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L’accordo Berlino-Washington sul gasdotto “North stream-2”

Sembrava che dovesse entrare in funzione nel 2019; poi, tra sanzioni, diatribe quasi-ecologiste tra settori governativi di Paesi che si affacciano sul mar Baltico, risse molto-europeiste sulla “minaccia” del gas russo alla “indipendenza europea”, calci negli stinchi tra Washington-Berlino-Parigi e minacce yankee alle ditte europee appaltatrici dei lavori, si è arrivati a tre quarti di 2021 e il raddoppio del gasdotto “North stream” sembra essere davvero in dirittura d’arrivo.

Non solo perché manca proprio un nulla alla conclusione dei lavori, ma soprattutto perché Joe Biden e Angela Merkel avrebbero trovato un punto di accordo che dovrebbe accontentare molti. Non tutti, ovviamente; ma di questo più avanti.

Secondo quanto dichiarato dal Ministero degli esteri tedesco, l’intesa tra Washington e Berlino prevede che quest’ultima si impegni a finanziare con un “fondo verde” di un miliardo di dollari la transizione ucraina verso energie rinnovabili e garantire la sua “indipendenza energetica” dalla Russia con altri 200 milioni di euro, oltre a occuparsi della proroga dell’accordo sul transito del gas russo attraverso di essa per altri dieci anni dopo il 2024.

Vero è che, nonostante l’accordo, Merkel ha dichiarato che questo non elimina tutte le divergenze tra Berlino e Washington sulla questione, anche se, certo per compiacere sia la parte yankee che Kiev, nella misura in cui quest’ultima possa ritenersi non legata ai dettami USA (Joe&Hunter “Burisma” Biden docet), Berlino considera fondamentale che l’Ucraina rimanga un paese di transito del gas: una porta spalancata non tanto, o non solo, al gas russo, quanto soprattutto a ciò che interessa a Washington, cioè il gas di scisto yankee da scaricare in Europa dai porti polacchi e far arrivare agli “alleati” europei.

Il tutto, impegnando la Germania ad adottare misure appropriate, in caso Mosca tenti di usare il gasdotto “quale arma” o intraprenda “azioni aggressive” contro l’Ucraina. In questo caso, verranno introdotte sanzioni, volte a “ridurre le possibilità russe di export energetico verso l’Europa” e impedirle di “utilizzare il North stream-2 per raggiungere obiettivi politici”.

Nel comunicato tedesco relativo all’accordo, così come riportato dalla russa Interfax, è detto che «Sosteniamo la sicurezza energetica dell’Ucraina, dell’Europa centrale e orientale e, in particolare, sosteniamo i principi chiave sanciti dal Terzo pacchetto energetico della UE, relativi a diversificazione e sicurezza degli approvvigionamenti”, ma, soprattutto, aggiungiamo noi, alla liberalizzazione dei mercati UE di gas e elettricità.

La portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha detto che Washington, nonostante l’accordo, è comunque intenzionata a introdurre nuove sanzioni previste dagli USA in relazione al “North stream-2”: questo per «del gasdotto.

Tanto più che, secondo quanto riportato da Interfax, gran parte dei Congressisti USA si è detta «niente affatto entusiasta» dell’accordo, perché questo non elimina «i pericoli delle mire russe», legati all’utilizzo da parte di Mosca del «gasdotto quale arma geopolitica».

Il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, ha detto che nella dichiarazione tedesco-americana ci sono punti su cui Mosca «non può dirsi d’accordo e altri che possiamo accogliere».

Dopo l’annuncio dell’accordo, Angela Merkel ha telefonato a Putin; esaurite le rituali espressioni di reciproca partecipazione, per le inondazioni in Germania e gli incendi boschivi in Jakutija, i due si sono soffermati su due questioni in particolare: il “North stream-2”, appunto, e la situazione in Donbass e in Ucraina in generale.

Per quanto riguarda il transito di gas russo attraverso l’Ucraina, il presidente di “Gazprom”, Aleksej Miller, ha già dichiarato di esser disponibile alla proroga dopo il 2024, sulla base della «opportunità economica e delle condizioni tecniche del sistema ucraino di trasporto del gas», sottolineando, da capitalista a capitalisti, che il tutto «deve essere deciso alle condizioni e ai prezzi di mercato».

E, tanto per dire la sua sul “fondo verde” per l’Ucraina, ha dichiarato che obiettivo del nuovo gasdotto è quello di «garantire sicurezza, stabilità e diversificazione delle forniture di gas al mercato UE», oltre a «ridurre il costo finale del gas, grazie a un percorso di quasi duemila km in meno verso la Germania rispetto all’attraversamento dell’Ucraina»; senza contare che «le emissioni di CO2 sono di 5,6 volte inferiori, grazie a numero minore di stazioni di compressione rispetto al percorso ucraino».

A chi invece proprio non va giù la faccenda sono “i partner” orientali. Varsavia ritiene che con la realizzazione del gasdotto, «in pratica abbiamo a che fare con una vittoria della Russia. Grazie a questa infrastruttura, la Russia otterrà vantaggi, influenzando il mercato europeo del gas e principalmente guadagnandoci». Non solo: con la sua posizione, «la Germania viola la solidarietà europea».

Per non tradire la vecchia Confederazione polacco-lituana, anche Vilnius (per inciso, l’ex Presidente, ex Segretaria della Scuola superiore di partito lituana del PCUS ed ex agente “Magnolia” del KGB, Dalja Gribauskajte, è tra i papabili per sostituire Jens Stoltenberg al vertice NATO) ha qualificato come «errore, un errore che costerà molto caro» l’accordo di Washington.

Anche se, ha dichiarato il Ministro degli esteri Gabrielius Landsbergis, esiste «la possibilità di correggerlo… se si proponesse all’Ucraina un piano d’azione per l’adesione alla NATO, oppure l’apertura del gasdotto potesse venir usata come leva per chiedere il ritiro delle truppe russe dall’Ucraina».

Il “North stream-2”, ha detto Landsbergis, rappresenta «una immensa vittoria» per Putin e «per tale vittoria egli deve pagare un prezzo veramente alto».

E il presidente ucraino Vladimir Zelenskij, già offeso per non esser stato invitato alla conferenza sul “futuro dell’Europa” aperta lo scorso maggio a Strasburgo, per “esser stata lasciata a se stessa”, torna a chiedere un “sostegno più attivo” da parte di USA e UE.

Dopo la recentissima visita di Zelenskij in Germania, il rappresentante della delegazione ucraina ha pubblicamente accusato la leadership tedesca di aver consegnato l’Ucraina al Cremlino.

Sullo sfondo di questo accordo, di importanza non trascurabile, perché in qualche modo ribadisce l’interesse tedesco a sottrarsi al monopolio USA sull’Europa (resta a vedere quale strada prenderanno i successori di Angela Merkel, con i Verdi, ad esempio, intenzionati a inasprire la contrapposizione con la Russia) una notizia è passata pressoché inosservata: per la prima volta in assoluto, la Russia ha presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) una denuncia inter-statale, in cui accusa l’Ucraina di aver violato la Convenzione del Consiglio d’Europa per i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

Il documento russo, scrive RIA Novosti, si riferisce agli avvenimenti successivi “al cambio violento di potere in Ucraina nel febbraio 2014 e riguarda non solo gli assassinii perpetrati in majdan Nezaležnosti, ma anche l’aggressione al Donbass, la strage di Odessa del 2 maggio 2014, l’abbattimento del Boeing malese “MH17.

Nello specifico, Mosca accusa l’Ucraina per la morte di civili, incarcerazioni illegali e torture, soppressione della libertà di parola e persecuzione di dissidenti, politici, giornalisti; discriminazione della popolazione di lingua russa; privazione degli abitanti del sudest ucraino del diritto elettorale; blocco idrico della Crimea, ecc.

La decisione di rivolgersi alla CEDU, è detto in una dichiarazione del Ministero degli esteri russo, scaturisce soprattutto «dalla totale ignoranza delle violazioni dei diritti dell’uomo in Ucraina da parte delle strutture internazionali».

Difficile credere all’ingenuità di Mosca, che la CEDU accolga il suo ricorso contro Kiev, anche alla luce delle migliaia di denunce presentate negli ultimi sette anni dagli abitanti del Donbass e rimaste senza risposta, dato che Kiev «gode di una completa impunità».

Più verosimilmente, come ha sottolineato lo speaker della Duma Vjačeslav Volodin, la risposta della CEDU alla denuncia della Russia costituirà un «momento della verità». Per la prima volta, ha detto Volodin, «il nostro Paese ha fatto appello alla Corte europea dei diritti dell’uomo per violazioni sistematiche di diritti e libertà in Ucraina… Data la rilevanza dei fatti esposti, a mio avviso la CEDU non ha altra scelta che riconoscerli e dare una valutazione giuridica all’operato di Kiev. Sappiamo che la CEDU è assai politicizzata… ma, o ammette le violazioni sopra elencate e dimostra la propria validità come istituzione, oppure la sua esistenza non ha ragione di essere».

Insomma, tra gasdotti e terrorismo di stato, è proprio vero che l’Ucraina è oggi “al centro del mondo”. Soltanto, non come lo intendono nazionalisti e neonazisti di Kiev, con primogeniture di ogni scibile umano e finanche delle origini divine; molto più semplicemente, ma anche molto più tragicamente, perché quella che fu forse la più sviluppata delle Repubbliche sovietiche, è ridotta a fare da merce di scambio di interessi lontani e i suoi abitanti sono costretti a scegliere tra mangiare o pagare le bollette del gas, alle tariffe imposte da FMI e Banca mondiale.

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