La Bielorussia si trova su una delle maggiori linee di faglia prodotte dall’attuale conflitto tra attori politici globali.
Questo confronto che assume sempre più i contorni di una guerra fredda di nuovo tipo per ciò che concerne l’ex Repubblica Sovietica comprende vari aspetti: dallo scontro geo-politico tout-court tra blocchi differenti alla competizione economica spicciola.
I maggiori competitor globali: USA, Unione Europa, Russia e Cina hanno interessi importanti – per certi versi vitali – in questo territorio che è il punto nevralgico d’intersezione lungo l’asse euro-asiatico a livello economico e di fatto uno Stato cuscinetto tra l’espansione verso Est della NATO e la profondità strategica ad Occidente della Federazione Russa.
L’Alleanza Atlantica, tutt’altro che in stato di “morte cerebrale”, sta spostando i suoi bastioni sempre più in Polonia e nei Paesi Baltici, ed ha recentemente svolto a giugno l’esercitazione “Allied Spirit” all’interno del quadro di “Defender-Europe 20”.
Queste manovre che hanno visto un notevole dispiegamento di uomini e di mezzi dagli USA così come dalle basi statunitensi del Continente non sono che una tappa di progetto teso ad aumentare la rapidità e l’inter-operatività tra le differenti truppe della NATO con una non troppo velata funzione di “accerchiamento” della Federazione Russa.
Con queste premesse e al netto di tutte le contraddizioni sociali presenti nella società bielorussa – su cui si vanno ad innestare le mobilitazioni contro i risultati elettorali del 9 agosto – appare chiaro come la partita che sia giocando nel Paese è molto complessa Gli ipotetici “brogli elettorali” di un Presidente riconfermato comunque con l’80% dei voti, sono assolutamente un pretesto per “forzare l’orizzonte” e dettare una agenda politica in sostanziale rottura con l’ultimo quarto di secolo in Bielorussia.
Questo tentativo di sfruttare le contraddizioni interne è pienamente ascrivibile alla volontà di fomentare la mobilitazione reazionaria di massa di strati di subalterni per cambiare i rapporti di forza in campo tra i vari interessi contrapposti, avvantaggiando quegli interessi parzialmente estromessi dalla gestione economica e dalla governance politica attuale. Si tratta in buona sostanza di una forma di rivoluzione colorata “soft” travestita da transizione democratica da cui è storicamente dimostrato i lavoratori e le lavoratrici hanno ben poco da guadagnare.
Questa sembra fino ad ora sembra la strada intrapresa dalla “leader” dell’opposizione Svetlana Tikhanovskaja auto-esiliatasi a Vilnius in Lituania come degli altri sei membri dell’autoproclamato Coordination Council, tra cui la nota scrittrice – vincitrice del premio Nobel – Svetlana Alexievich che agiscono di fatto “per conto terzi”.
Infatti, dopo un summit virtuale la scorsa settimana dei leader della UE il Presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, ha promesso che l’Unione avrebbe “in fretta imposto sanzioni contro un numero sostanzioso di individui responsabili per la violenza, la repressione e la falsificazione dei risultati elettorali”.
Una chiarissima posizione di ingerenza negli affari di uno Stato Sovrano, di cui l’auto-proclamato Consiglio di Coordinamento è chiaramente la “quinta colonna” e riflette la “doppiezza morale” di una classe dirigente continentale che denuncia le presunte violenze dei diritti umani quando questa presa d’atto si coniuga con i suoi fini di politica estera.
Le classi subalterne nel nostro Paese, come quelle di tutta l’Unione Europa ed in particolare quelle degli Stati periferici, sanno bene che dietro la facciata democratica le oligarchie europee celano un volto fatto di torsione autoritaria, coniugata con l’austerità economica ed una politica neo-coloniale che si esercita sui popoli in cerca della propria auto-determinazione.
In ogni caso non è da escludere a priori una “forzatura”, o un suo tentativo, che faccia precipitare gli eventi sullo stampo di quella esercitata nel 2014 in Ucraina su pressione degli stessi attori internazionali come gli Usa e alcuni Paesi dell’Est Europa per mano dei suoi agenti prezzolati. Questa ipotesi alzerebbe non di poco la tensione tra differenti poli in frizione tra di loro in cui all’oggi vige uno stallo sostanziale dei rapporti di forza.
Allo stesso tempo se l’attuale assetto di potere dimostrasse una capacità di resilienza sufficiente – e le mobilitazioni popolari contro i tentativi di destabilizzare il paese continuassero – non è da escludere uno sbocco che avvantaggi un maggiore orientamento della Bielorussia verso la partnership strategica russo-cinese ed una parziale inversione di tendenza rispetto alle storture sociali che hanno caratterizzato in parte il recente corso politico del Paese. Queste storture sono state l’humus ideale per chi intende strumentalizzare il malessere di una parte della popolazione contro gli interessi della maggioranza e dare uno sbocco reazionario e neo-liberista all’insoddisfazione accumulata.
Nel primo caso – “rivoluzione colorata soft” – ed ancor più nel secondo – “una Maidan in forme mutate” – le forze comuniste ed il movimento operaio verrebbero ancora più marginalizzate e rese ancora più esterne alla formulazione dell’agenda politica.
Occorre fare un quadro sintetico di cosa sia questo Paese.
La Bielorussia ha alcune caratteristiche specifiche che sono una diretta eredità storica della divisione del lavoro all’interno dell’Unione Sovietica, del suo percorso di “inversione di tendenza” nel 1994 rispetto alle politiche neo-liberiste attuate dopo il crollo dell’URSS, ed un rapporto privilegiato a più livelli (militare, economico ed energetico, nonché “culturale”) con il “vicino” russo. Queste specificità ne definiscono all’oggi i tratti essenziali.
Nonostante una politica di “graduale” privatizzazione, il welfare bielorusso ed il mercato del lavoro – in particolare giovanile – copre una serie di aspetti che lo rendono un unicum nel panorama continentale, e non ne fanno – come una parte rilevante dei suoi vicini – una terra da cui si è costretti a partire per sopravvivere.
I suoi abitanti ne sono perfettamente consci.
Sul piano politico la Bielorussia ha mantenuto una “relativa autonomia” anche se numerosi aspetti la legano “indissolubilmente” alla Federazione Russa che ha in Bielorussia alcuni irrinunciabili punti strategici: un centro di comunicazione per sottomarini atomici a Vilejka e la stazione radar Volga, inoltre potrebbe sorgere una base aerea russa.
Il greggio russo è vitale per il settore della raffinazione e per mantenere un costo del carburante ad uso domestico molto inferiore a quello occidentale: 8% del PIL riguarda le esportazioni petrolifere fino a qui assicurate in parte dal differenziale tra la vendita a prezzi di mercato del petrolio russo acquistato “duty free”. Il rapporto attorno alle forniture di petrolio ed un tentativo di parziale diversificazione di approvvigionamento di parte bielorussa ha causato anche recentemente frizioni tra i due paesi.
Attraverso le sue due pipe line petrolifere (Druzhba sul fianco settentrionale e Northen Druzba su quello meridionale) e le sue due raffinerie (Novopolotsk al 100% di proprietà statale, Mazyr con una quota inferiore al 50% posseduta da aziende russe) la Bielorussia è un nodo centrale del gioco energetico – del petrolio come del gas – che attraverso la Lettonia e Lituania nei paesi baltici e la Polonia giunge ad occidente.
Il 70% dell’economia bielorussa deriva dall’industria pubblica, all’incirca metà delle aziende e dove lavora circa la metà della forza lavoro.
È un sistema aziendale tutt’altro che decotto e che varia dall’industria di raffinazione di prodotti petroliferi – il 20% del cloruro di potassio mondiale fondamentale per la fabbricazione di fertilizzanti è qui prodotto – alla leadership per la attrezzature necessarie al settore estrattivo, ai mezzi pesanti come trattori e camion. La Bielorussia ha una fiorente agricoltura – ha trebbiato per quest’anno 7,5 milioni di tonnellate di grano in questo raccolto – ed il maggiore produttore di latticini al mondo, grazie anche all’esportazioni verso la Cina.
Settori che fanno gola sia alle élites economiche occidentali che agli oligarchi russi, entrambi “scalpitanti” e favorevoli alla riduzione della sovranità economica bielorussa sulle proprie risorse complessive dal welfare alle eccellenze industriali.
I fattori di novità rispetto a questo quadro sono dati da una “apertura” agli investimenti stranieri sia da “occidente” che ad “oriente”. l’High Tech Park nei pressi di Minsk chiamata “la silicon valley bielorussa”, e la catena di supermercati Eurotorg – la prima azienda bielorussa ad essere stata oggetto di un “eurobond” nel 2017 con azioni vendute a più del 90% a investitori UK, USA e UE ed che è in trattative per la propria quotazione nella borsa londinese – sono forse due maggiori esempi di “penetrazione” del capitale occidentale.
L’HTP realizzato nel 2005 è un vettore di investimenti stranieri di alta tecnologia per l’esportazione che può contare su una alto livello d’istruzione dovuto in parte alla continuità con quello che era stata la scelta sovietica di allocare in Bielorussia i settori dell’industria scientifica e ingegneristica, e all’ottimo sistema di istruzione del Paese dove tra l’altro si ha diritto post-laurea ad un posto di lavoro per almeno tre anni.
In questo vero e proprio hub che funzione a metà tra un Zona Economica Speciale ed un incubatore d’impresa locale che catalizza i lavoratori più qualificati del settore, sorgono 700 aziende (triplicate dal 2017) che esportano verso l’Unione Europa la metà dei propri prodotti, mentre il 45% prende la direzione degli Stati Uniti. Viber una delle aziende più conosciute è quotata alla Borsa di New York.
L’ultimo decennio però ha visto l’accrescersi del rapporto economico-finanziario con la Cina di cui tra l’altro il cuneo bielorusso è previsto essere uno dei maggiori punti di transito a livello terrestre della “Nuova Via della Seta” e la testa di ponte per l’approdo nei mercati occidentali.
Dopo il golpe contro il presidente ucraino Janukovic del 2014, i progetti della Repubblica Popolare hanno preso sempre più preso la strada verso Minsk rispetto a Kiev, privilegiata per la stabilità politica. Non è superfluo ricordare che a fine del 2013 proprio il presidente ucraino deposto aveva firmato a Pechino intese per 8 miliardi di dollari, che si sommavano ai 10 di prestiti.
Un dato importante che in parte spiega la “forzatura” esercitata dall’allora amministrazione statunitense per fare precipitare gli eventi.
Nel 2018 gli scambi commerciali tra Bielorussia e Cina sono arrivati a 4,5 miliardi di dollari, nell’agosto del 2019 è arrivato il primo treno con 1500 tonnellate di legname dalla Bielorussia a Donguguan, mentre il collegamento via rotaia in senso inverso funzionava dal 2016. 440 milioni di dollari fino all’altr’anno sono stati investiti nel parco tecnologico Velikij Kamen’ a Minsk, dove sorgerà un centro di sviluppo e ricerca del gigante cinese Huawei. E Proprio Huawey e l’altro colosso cinese ZTE hanno investito fino ad oggi 8 miliardi di dollari nel Paese mentre la casa automobilistica della Repubblica Popolare Geely ha un impianto in Bielorussia.
Per dare un ordine di grandezza nell’ultima decade gli investimenti cinesi sono aumentati di 200 volte, mentre i prestiti cinesi hanno contribuito alla creazione di infrastrutture ed allo sviluppo economico del Paese.
Solo il “Great Stone Industrial Park” – un centro di 112 km quadrati – ha attratto più di un miliardo di investimenti e 60 aziende da 15 stati dalla sua creazione dal 2012. Questa struttura che il Presidente cinese Xi ha definito “la perla” della Nuova Via della seta, nei progetti di ampio respiro del Paese asiatico è destinata ad essere in un hub logistico, finanziario e di innovazione per le sue operazioni in Europa.
Oltre a questo, la Cina ha cominciato a prestare soldi alla Bielorussia anche se l’esposizione per l’indebitamento con l’estero verso il Paese Asiatico è solo una frazione rispetto a quello contratto con la Russia: di poco meno di 8 miliardi di debito contratti con l’estero più di 7 e mezzo sono con la Federazione Russa.
Un dato che colloca le sue sorti economiche della Bielorussia tra le braccia della sempre più stretta partnership strategica russo-cinese, e che di per sé spiega in parte i tentativi di destabilizzazione congiunti di UE ed USA del corso politico intrapreso dal Paese.
Nel 2018 il 5,5% del PIL era dovuto all’alta tecnologia, una proporzione che era destinata a crescere secondo alcune previsioni al 10% nel 2023. Questo settore di punta in Bielorussia diviene per forza di cose una terreno di contesa nella guerra tecnologica che da un po’ di tempo a questa parte si sta sviluppando tra USA, UE e Cina.
Alla luce di questi dati, la partita che si gioca in queste settimane in Bielorussia sarà piuttosto determinante per i rapporti di forza tra i maggiori attori internazionale e per il futuro delle classi subalterne bielorusse.
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