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Stellantis: il nuovo campione europeo nella Torino post-industriale

Da oggi è operativa ad ogni livello la fusione di PSA e FCA nel nuovo gruppo Stellantis, dunque cogliamo l’occasione per fare qualche riflessione a proposito delle ricadute sulla città di Torino. Non entreremo nel merito di chi ha acquisito chi, la questione è molto semplice ed è stata approfondita da analisti come quelli di Milano Finanza (che non è la Pravda).

Dal punto di vista sostanziale è infatti PSA ad aver acquisito FCA. Difatti la maggioranza del CdA di Stellantis resta nelle mani dei francesi e l’amministratore delegato della nuova società resta quello di PSA; per quanto riguarda ciò che appare sui bilanci – data la differenza di quotazioni sul mercato tra FCA e PSA, a favore della prima – è PSA che ha acquistato FCA1 .

I lacchè della stampa italiana e i politici nostrani parlano di “fusione paritetica” con l’aria di chi si preoccupa di” mantenere alto l‘onore e l’orgoglio italiano”…

Non possiamo però slegare la vicenda di Stellantis da quella più generale delle dinamiche di mercato che riguardano l’intero settore dell’automotive, per almeno due ragioni: Stellantis sarà il quarto OEM (Original Equipment Manufactorer) mondiale, di conseguenza ha un peso rilevante rispetto al mercato globale dell’auto; la tendenza alla concentrazione delle industrie è un elemento centrale dell’attuale fase del modo di produzione.

Il mercato globale del settore automotive

La fusione è stata annunciata il 31 ottobre 2019 con il dichiarato obiettivo di “creare un leader mondiale nella nuova era della mobilità sostenibile”. Da lì a pochi mesi il Coronavirus è arrivato in ogni angolo del mondo e l’industria dell’automotive ha subito perdite importanti.

In Italia a marzo 2020 c’è stato un calo delle immatricolazioni pari all’ 86%, nel mese di aprile è arrivato al 98%, ed ha riportato le vendite di auto ai livelli degli anni ’60, quando nel nostro paese cominciava il processo di motorizzazione di massa.

Questo è un brutto colpo per l’economia italiana ma non solo, soprattutto se consideriamo che le attività direttamente e indirettamente legate al mondo automotive producono da sole un fatturato di oltre 106 miliardi di euro. Inoltre – per le caratteristiche peculiari che l’industria dell’auto ha nel tempo assunto in questo paese – la filiera della componentistica italiana è il settore a più alto valore aggiunto dell’economia nazionale2.

Per quanto riguarda l’occupazione, anche se c’è da rilevare che era in diminuzione già prima della pandemia, le prospettive sono tutt’altro che rosee: i lavoratori più a rischio sono quelli delle piccole/medie imprese e della rete commerciale; ma nessuno può ritenersi escluso, si pensi ai licenziamenti degli ingegneri dalla Pininfarina Engineering confermati a dicembre 20203.

Nel 2019 nel mondo sono stati prodotti 90 milioni di autoveicoli, un quarto dei quali in Cina e un altro quarto in Europa; nel nostro continente il settore occupa il 6,1% dei lavoratori ed è quello in cui si investe di più in sviluppo e ricerca. L’Europa è il continente che spende più di tutti in R&D nel settore automotive4, è quindi evidentemente strategico per le prospettive di sviluppo industriale dell’Unione Europea.

Dalla crisi del 2008 il settore automobilistico ha trainato l’intera economia con tassi di crescita pari al 6%, ma nel 2018 hanno cominciato a contrarsi, i fattori scatenanti sono stati la crisi del diesel e l’emergere dei veicoli elettrici ed ibridi.

Il Covid quindi è arrivato in una fase in cui già erano in atto profondi cambiamenti nella filiera produttiva di automobili, le previsioni indicano una ripresa dei livelli pre-pandemia fra tre anni ma ovviamente non tutti sono sulla stessa barca.

Difatti, le capacità di gestione della pandemia influiscono molto su queste tempistiche e sulle reali prospettive di ripresa. Chi ha scelto di “convivere con il virus” probabilmente pagherà il prezzo più alto, a dimostrazione che i capitalismi occidentali non permettono né la salvaguardia della salute dei cittadini né quella dell’economia.

La Cina a fine anno, nell’automotive, perde meno del 10%, mentre il governo sta incentivando all’acquisto di auto elettriche nelle metropoli cinesi; in Europa invece si perde il 15% e negli Stati Uniti si punta tutto sull’e-commerce, anche per la vendita di autoveicoli.

Le case automobilistiche europee come Volkswagen e Renault sono quelle che subiscono maggiormente il colpo del Covid, FCA ha perso circa il 45% delle vendite. L’unica eccezione è Tesla, che in poco più di un mese ha recuperato buona parte delle perdite subite dall’inizio della crisi, ad indicare che i settori d’élite dell’automotive e il mondo dei motori elettrici sono gli elementi sui quali si giocherà la competizione nel prossimo futuro.

Ciò non è da sottovalutare, il mondo verso cui andiamo incontro sarà senza dubbio caratterizzato da disuguaglianze sempre maggiori; ne segue che fai più affari se vendi una super-car che una Panda. Per il semplice fatto che la gente non ha più neppure i soldi per comprarsela, la Panda!

Venendo a noi, l’Italia è saldamente ancorata all’Europa. Nel 2019 i paesi UE hanno assorbito i due terzi della produzione italiana del comparto automotive, inoltre è il paese che contribuisce maggiormente alla filiera tedesca ed è lo Stato che ha maggiormente subito gli effetti del coronavirus nel comparto.

Per sintetizzare, la nuova Stellantis nasce in un momento:

  • Di forti trasformazioni dell’industria automotive. La quale si sta adeguando a un nuovo tipo di motorizzazione, quella elettrica;

  • Di crisi generalizzata del settore. Cominciata già nel 2018, ma che con il Covid subisce una violenta accelerazione che interessa i vari blocchi economici in maniera molto differenziata tra loro. Dalla vertiginosa crescita di Tesla negli USA, ai massicci investimenti di stato in Cina, fino alle prospettive strategiche dell’UE che – per poter competere con gli altri – intende costituirsi come leader nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie nel settore;

  • In cui le necessità di competizione dell’industria europea si fanno sempre più impellenti e spingono verso una centralizzazione dei produttori a livello continentale. Ricordiamo infatti che la fusione FCA-PSA è stata benedetta dall’autorità antitrust dell’UE, il 21 dicembre 2020, in seguito agli impegni assunti da Stellantis per ridurre la propria posizione dominante sui mercati. Concretamente questo significa che il nuovo gruppo dovrà avviare una joint venture in Francia, con Toyota, per produrre più furgoni ad uso commerciale. Quest’ultimo è un ulteriore elemento di competizione nel mondo dell’automotive, infatti, come già anticipato, non è più il momento di affidarsi alla grande produzione di massa di autoveicoli per famiglie, in quanto i margini di acquisto di ampie fette della popolazione vanno restringendosi. Restano, appunto i settori di èlite come il mercato di Tesla, e quelli commerciali, che diventano un asset strategico dal momento che – grazie anche ad Amazon e all’e-commerce – si amplia la rete di distribuzione delle merci nelle metropoli. Per intenderci, i furgoni che Stellantis produrrà insieme a Toyota sono quelli che si vedono in giro con la scritta “Amazon Prime”, i Ducato Daily.

Il che vuol dire che dal punto di vista del mercato questa fusione era “necessaria”, pena l’eliminazione di FCA dal mondo dell’automotive.

In ciò vediamo esplicitarsi materialmente la costruzione dell’imperialismo dell’Unione Europea, chi pensa ancora alla UE come ad un’istituzione capace di risolvere i problemi dei cittadini trascura il fatto che invece è un progetto che spinge verso la concentrazione monopolistica per la competizione con gli altri blocchi economici, la quale si colloca in continuità con la polarizzazione continentale nella quale il settore produttivo italiano ricopre un ruolo subalterno.

Torino: la Spoon river dell’industria. Qual è l’alternativa a questo modello di città?

Di fronte alla fusione che ha prodotto Stellantis in molti hanno fatto notare che avrà ricadute occupazionali negative soprattutto nel nostro paese. Dal momento che sostanzialmente si tratta di un’acquisizione da parte di PSA, è quasi certo che di fronte alla riorganizzazione che investirà gli stabilimenti prevarrà la scelta di mantenere i livelli occupazionali invariati in Francia, ma non qui da noi, anche perché lo Stato francese è il terzo azionista del gruppo5.

È per questo che i politici nostrani parlano di “fusione paritetica” distorcendo la realtà dei fatti, l’obiettivo è quello di nascondere le pesanti responsabilità che hanno riguardo alle ricadute in termini occupazionali.

A partire da Di Maio che ha sempre sostenuto con forza l’idea che lo Stato italiano non dovesse entrare nella trattativa, fino al ministro Gualtieri che ha permesso l’ennesimo regalo di Stato, garantendo un prestito da 6,3 miliardi dietro la promessa di FCA di investire negli stabilimenti di Termoli e di Melfi, proprio mentre la famiglia Agnelli intascava un dividendo da 5,5 miliardi.

Nel momento in cui migliaia di persone non riescono a pagare l’affitto, le bollette e tutto il resto, proprio mentre in troppi perdono il lavoro, lo Stato italiano ha fatto un ulteriore regalo agli Agnelli-Elkann che non perdono il vizio di attaccarsi al capezzale dello Stato.

I politici, a questo punto, non possono fare altro che mistificare la realtà, altrimenti le conseguenze della rabbia della gente potrebbe travolgerli in un istante.

La sindaca Appendino, dal canto suo, ha colto l’occasione per continuare con il lavoro iniziato cinque anni fa: vendere le “eccellenze” della città al miglior offerente. Ha accuratamente evitato di parlare di Mirafiori e delle fabbriche torinesi, sempre più simili a vecchi cimiteri abbandonati, ma ha dichiarato che non vede l’ora di incontrare Tavares – l’amministratore delegato di Stellantis – per presentargli le eccellenze torinesi legate al mondo della ricerca.

La tendenza alla de-industrializzazione della città è una linea politica partita dalle giunte di Castellani e che è stata appoggiata da tutte quelle che ne sono seguite, anche da quella attuale, tuttavia nell’analisi di questa dinamica non si può perdere il punto di vista di classe. Siamo convinti che nella fase in cui Torino rappresentava bene quel modello di città-fabbrica tipico delle metropoli della seconda metà del ‘900, le classi popolari vivevano in condizioni certamente migliori di quelle odierne.

Ai tempi gli operai potevano permettersi di immaginarsi un futuro in un modesto appartamento in città, i lavoratori precari di oggi nemmeno possono progettare cosa fare nel week-end.

Siamo anche convinti che il modello implementato da Castellani, Chiamparino, Fassino e Appendino non offre alcuna prospettiva per le classi popolari, ma anzi rappresenta un forte arretramento. Non si può vivere di solo turismo, non è sostenibile un modello basato sulle eccellenze e i grandi hub della ricerca, e i grandi eventi creano più precarietà che ricchezza.

La de-industrializzazione ha, infatti, portato con sé disoccupazione di massa, gentrificazione e speculazione su interi quartieri, aumento del costo della vita, emigrazione, decrescita demografica, invecchiamento della popolazione e tutto ciò che conosciamo, ma sarebbe un errore pensare che basti una fabbrica per risolvere il problema.

Le condizioni di vita della classi popolari a Torino prima degli anni ’90 non erano un regalo degli Agnelli, erano bensì il frutto delle lotte operaie in una fase in cui i rapporti di forza tra lavoratori e padroni erano radicalmente diversi da quelli attuali.

Qual è quindi l’alternativa possibile? Un progressista attento alla fase non può solo guardare indietro, finirebbe senza dubbio a decantare le glorie del passato che, senza la lente dell’analisi di classe, vanno inevitabilmente a rivalutare il ruolo che certe figure – come gli Agnelli – hanno avuto in città.

Per quanto possa sembrare banale il problema oggi non è tornare indietro, ma piuttosto andare avanti, considerando le caratteristiche concrete della fase attuale. Da questo punto di vista, non esiste altra possibilità che rivendicare e progettare una città pubblica.

Una città che si oppone alle logiche di privatizzazione che pervadono ogni settore, dagli enti locali, alle università fino agli ospedali, è l’unica alternativa credibile che come comunisti possiamo portare avanti.

Queste rivendicazioni sono praticabili nel concreto e con le forze che abbiamo oggi, ma con l’obiettivo di crescere per consolidarsi come una forza che si oppone davvero a questo modello di sviluppo. Un’altra città, infatti, non è possibile senza rompere con la logica del mercato; non è possibile se non si prevede la nazionalizzazione dei settori produttivi strategici orientati agli interessi collettivi.

Ammettiamo però che non è un’alternativa comoda, è un’alternativa di lotta, è un’alternativa che richiede di schierarsi contro e che prevede lo scontro duro e netto con gli interessi che governano questa città, a partire dai padroni della neonata Stellantis.

 

2 https://assets.ey.com/content/dam/ey-sites/ey-com/it_it/generic/generic-content/ey-settore-automotive-e-covid-19.pdf

3 https://www.torinotoday.it/economia/pininfarina-engineering-licenziamenti-confermati.html

4 Nel 2018 l’Europa ha investito 57 miliardi di euro, 30 il Giappone, 15 gli Stati Uniti e 5 la Cina.

5 La Exor degli Agnelli-Elkann è la prima azionista con il 14,4%, la famiglia Peugeot il secondo con il 7,2% mentre lo Stato francese possiede il 6,2% delle azioni di Stellantis.

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