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A Mosca conviene tifare per Trump o per Biden?

Come a mettere le mani avanti, anche se in ritardo, dato che già da tempo si accusa Mosca di intromettersi nelle presidenziali USA, in Russia ci si chiede se sia più vantaggiosa la vittoria di Trump o di Biden.

I primi a urlare contro “le intromissioni” del Cremlino, sono ovviamente i democratici, loro stessi quasi certi della sconfitta del proprio candidato e indaffarati quindi già ora a mettere insieme le “prove” che incastrino il colpevole della disfatta.

E, in ogni caso, non sono per nulla refrattari alla possibilità di scatenare qualcosa di grosso, pur di tagliare le gambe a un possibile Trump vittorioso. Con gran parte degli alti comandi militari schierati, più o meno apertamente, dalla parte del presidente in carica, la faccenda potrebbe assumere contorni ben più infuocati di quelli delle ultime settimane.

Dunque, dicono a Mosca, dal momento che le differenze tra i due candidati, soprattutto in politica estera, sono minime e dato che, in ogni caso, la Russia sarà accusata di aver manipolato il voto della più grande democrazia liberale del mondo, per chi si dovrebbe fare il tifo?

Dei due pretendenti, uno vorrebbe cominciare a fare i conti prima con la Cina e subito dopo con la Russia; l’altro, viceversa; entrambi, non necessariamente con un conflitto armato. Almeno, non subito.

Ragion per cui, dice qualche media russo non proprio ufficiale, i russi dovrebbero auspicare la vittoria del candidato, chiunque sia, che assicuri l’indebolimento degli Stati Uniti. Come i due schieramenti possano procedere davvero a realizzare tale “infiacchimento”, è tutta un’altra storia.

Per il momento, il Washington Examiner scrive che i sostenitori di Biden e i media a lui fedeli sono al lavoro sul ritornello delle calunnie lanciate da Mosca per favorire la vittoria di Trump e screditare l’ex vice Presidente, in particolare ricordando gli affari esteri del figlio, Hunter Biden. Detto fatto: il 25 settembre Joe Biden ha ammonito Mosca che, in caso di vittoria elettorale, gliela farà pagare per essersi intromessa nella campagna elettorale americana.

Presta qualche pezza a sleeping Joe il direttore dell’European Council on Foreign Relations, Mark Leonard, in un articolo pubblicato a inizio mese su The Strategist, scrivendo che Donald Trump dispone di non pochi “trucchi sporchi” per assicurare la propria vittoria. L’attuale presidente, scrive, come tutti i politici autoritari – Erdogan, Putin, Orban, ecc. – usa la storia come un’arma, diffonde videoclip propagandistici, imperversa sui social e conduce persino una campagna elettorale contro il proprio stesso governo e il “deep State”, oltre ad aver dichiarato una “guerra giudiziaria” per favorire la falsificazione del voto.

I leader autoritari, scrive Leonard, ricorrono spesso alla “tecnologia politica”, che significa i trucchi più sporchi mutuati dalla politica post-sovietica: ciò significa: “implicito sostegno della Russia“.

Ma, se la guerra condotta a colpi di dazi, sanzioni, aggressioni finanziarie, accerchiamento militare, deve comunque essere portata sia contro Mosca che contro Pechino – in quest’ordine o in quello inverso, a seconda del vincitore delle presidenziali – non dovrebbe forse Washington, si chiede The National Interest, preoccuparsi di una presumibile più stretta alleanza tra i due avversari?

Ecco dunque che a Washington ci si rammenta della svolta di Richard Nixon verso la Cina, a inizio anni ’70, seguita di poco a uno dei momenti più acuti della crisi tra Mosca e Pechino.

Oggi, il costante disgelo operato tra i due paesi, soprattutto grazie a Putin e Xi, sta dando non pochi frutti anche in campo militare, scrive The National Interest, e il loro comune potenziale – commerciale, tecnologico, politico, militare, internazionale – è in grado di rintuzzare il dominio mondiale USA: nonostante Mosca e Pechino siano capaci più di minare i piani americani che non di realizzare i propri, insieme costituiscono in ogni caso un significativo contrappeso alle ambizioni statunitensi.

Al momento, il più pericoloso dei due per l’America, è la Cina, non foss’altro per i legami, economici e di altro tipo, tra i due paesi. Ragion per cui, Washington dovrebbe muoversi in direzione della Russia, molto più debole della Cina, e che rappresenta una minaccia minima sia per gli Stati Uniti che per i Paesi europei.

La rivista si addentra quindi nel campo del fantasioso, giungendo ad auspicare uno stop all’allargamento della NATO e addirittura la fine del sostegno militare a Kiev, insieme ad alcune giravolte a proposito di Crimea, Ossetija meridionale e Abkhazija, da un lato e Venezuela, Libia, Siria, dall’altro. Come no?

Non certo un’alleanza con Mosca, conclude The National Interest, anche se il pericolo nucleare fattosi più grave proprio negli ultimissimi tempi, obbliga a sedere a un tavolo comune; ma, evidentemente, un avvicinamento di quel tanto che basta per scongiurare un’alleanza Mosca-Pechino. Tanto più temuta, ad esempio, da The Strategist, vista la crescente interazione tra i due paesi sui temi energetici nella regione artica.

Questo, nonostante la reciproca diffidenza, data da antiche tensioni territoriali nell’Estremo Oriente russo e da certi rimasugli della divisione sovietico-cinese durante la guerra fredda: momenti, scrive la rivista, che continueranno a lungo a limitare il potenziale “asse” tra i due paesi.

Ma Mosca e Pechino sanno di non avere né alleati né partner; per questo, si sforzano di instaurare relazioni reciprocamente vantaggiose e, da ciò, l’interazione russo-cinese anche nell’Artico russo (fonte per Mosca di immense risorse energetiche e importantissima area strategica dal punto di vista militare), che ha permesso a Mosca di superare le difficoltà create, anche qui, dalle sanzioni occidentali.

In cambio, Pechino alleggerisce i propri problemi energetici e approfitta della possibilità di transito per la rotta marittima settentrionale, che dimezza tempi e costi navali dall’Asia all’Europa.

Una più stretta cooperazione con la Cina è inoltre molto importante per Mosca, nel momento in cui dovesse mirare ad allargare il proprio interesse oltre la zona artica russa. Secondo The Strategist, una tale mossa di Mosca non è da escludere, in particolare sulla piattaforma continentale, la cui appartenenza è ancora in discussione.

Russia, Danimarca (attraverso la Groenlandia) e Canada hanno infatti già avanzato richieste per espandere le proprie zone economiche esclusive, che si intersecano nell’Oceano Artico.

Non si esclude, scrive la rivista, che la Russia sia caduta nella trappola diplomatica e creditizia di Pechino e che dipenda eccessivamente dal capitale cinese e dalle joint venture per progetti energetici nell’Artico. Dunque, la Russia fa, sì, affidamento sulla domanda cinese di gas naturale liquefatto artico, ma si sta anche dando da fare con Arabia Saudita, Giappone, India e Corea del Sud, per diversificare le fonti di capitale.

Dunque sembrerebbe che, per un verso Mosca debba veramente auspicare la conferma di Trump, che le sta dicendo “ti mangerò per ultima”; ma, dall’altro, non può nemmeno spingersi troppo in là con quell’auspicio, che significherebbe un possibile indebolimento del proprio – al momento – alleato più affidabile e potente.

Per questo, al Cremlino, non cessano di favorire anche mosse autonome di partner europei sulla scacchiera euro-atlantica. Il gioco è interessante, ancorché pericoloso.

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