Dal 6 aprile è tornato in libertà Algirdas Paletskis, prigioniero politico lituano, ex leader del Fronte popolare socialista di Lituania, ex deputato ed ex funzionario del Ministero degli esteri, rimasto in carcere dall’ottobre 2018.
Tramontati i tempi in cui ogni telegiornale dell’unica rete televisiva italica si apriva (chi se ne ricorda, si potrebbe dire di questi tempi, è in un’età a rischio) con addolorate omelie per il “martirio” dei dissidenti lituani, oppressi dalla “dittatura sovietica”, ovvio che nessun notiziario delle migliaia di reti televisive odierne si sia degnato, in questi due anni, di informare della detenzione di Paletskis, e dubitiamo che parlerà della sua scarcerazione.
Se a reti unificate si è ignorata la sua detenzione, ovvio che non vi sia nemmeno scarcerazione. Come si dice in linguaggio para-giudiziario, siamo “in assenza di crimine”.
Ha dato notizia della scarcerazione di Paletskis, e degli altri antifascisti lituani arrestati con lui, il pubblicista lettone Miroslav Mitrofanov, sottolinenando che “ancora fino a poco tempo fa la situazione sembrava senza speranze; ma la solidarietà internazionale e il coraggio di una parte della società lituana in difesa dei prigionieri politici, hanno portato alla loro liberazione”. Ricordiamo che, già all’ottobre scorso, Paletskis aveva perso più di trenta chili.
Si tratterebbe solo di discernere quale sia il crimine e chi ne sia stato l’autore. Per le autorità della Lituania europeista – non sia mai che in un paese “democratico” si imprigioni per motivi politici – Algirdas Paletskis era sospettato di “spionaggio”, ovviamente a favore della Russia: un sospetto (non un accusa: mai formulata) che ha permesso agli eredi delle Waffen SS di tenere in prigione Paletskis per quasi due anni, in isolamento e con il divieto di visita dei parenti.
E’ appena il caso di ricordare, tanto per rimarcare l'”europeismo” della Vilnius di oggi (in larga parte anche di ieri: ex membri in vista del PCUS di Lituania, divenuti Presidenti e deputati della “Lituania indipendente”, che celebrano le imprese dei komplizen nazionali al servizio del Terzo Reich) che la sostanza della “colpa” di Paletskis era quella di aver chiesto ulteriori indagini sui fatti 13 gennaio 1991 a Vilnius. Quando, secondo le sue parole, “i nostri spararono sui nostri”, intendendo che, secondo un copione che si sarebbe andato sempre più affinando negli anni, cecchini nazionalisti lituani colpirono sia i manifestanti che i militari delle “truppe d’occupazione sovietiche”, provocando una quindicina di morti.
Per quanto poi riguarda poi il sospetto – ma questo lo aggiungiamo noi – che il disegno del 13 gennaio a Vilnius fosse concordato con quelle forze che da Mosca dirigevano l’impianto della perestrojka anti-URSS, ce lo potrà dire solo ancora un po’ di tempo.
La Lituania, oramai da più di trent’anni, non è più terra di “dissidenti” oppressi da Mosca. Oramai la “democrazia” ha trionfato sulla “dittatura”; nessuno viene imprigionato per motivi politici e, di conseguenza, nessuno viene scarcerato. Era solo una nostra impressione.
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