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Totalitarismi di sabbia nel Sahel

Pure noi qui, nel nostro piccolo, ci stiamo organizzando per avvicinarci a totalitarismi ben più importanti e affermati altrove. Come per altre realtà, più volte evidenziate, il nostro totalitarismo è di sabbia. Cosi come la politica, la giustizia, l’éducazione formale, l’economia e la vita stessa. E’ ancora lei, la sabbia, a caratterizzare i matrimoni, gli appuntamenti mancati, molte delle amicizie e la vita sociale in generale.

E’ stato dichiarato lo stato di urgenza in varie regioni del Sahel. Ciò implica, in queste zone, una drastica limitazione all’uso delle motociclette, essendo queste uno dei mezzi più utilizzati dai Gruppi Armati Terroristi per seminare morte e desolazione trai contadini locali.

I banditi si sono adattati e, per esempio in uno degli ultimi massacri che ha insanguinato la zona delle ‘tre frontiere’, sembra abbiano utilizzato persino i dromedari. Si è arrivati all’assurdo che, in definitiva, quasi solo i terroristi utilizzavano, impunemente, le motociclette e i condadini si arrangiavano con gli asini o con le carriole per trasportare i malati al dispensario più vicino.

Un camion pieno di legna da ardere, raccolta abusivamente dai contadini per uso della cucina della città, è stato bruciato ieri nei campi. I nuovi padroni della zona hanno proibito di farlo. In molti villaggi di questa e di altre aree, la gente vive nel terrore. Uccisioni e rapimenti sono totalitari

Il primo e fondamentale totalitarismo, dalle nostre parti, è comunque quello della miseria. Provocata, seminata e infine raccolta in tutti questi anni, soprattutto tramite la violenza armata.

Nella zona citata, a circa 150 kilometri dalla capitale Niamey, sono oltre 600 mila le persone le persone che hanno dovuto fuggire case, campi e bestiame rubato e poi venduto altrove. Cresce in tempo reale l’insicurezza alimentare che tocca milioni di persone nel Niger e molte più nel Sahel.

La miseria è a sua volta la figlia privilegiata del dio denaro che, con autorevolezza totalitaria, è il principale e ineguagliato colonizzatore dell’immaginario. Non da oggi infatti, il totalitarismo del denaro si è affermato come un monopolio senza concorrenti di rilievo.

Le guerre, le armi, le urgenze umanitarie, i Piani di Aggiustamento Strutturale, l’accaparramento delle risorse, i colpi di stato e le ideologie religiose non sono altro che l’espressione e la conseguenza dell’assunzione del dio denaro come la totalità della storia.

Troppo tardi ci si accorge che questo tipo di dio non è altro che sabbia rubata al vento della spietata indifferenza del sistema verniciato di morte. Da questi due totalitarismi, quello della miseria generata e da quello del denaro ne scaturisce per tragico destino uno peggiore.

Si tratta del totalitarismo della banalizzazione di tutto quanto è fragile e inutile, appeso alla sacralità delle parole e dei corpi affidati alla sabbia dei cimiteri senza nome del deserto o del mare.

La banalizzazione della sofferenza e della vita di chi non trova abbastanza voce per essere riconosciuto come umano. Il totalitarismo di vite mai vissute eppure uniche.

La banalizzazione totalitaria del reale, tradito e manipolato dalla quotidiana menzogna da chi non importano i fatti e i volti. Il totalitarismo dei confinamenti, le distanze sociali e la banalizzazione dell’utopia del poeta e dell’orizzonte incerto dei profeti.

Tra i citati, il totalitarismo della banalità è il più mortifero perché svuota dall’interno il soffio di eterno che risale al primo bacio tra l’umano e il divino in ogni creatura. Rimane infine una maschera tenuta assieme da apparenze barattate in cambio di un’impaurita sicurezza.

Un totalitarismo che banalizza quanto accade tra uomo e donna quando germoglia, per causalità, un nuovo destino di alleanza. Anche da noi, nel Sahel ci stiamo organizzando per proporre, a chi vorrà intenderlo, l’unico totalitarismo che sentiamo come nostro.

Un totalitarismo di sabbia che le lacrime di un bambino trasformeranno in un albero fiorito.

 

 Niamey, 17 ottobre 2021

 

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