I conti si fanno sempre alla fine. E l’Occidente neoliberista, a fine 2020, deve registrare un dato che fa male: la Cina è l’unico Paese al mondo (tra quelli più grandi, ma anche Taiwan e Vietnam sono in zona positiva) a far crescere il Pil nonostante la pandemia.
Nell’ultimo trimestre del 2020, confermando la ripresa dopo i lockdown del primo trimestre (in cui il Pil era sceso a -6,8%), la Cina ha registrato una crescita del 2,3% nel 2020 e del 6,5% nell’ultimo trimestre dello scorso anno, secondo i dati diffusi dall’Ufficio Nazionale di Statistica di Pechino. Sono state persino battute, sia pur di poco, le attese degli analisti. La crescita era prevista infatti al 2,1% su tutto il 2020 e del 6,1% per gli ultimi tre mesi.
Conta poco, ma è comunque un segno di successo, il fatto che l’economia di Pechino abbia superato per la prima volta – in un anno difficilissimo – la soglia dei centomila miliardi di yuan (101.598,6 miliardi (15.661, pari a 12 miliardi di dollari).
Un risultato “molto importante e simbolico”, ha commentato Ning Jizhe, direttore del’Ufficio Nazionale di Statistica, “per costruire una società benestante e un moderno Paese socialista a tutto tondo”.
“L’economia nazionale si è ripresa stabilmente, il tasso di impiego e gli standard di vita sono migliorati fortemente e i principali obiettivi e compiti di sviluppo economico e sociale sono stati raggiunti meglio delle aspettative”, si legge nella nota di accompagnamento ai dati.
Il dato negativo riguarda i consumi, scesi per la prima volta dal 1968, un calo del 3,9%. Ma è anche abbastanza normale, visti i due mesi di lockdown completo della provincia di Hubei (quella che comprende Wuhan, oltre 60 milioni di abitanti e centro della produzione automobilistica cinese) e i numerosi altri blocchi temporanei per estirpare i focolai di covid-19.
Hanno però nuovamente guadagnato le esportazioni, “grazie” ai continui lockdown degli altri paesi industrializzati, i quali – per non interrompere mai le attività produttive anche in piena pandemia – hanno poi dovuto farlo lo stesso, più spesso, più a lungo.
L’export a dicembre è addirittura volato (+18,1%) e la produzione industriale che ha segnato un +7,3% rispetto allo stesso mese del 2019, al di sopra delle attese e al massimo da marzo 2019. Una crescita peraltro “non pianificata”, visto che da tempo il governo di Pechino sta cercando di sviluppare il mercato interno e ridurre l’importanza delle esportazioni.
Anche gli investimenti fissi hanno continuato a correre, con una crescita del 2,9% nel 2020, al di sotto del previsto (+3,2%), ma in accelerazione rispetto al +2,5% dei primi undici mesi del 2020.
Con queste premesse, l’anno appena iniziato si annuncia trionfale. Il Fmi ha previsto una crescita al 7,9%, appena sotto rispetto all’8,2% stimato a ottobre scorso. In questo pesano soprattutto i rischi legati agli ultimi colpi di coda di Trump (che ha avviato il decoupling tecnologico con gli Stati Uniti, vientando la vendita di una serie di tecnologie a Huawei e altre società cinesi).
Ma gli stessi vertici di Pechino si tengono su una linea prudenziale. Le basi della ripresa “non sono ancora solide“, avevano detto solo un mese fa, al termine della Conferenza Centrale del Lavoro Economico; e la situazione economica mondiale rimarrà “complessa e grave” anche nel nuovo anno.
Il governo promette però il “sostegno necessario” alla ripresa nel 2021 – primo anno del 14esimo piano quinquennale di sviluppo, ritenuto fondamentale per evitare di cadere nella “trappola del Paese a reddito medio” – e durante il quale la Cina punta a rafforzarsi sui piani scientifico e tecnologico come motori della crescita.
Solare la differenza con quel che avviene sulle due sponde dell’Atlantico, dove l’incapacità di tenere otto controllo la pandemia sta affossando anche le attese di ripresa per il nuovo anno, mentre ancora non sono stati pubblicati i dati definitivi per il 2020.
Una differenza che spiega probabilmente l’astio iettatorio con cui alcune testate riferiscono dei nuovi focolai di Covid in Cina. Numeri piccolissimi, rispetto a quelli che quotidianamente vengono sfornati nel resto del mondo “occidentale”, e a cui Pechino reagisce nel modo che è risultato fin qui vincente: lockdown totali e tamponi per tutta la popolazione (milioni di persone, in tutti i territori bloccati), in modo da arrestare la circolazione del virus. E anche lì sta partendo la campagna di vaccinazione…
Le attese economiche per la Cina si spostano ora sul mese di marzo, quando verrà approvato il nuovo piano economico quinquennale, 2021-2025, che contiene anche le prospettive fino al 2035. Per quella data Xi Jinping ha indicato l’obbiettivo del raddoppio del Pil pro capite, il che richiede un tasso medio di crescita annuale intorno al 4,7%. Meno di quanto fatto in passato, ma del resto è normale “correre molto” partendo da condizioni arretrate, e rallentare il ritmo quando le dimensioni sono molto più grandi.
In conclusione, viene da ricordare i tempi in cui i media cantavano le lodi del capitalismo – rispetto agli ultimi anni dell’Unione Sovietica – portando proprio i dati economici a dimostrazione della “superiorità” del modello neoliberista occidentale.
Oggi, giustamente, tacciono o fanno gli scongiuri…
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antonio
Oh! finalmente si rivede il Sol, dell’Avvenire:un sistema che liberando il lavoro da sfruttamento intensivo e tecnologico,a ciascuno secondo i suoi bisogni etc..promuovendo la libera espressione di uomini e donne,.e soprattutto AUMENTANDO IL PIL..ci indica una strada luminosa. Facciamo il biglietto..o aspettiamo una mano caritatevole (politica e pratica..)ai nostri poveri sforzi minoritari di qui..