse negli anni ‘80 livelli di eccellenza mondiale: fondata sul ciclo completo ricerca-test clinici-produzione-commercializzazione-esportazione, in stretto collegamento con il sistema sanitario e gli ospedali, ha messo a punto vaccini e terapie per le principali patologie della popolazione, promuovendo la cooperazione sud-sud e una “diplomazia medica” con tutti i paesi in via di sviluppo.
Cooperazione che è da qualche tempo è sotto attacco da parte del consiglio di sicurezza nazionale degli USA: come esempio, basti ricordare i 3 milioni di dollari stanziati dall’Agenzia per lo Sviluppo (!) Internazionale (USAID) e destinati a progetti contro le brigate mediche di Cuba all’estero (“Cuba’s doctors-abroad programme comes under fire” The Lancet, Vol 394, pag. 1132, 28 Settembre 2019).
Quando crollò l’Urss … ma Cuba no!
La conferma della solidità e dell’autonomia conquistata da Cuba nei tre decenni precedenti arrivò nel durissimo frangente della dissoluzione dell’URSS, quando il Pil del paese crollò di ben il 40%, e per tutta la popolazione si aprì il durissimo periodo especial. Gli analisti politici previdero che il sistema cubano sarebbe crollato in pochi mesi: ma Cuba è ancora lì!
Anche nel campo scientifico tecnico vi furono ovviamente conseguenze gravissime, molte attività dovettero essere chiuse (nel campo della fisica le apparecchiature erano di fabbricazione sovietica) o riconvertite, ma la struttura fondamentale del sistema scientifico cubano resse il colpo. Non solo, ma venne riconfermata la scelta fatta all’inizio della rivoluzione di puntare addirittura sul rafforzamento di questo settore per la ripresa del paese. Nel 1991 Fidel ribadì la scelta fatta 30 anni prima: «La sopravvivenza della rivoluzione e del socialismo, la difesa dell’indipendenza di questo paese, dipende oggi fondamentalmente dalla scienza e dalla tecnica».
E così fu! E anche questa volta la scelta si è rivelata vincente. Come evitare il paragone con il nostro Paese, dove con la crisi del 2008 vennero falcidiate selvaggiamente l’istruzione, le università e la ricerca scientifica, tagliando così le risorse per un rilancio dell’industria e dell’intera economia! Il governo cubano nel pieno della crisi investì un miliardo di $ nel rafforzamento del settore biotecnologico, vennero creati nuovi centri: si tenga presente che, pur nella grande penuria, nessun cubano patì veramente la fame perché la libreta, sebbene decurtata, garantì a tutti il minimo indispensabile.
La popolazione, pur se si diffuse malcontento, nella sostanza capì. Così nel 1994 fu inaugurato il modernissimo Centro de Inmunología Molecular, destinato a “ottenere e produrre nuovi biofarmaci per il trattamento del cancro e di altre malattie croniche non trasmissibili e includerli nel sistema sanitario cubano; rendere l’attività scientifica e produttiva economicamente sostenibile e contribuire all’economia del paese”.
Il paese si riprese, pur con grandi cambiamenti come l’apertura al turismo (che ovviamente non ha avuto effetti positivi) e all’iniziativa privata, ma il settore biomedico – riorganizzato dal 2012 intorno a BioCubaFarma, acronimo di “Gruppo delle Industrie Biotecnologiche e Farmaceutiche”, ad incarnare il concetto di “impresa di alta tecnologia” come un’entità dell’economia socialista cubana – oscilla tra il secondo e il terzo posto nell’ingresso di valuta pregiata, di cui Cuba ha disperato bisogno.
Quando Obama nel dicembre 2014 decretò l’apertura delle relazioni diplomatiche con Cuba, che poi corroborò con la storica visita ufficiale del 2015 – pur non rimuovendo il macigno dell’arcaico bloqueo – sembrò che gli scienziati e le istituzioni scientifiche statunitensi non aspettassero altro! I ricercatori degli Stati Uniti erano ben consapevoli da tempo del valore della scienza e della medicina cubana: partì infatti una raffica di incontri bilaterali da parte di scienziati e istituzioni scientifiche e mediche statunitensi per promuovere confronti, scambi, accordi con le rispettive controparti cubane.
Poi arrivò Trump e ribaltò tutto! La sua determinazione di strangolare le esperienze più avanzate del continente, Cuba e Venezuela (mentre imperversavano i colpi stato, istituzionali e violenti), ha esasperato di nuovo le difficoltà economiche dell’Isola. Ma nel pieno di questa nuova crisi Cuba diede un nuovo segno di vitalità elaborando una nuova Costituzione, approvata nel 2019 da referendum popolare, estremamente avanzata su tutti i temi sociali, i diritti delle donne e delle componenti Lgbtq. L’articolo 21 della nuova Costituzione recita: “lo Stato promuove lo sviluppo scientifico, tecnologico e l’innovazione come elementi imprescindibili per lo sviluppo economico e sociale…..; favorisce l’introduzione sistematica dei suoi risultati nei processi produttivi dei servizi attraverso il quadro istituzionale e normativo corrispondente..”.
La scienza ed il metodo scientifico entrano perciò ufficialmente a far parte delle forze produttive: è il “futuro di uomini di scienza e di pensiero” che Fidel Castro aveva previsto. D’altra parte, è di questi giorni la notizia che, tra i circa 30 farmaci scelti dalla Commissione Nazionale Sanitaria Cinese per contrastare l’epidemia da nuovo coronavirus (COVID-19), c’è anche un farmaco biotecnologico cubano, l’Interferone alfa 2B (Heberon Alfa R), efficace nel curare le complicanze respiratorie e che da poco tempo (25 gennaio 2020) viene anche prodotto in uno stabilimento cinese-cubano nella provincia di Jilin, nella città di Changchun (ChangHeber), https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-interferone_alfa_2b_il_farmaco_cubano_usato_in_cina_contro_il_coronavirus/82_33013/).
Sotto, ed oltre, la scure di Trump
Anche se Cuba non è più, inevitabilmente, il Paese più egualitario al mondo che l’ONU riconobbe negli anni Sessanta del secolo scorso, come stupirsi comunque che il paese sia immune dalle rivolte che agitano l’America Latina? Al netto di errori, indiscutibili e umani.
Il nostro libro, già citato, abbiamo voluto concluderlo con un brano che troviamo molto efficace, scritto da una persona che dichiaratamente non ha una spiccata simpatia per i cubani:
«… E alla fine, è questo: [i cubani] li rispetti. Io li rispetto. Non li amo, ma li rispetto. E quando hai girato per tutto il Centro America, e non ne puoi più di vedere bambini coperti di stracci, bambini che in Chiapas vanno a lavorare trascinandosi zappe più grandi di loro, bambini che circondano il Ticabus a ogni sosta della Panamericana armati di stracci e si mettono a lavarlo in cambio di un’elemosina, finisce che non vedi l’ora di tornarci, a Cuba, e di vedere finalmente bambini normali (la normalità è un concetto molto mobile), con l’uniforme lavata e stirata, belli pettinati con la riga a lato o le treccine e che vanno, tutti, A SCUOLA. Oppure a giocare. E che non lavorano. Mai. Riatterri a Cuba che trabocchi di rispetto. … Perché è una questione di prospettiva: se nasci povero, malato, sfortunato, è meglio se nasci a Cuba. Molto meglio, proprio. Fuori da lì, muori e muori male. Un povero non vuole essere guatemalteco, haitiano, dominicano. Vuole essere cubano, credimi.»3
1. A. Baracca e R. Franconi, Cuba, Medicina Scienza e Rivoluzione, 1959-2014 – Perché il Servizio Sanitario e la Scienza Sono all’Avanguardia, Zambon, 2019.
2. A. Gramsci, Quaderni del Carcere, edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Giulio Einaudi editore, Torino, 1975, rispettivamente: Quaderno 19, Vol. III (X), § 24, p. 2010; e Quaderno 12, Vol. III (XXIX), § 2, p. 1517.
3. Lia De Feo, “Omaggio a Fidel” (da Haramlik, il blog di Lia, http://www.ilcircolo.net/), Contropiano, 27 novembre 2016, https://contropiano.org/interventi/2016/11/27/omaggio-a-fidel-086380.
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Gianni Sartori
COLOMBIA: L’ELN DICHIARA LO SCIOPERO GENERALE (ARMATO)
(Gianni Sartori)
Il 14 febbraio l’Ejército de Liberacion Nacional (una delle più antiche formazioni guerrigliere della Colombia, la sua fondazione risale al 1964) aveva decretato uno sciopero generale armato di 72 ore. In particolare nei settori delle attività commerciali e del trasporto.
Coincidenza, il 15 febbraio cadeva l’anniversario della morte in combattimento (nel 1966) del prete Camilo Torres, esponente della teologia della liberazione e guerrigliero integrato nell’ELN.
Ernesto Che Guevara, destinato a morire nell’ottobre dell’anno successivo, fece in tempo a ricordarlo nel suo
“Crear dos, tres…muchos Vietnam– Mensaje a los pueblos del mundo a través de la Tricontinental” (insieme ad altri guerriglieri latino-americani caduti negli anni sessanta: Turcios Lima, Fabrizio Ojeda, Lobaton e Luis De la Puente Uceda…).
Stando alle prime impressioni, lo sciopero appare sostanzialmente riuscito, almeno nei territori controllati dalla guerriglia. A conti fatti, l’esercito ha dato prova di inadeguatezza – se non di impotenza – nell’impedire l’azione di protesta. E questo nonostante le ottimistiche dichiarazioni in conferenza stampa di alcuni ufficiali di alto grado.
Come era stato “consigliato” dall’ELN, in molte località soldati e poliziotti hanno preferito rimanere all’interno delle caserme e dei commissariati
Nel frattempo la guerriglia colpiva nei punti cruciali varie infrastrutture riuscendo a fermare un paio autostrade in direzione di Bogotà e di Medellin.
Sempre l’ELN ha fatto saltare – rendendola temporaneamente inagibile – la strada da Catatumbo verso il Venezuela e Cucuta (Norte de Santander).
Ridotto in maniera significativa anche il traffico tra Calì e la frontiera con l’Ecuador. Autisti di autobus e camionisti si sono rifiutati di percorrere la strada panamericana che attraversa territori in cui è significativa la presenza – e l’azione di controllo – dell’ELN (in particolare nel sud-ovest della provincia del Cauca).
Dopo aver subito alcuni attacchi armati, la compagnia petrolifera Ecopetrol (pubblica) ha dovuto fermare la pipeline Cano-Limon Covenas.
Nel dipartimento di Arauca, alcune città (tra cui la capitale provinciale) apparivano completamente deserte.
Nel corso dei combattimenti tra guerriglia e forze dell’ordine sarebbero morti almeno cinque poliziotti. Lungo la strada che unisce Pelaya a El Burro (dipartimento di Cesar) un attentato ne ha ferito sei. Un altro poliziotto è rimasto ferito a Cucuta, nei pressi della frontiera.
Per quanto riguarda l’esercito, un soldato è stato ucciso dalla guerriglia nella regione di Catatumbo.
Gianni Sartori