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Feudalesimo Brasileiro

Sono ore febbrili in Brasile, dove i colpi di scena si accavallano l’un l’altro, con i media nazionali che si smentiscono a vicenda, uscendo con prime pagine contraddittorie.

Nel pomeriggio di lunedì, ora brasiliana, con una decisione puramente politica e basata sul fatto che il ministro della Salute si era permesso di contraddirlo pubblicamente riguardo alle misure antivirus – quali blocco delle attività commerciali e isolamento – Jair Bolsonaro aveva rimosso dal suo incarico Luiz Mandetta, medico e attuale ministro della Sanità, il cui operato finora è stato egregio, limitando i casi e le vittime del Novo Coronavirus, come lo chiamano quaggiù.

Il fatto di essersi schierato sacrosantemente contro la scriteriata decisione di riaprire il commercio nel bel mezzo della crisi, aveva causato le ire del presidente, che voleva la sua testa.

Invece in tarda serata è arrivata la smentita finale: dopo una riunione al Planalto, il palazzo presidenziale, Mandetta annuncia la sua riconferma. Voci di corridoio riferiscono di un intervento dei militari che avrebbero convinto Bolsonaro a un ripensamento.

https://www1.folha.uol.com.br/poder/2020/04/bolsonaro-avalia-demitir-mandetta-da-saude-sofre-pressao-e-ministro-diz-que-fica.shtml

All’indomani del 6 aprile, il Brasile registra quasi 500 decessi e 11.150 casi ma le cifre appaiono sotto-stimate; i dati andrebbero almeno triplicati, anche perché i tamponi applicati sono irrisori e manca il monitoraggio nelle favelas, le comunità degli excluídos.

Ma ricostruiamo per ordine ciò che è successo precedentemente.

 

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Il discorso a reti unificate del presidente di alcune settimane fa rivolto alla nazione e alla stampa, minimizzando il rischio pandemia, definiva il COVID 19 “uma gripezinha” – un’influenza da poco – chiedendo quindi alle attività commerciali di riaprire, e alla manodopera di tornare al lavoro per guadagnarsi il pane, “perché la miseria uccide più del virus”

Un’uscita avventata, che metteva già allora a serio rischio l’operato di Mandetta, il quale era riuscito a contenere l’espansione dei casi e limitare il numero dei decessi, imponendo l’isolamento federale e lo stop alle produzioni non essenziali.

“O così, oppure il sistema sanitario brasiliano andrà in collasso nel mese di aprile, e anche pagando sarà difficile accedere alle cure necessarie” aveva ammonito fin dall’inizio il ministro, prima che il contagio dilagasse.

Dopo l’exploit di Bolsonaro, e l’uscita anticipata dalla quarantena di alcuni stati specie nel Nord Est, l’infezione aveva accelerato i suoi ritmi, registrando una brusca impennata: dai 4.500 del weekend precedente, il numero dei casi era raddoppiato, 8076 ufficializzati venerdì 3 aprile, mentre i decessi erano passati da 150 a 31. La vittima più giovane finora, un ragazzino di 15 anni.

Un tasso di crescita di circa il 90% dei contagi, e di oltre il 100% dei decessi, il più alto al momento. Mandetta aveva già contraddetto apertamente il presidente, tenendo duro sul massimo isolamento e il rispetto della distanza di sicurezza.

Bolsonaro ha provato prima a ribattere che lo stesso direttore OMS avrebbe confermato la sua teoria anti-isolamento, riportando uno spezzone del discorso tenuto da questi in Africa. In realtà egli ha travisato volutamente il passaggio più importante di Tedros Adhanom, quando dichiarò che è dovere dei governi nazionali assistere chi è costretto a casa dalla quarantena senza mezzi di sostentamento.

Il direttore OMS si era limitato a constatare che in Africa la gente è costretta a lavorare ogni giorno per portare a casa il pane, e deve essere assistita se rimane bloccata.

Inaspettatamente, il ministro di Giustizia Sérgio Moro irrompe in scena quando, senza timori reverenziali e forte della popolarità di cui gode, striglia Bozo (nomignolo affibbiato al presidente, mutuato dal celebre clown) asserendo che è compito esclusivo del ministero della Salute orientare il paese sulle misure da prendere e, pur essendo d’accordo sul fatto che l’economia va salvaguardata, la salute dei cittadini è prioritaria.

La sera stessa, nel notiziario tv, Bolsonaro cambia completamente tono, ammettendo che il COVID 19 è una minaccia seria senza ancora una cura certa, e che farà il massimo sforzo per coniugare la tutela della salute pubblica con il lavoro.

Intanto però il danno è fatto: i brasiliani, già allergici ai divieti per natura, hanno preso la palla al balzo, uscendo dalle gabbie, per invadere di nuovo le strade e i parchi, facendo jogging e sudando in palestra.

E così il virus gongola. Comunque vada a finire, dopo gli avvenimenti che si sono succeduti in questi giorni, e i continui ripensamenti di Bolsonaro, emerge chiaramente che il presidente è ormai delegittimato, e la possibile interruzione del suo mandato, potrebbe addirittura anticipare la fine della pandemia in corso, che appare assai lontana al momento

Trabalhadores tra incudine e martello

Il problema degli ammortizzatori sociali inesistenti in Brasile, è il migliore alleato della pandemia.
Per il ceto basso non ci sono altre alternative oltre a quella di lavorare infettando o rimanendo infettati, altrimenti stare a casa e morire di fame.

Una sorta di gioco della Torre che riguarda solo la manodopera più bistrattata, la quale, oltre a subire l’insulto abituale di un salario minimo mensile fissato a 1045 R$ (950 nel Nord Est) ora, senza poter lavorare, deve sperare almeno in un’indennità di disoccupazione pari a 450 R$ per famiglia, 87 euro, suggerita da Ipea (Instituto de Pesquisa Econômica Aplicada).

Pannicelli caldi, considerando che una famiglia delle favelas è composta in media da 5-6 persone, calcolando anche un anziano a carico. 75 R$ extra a cranio.

La proposta è stata poi approvata giovedì scorso, “addirittura” con un arrotondamento a 600 R$, 150 in più della richiesta iniziale, in pratica circa 30 €. Ci sarà da gozzovigliare nelle favelas una volta che si spargerà la voce, poco ma sicuro.

Eppure, basterebbe che il governo federale imponesse una tassa patrimoniale “una tantum” sui grandi capitali che in Brasile non mancano di certo, il cui ricavato potrebbe finanziare una sorta di welfare per l’emergenza, onde sopperire alle carenze dei lavoratori momentaneamente disoccupati. Anche alla luce di una evasione costante “italian style” praticata dai riccastri, che avrebbe dovuto essere penalizzata da una riforma tributaria ancora saldamente chiusa nel cassetto del Presidente della Camera Rodrigo Maia.

Maia è un monumento vivente all’ipocrisia: prima scarta la richiesta di un deputato indipendente di inserire nella PEC (Proposta de Emenda à Constituição) la possibilità per i partiti di destinare i rimborsi elettorali alla lotta contro il virus e agli ammortizzatori sociali.

Subito dopo però, egli stesso sollecita l’approvazione della modifica costituzionale che consente alle banche la compravendita dei diritti di credito e di titoli privati sul mercato secondario.

Spalancando così le porte alla speculazione più becera, che in tempi di guerra o pandemia come adesso, consente guadagni mostruosi ai soliti noti sulle disgrazie altrui.

Chiusa la digressione, torniamo ai trabalhadores: paradossalmente in Brasile va meglio a quelli che fanno i lavori peggiori: a São Paulo il prefetto Bruno Covas ricompenserà con 1200 R$ extra per famiglia, 2300 gruppi familiari che costituiscono le cooperative autonome dei catadores de lixo reciclável, i raccoglitori di rifiuti incaricati della separazione dei materiali riciclabili: carta e cartoni, stracci, vetro e alluminio ricavato dalle lattine usate.

Un lavoro duro, ma tra i mestieri umili degli excluídos, forse quello pagato meglio.

Quasi 6 milioni di Real sono stati messi a loro disposizione dalla Prefettura.

Tra l’altro, nella metropoli più grande del Brasile, e la più malata, che da sola ha prodotto il 50% dei decessi nel Paese, le uniche categorie esentate dalla quarantena sono i catadores che fanno la raccolta porta a porta – ora che il coprifuoco costringe la gente dentro casa – i riders delle consegne di cibo a domicilio, e ovviamente i corrieri, che però lavorano in condizioni di rischio estremo, essendo ormai irreperibili mascherine di protezione e guanti.

Tranne i corrieri, gli altri sono tutti freelance, gli unici veramente indispensabili durante un’epidemia o una guerra, per la maggior parte di pelle scura. Ovviamente.

È la legge del contrappasso: in una società razzista fino al midollo qual’è quella brasiliana, divisa per caste, con al vertice la minoranza bianca che possiede tutto – fabbriche, alberghi, ville e mezzi di produzione – e che stipa in favelas malsane infestate da zanzare senza acqua corrente milioni di miserabili, adesso è proprio da questi che dipende la vita dei privilegiati.

Il virus è la cartina di tornasole di una società feudale, basata sullo sfruttamento estremo, dove la povertà diventa una condizione da preservare da parte della classe dirigente, piuttosto che debellare.

Indispensabile in situazioni di emergenza come quella attuale, dove Sire, Signori, Vassalli, Valvassori e Servi della Gleba interpretano, ora come non mai, l’immobilità dei propri ruoli.

(Testi e foto: Flavio Bacchetta Copyright)

Basato su un articolo similare pubblicato su

https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/04/02/coronavirus-in-brasile-bolsonaro-parla-troppo-tardi-di-minaccia-e-a-rimetterci-sono-i-piu-poveri/5757765/

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