Dimitris Koufodinas, prigioniero politico greco di 63 anni e dirigente del gruppo rivoluzionario “17 Novembre” (attivo da metà anni Settanta e smantellato nel 2002), è in sciopero della fame da più di cinquanta giorni, e da più di una settimana, in sciopero della sete.
Le sue condizioni di salute sono critiche.
Le sue ultime parole pronunciate al medico che lo sta curando sono state: «non voglio morire, ma vista la situazione, non mi lasciano altra scelta»
Il Primo Ministro Mitsotakis aveva crudelmente rifiutato di ristabilire i diritti di questo prigioniero.
Si pone un quesito: la Grecia sarà quindi il primo Paese europeo a lasciare morire un prigioniero politico in sciopero della fame, dopo la morte di Bobby Sands e gli altri prigionieri dell’Ira nel 1981?
Domenica la direzione dell’ospedale di Lamia in cui è ricoverato Koufodinas in terapia intensiva da più di 10 giorni ha affermato che il suo stato di salute «si è notevolmente deteriorato».
Quello attuale è un vero braccio di ferro tra governo greco, questo rivoluzionario e l’ampio movimento che ne sostiene le rivendicazioni.
Koufodinas è stato condannato all’ergastolo nel 2003 ed è in carcere da più di 18 anni, la maggior parte dei quali scontati in una cella nei sotterranei della prigione ateniese di Korylladós.
Nel 2017, conformemente ai diritti di cui godono tutti i detenuti, è stato trasferito in una prigione agricola ed ha ottenuto dei permessi di uscita per buona condotta.
Con il cambio d’esecutivo, il governo di “Nuova Democrazia” ha modificato la legge sulla detenzione e ora vieta ai carcerati detenuti per “crimini violenti” di poter scontare la propria pena in prigioni agricole.
Si tratta della legge 4760/2020, votata dal Parlamento a maggioranza conservatrice alla fine dello scorso anno.
Una specie di legge ad hoc contro questo prigioniero, tra i pochissimi ad esserne colpito.
L’anno scorso Koufodinas viene trasferito nella prigione di “massima sicurezza” di Domoks, e gli viene interdetto qualsiasi permesso d’uscita.
Gli viene negato categoricamente il trasferimento nella prigione di Korylladós, destinazione per cui aveva fatto richiesta in modo di essere più vicino alla sua famiglia.
Decide di iniziare lo sciopero della fame l’8 gennaio.
Il suo legale, Ianna Kourkovic,, non usa mezzi termini e parla apertamente di «tortura» nei confronti del suo assistito, e di «vendetta» da parte del Primo Ministro Kyriákos Mitsotákis.
Una delle “vittime” delle azioni del gruppo “17 novembre”, nel 1990, Pávlos Bakoyánnis, era infatti cognato dell’attuale Premier, padre dell’attuale sindaco di Atene Kóstas Bakoyánnis, e allora marito della deputata Dóra Bakoyánnis.
Tutti e tre sono quadri dirigenti di “Nuova Democrazia”, la formazione conservatrice oggi al potere, tradizionale espressione delle classi dominanti dopo la fine della dittatura a metà degli Anni Settanta, in totale continuità con il regime.
Stiamo parlando di un prigioniero di più di sessanta anni, che si era “costituito” nel 2002, facente capo ad una organizzazione che ha finito di esistere quasi 20 anni fa!
Più voci si sono alzate per chiedere «il rispetto dello Stato di Diritto», tra cui mille avvocati firmatari di un appello in favore del detenuto. Anche l’Unione dei giudici e dei procuratori ha chiesto maggior clemenza rispetto alle richieste di Koufodinas.
Questo prigioniero incontra un forte sostegno ed una ampia copertura da parte della “sinistra”. Ci sono state numerose mobilitazioni – repentinamente disperse dalle forze dell’ordine e non autorizzate ufficialmente “per motivi legati alla crisi sanitaria” – nonché nutrite iniziative anche di azione diretta in suo sostegno.
Facebook e Instagram hanno volutamente soppresso dei messaggi in solidarietà con lo sciopero della fame, segno di una volontà censoria che si è cronicizzata.
L’esecutivo sembra voler utilizzare la crisi sanitaria come occasione per una maggiore torsione autoritaria, come è avvenuto con la creazione di una polizia speciale negli atenei, o la limitazioni delle manifestazioni.
Le mobilitazioni di questi giorni segnano una “frattura” profonda tra la prassi di un esecutivo – che l’Unione Europea si bada bene di non redarguire – ed un “Paese reale” che vede la negazione dei più elementari diritti, come negli anni più bui della dittatura dei colonnelli.
Lo striscione di apertura del corteo ateniese di lunedì sera – pubblicata in apertura – recitava: “Sono nato il 17 novembre”.
Quel giorno del 1973, durante la feroce dittatura dei colonnelli che governavano il Paese grazie ad un colpo militare dal 1967, l’esercito greco intervenne nel Politecnico della capitale, in sciopero dal 14 dello stesso mese.
Fu una strage, in cui perirono più di 20 persone, rimasta indelebile nella memoria del popolo greco, e l’inizio del piano inclinato per i colonnelli.
Per le classi dirigenti greche e le oligarchie europee, la democrazia è diventata un lusso che può essere sospeso a proprio piacimento, e la giustizia ormai è una vendetta di classe per chi ha osato metterle in discussione.
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Andrea
Per lo meno in grecia ancora riescono a mobilitarsi su questo fronte……..come su altro. Forza compagni facciamo come in grecia o saremo sopraffatti