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Le petromonarchie difendono il principe saudita accusato dell’omicidio Kashoggi

Le petromonarchie del Golfo Persico si sono schierate al fianco del principe Bin Salman – accusato di aver commissionato nel 2018 l’omicidio del giornalista Kashoggi – ed  hanno definito “false e inaccettabili” le conclusioni del rapporto delle agenzie di intelligence statunitensi che accusano il principe saudita.

Il rapporto “non è altro che un parere senza prove conclusive“, ha dichiarato Nayef Falah al Hajraf, segretario generale del Consiglio di cooperazione del Golfo, l’ente regionale che riunisce le sei petromonarchie dell’area.

Prima della pubblicazione del rapporto, Biden aveva telefonato al principe Bin Salman per sondare il terreno e non inasprire le relazioni con l’attuale uomo forte del regno Saudita. Dopo la pubblicazione del documento, Washington ha annunciato sanzioni e restrizioni ai visti per 76 funzionari sauditi, ma tra questi non c’è il principe ereditario.

Secondo la ben informata agenzia Nova ci sono un paio di eventi che mostrano la cifra di un vero e proprio cambio di passo delle alleanze e dei rapporti regionali di fronte alla politica manifestata da Biden.

La prima è una conversazione telefonica tra due “vicini-coltelli” come l’emiro del Qatar, Tamin bin Hamad al Thani, e il principe ereditario saudita Bin Salman, finito sotto accusa per la brutale esecuzione di Kashoggi.

Come noto, le relazioni tra Qatar (sostenitore del network dei Fratelli Musulmani) e Arabia Saudita (ostile alla Fratellanza) sono state tesissime e ostili per anni, fino a giungere alla messa sotto embargo del Qatar da parte delle altre petromonarchie del Golfo. La telefonata è stata praticamente il primo colloquio diretto tra le due monarchie dall’embargo contro Doha da parte di Arabia Saudita, Bahrein, Emirati ed Egitto avviato nel giugno 2017 e terminato lo scorso 5 gennaio.

Il secondo evento significativo è l’avvio di trattative tra Israele, Arabia Saudita, Emirati e Bahrein per costruire un patto militare contro l’Iran, una sorta di “Nato” del Medio Oriente.

Occorre ricordare che il Qatar, insieme alla Turchia, erano stati tra i più decisi accusatori sul ruolo del principe ereditario saudita nell’omicidio del giornalista Kashoggi legato al network dei Fratelli Musulmani.

L’amministrazione Trump aveva operato per rimuovere l’embargo delle petromonarchie guidato da Riad e Abu Dhabi fino a raggiungere un accordo con Doha per porre fine all’embargo diplomatico ed economico che per oltre tre anni ha diviso i paesi del Golfo.

Il leader del Qatar, nella telefonata con Bin Salman ha ribadito l’importanza del rispetto della sovranità dell’Arabia Saudita e della sua stabilità, considerata “parte integrante” della sicurezza sia del Qatar che del Consiglio di cooperazione del Golfo.

Infine, sulla geometria delle alleanze regionali pesa anche la volontà fin qui dichiarata da Washington di rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano e ad avviare una sorta di dialogo con Teheran. Una scelta che sta fortemente preoccupando sia gli alleati  storici che i nuovi un tempo rivali.

Infatti anche Israele, che formalmente non ancora ha rapporti ufficiali con l’Arabia Saudita, teme l’indebolimento della monarchia saudita e le sue conseguenze per la propria stabilità.

Secondo la BBC, il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman non era la scelta preferita da Washington per diventare il prossimo re. Per quel ruolo gli Usa vedevano meglio il principe Mohammed bin Nayef, anche lui in fila per il trono saudita fino a quando Bin Salman non lo ha rimosso nel 2017. Bin Nayef, come è noto, è ora agli arresti, accusato di corruzione e complotto contro il principe ereditario, cosa che la sua famiglia nega.

Secondo Aaron David Miller e Richard Sokolsky, analisti per conto della auterevole rivista Politico, Biden non è interessato a modificare radicalmente le relazioni con Arabia Saudita e Israele. Ma “sta cercando di riequilibrare le misure con le leadership israeliana e saudita, ripristinare il rispetto israeliano e saudita per gli interessi statunitensi assenti durante gli anni di Trump e segnalare a Netanyahu e Bin Salman – che ora si stanno chiedendo dove si trovano tra le priorità di Biden – che non sono più al centro del mondo americano e dovrebbero riflettere molto attentamente prima di intraprendere azioni che possano minare gli interessi degli Stati Uniti”.

Non siamo ancora arrivati a un Medio Oriente postamericano” – scrive Pierre Haski su France Inter/Internazionale –  “ma trasformando la vicenda Khashoggi in una vicenda in cui al centro c’è il principe, Biden ha prodotto un’onda d’urto dalle conseguenze incalcolabili. È un piano audace e rischioso”.

Israele, con l’Accordo di Abramo, fortemente voluto da Trump e Netanyahu, è riuscita a normalizzare le relazioni con Emirati, Bahrein e altri Paesi arabi, tra cui Marocco e Sudan, ed avrebbe avviato trattative per stabilire un’alleanza per la sicurezza regionale a cui parteciperebbe anche l’Arabia Saudita.

L’indiscrezione è stata pubblicata dall’emittente israeliana i24 news lo scorso 25 febbraio, cioè il giorno prima dalla diffusione del rapporto dell’intelligence Usa contro Mohammed bin Salman, e in occasione della importante fiera militare International Defence Exhibition (Idex) di Abu Dhabi, che ha visto per la prima volta la partecipazione dello Stato di Israele.

Ma che la situazione nell’area si sia sempre a rischio escalation lo dimostra quanto avvenuto alla fine della scorsa settimana, quando la nave cargo Helios Ray, di proprietà della società di Tel Aviv Ray Shipping, che navigava nel Golfo di Oman ha subito un’esplosione tra giovedì e venerdì mattina.

L’esplosione ha causato due falle del diametro di circa 1,5 metri sopra la linea di galleggiamento su entrambi i lati dello scafo. Non vi sono feriti, ma la nave è dovuta approdare a Dubai poiché non era in condizioni di proseguire la navigazione.

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