Trascorse due settimane esatte dalla visita di Victoria-Fuck-the-UE-Nuland a Mosca, le truppe ucraine hanno usato per la prima volta un drone d’attacco turco “Bayraktar ТВ2” per colpire le postazioni delle milizie della DNR in Donbass.
Difficile dire quanto i due eventi siano legati; dopotutto, lo scorso 13 ottobre, la maggior parte delle agenzie russe aveva messo in risalto i lati positivi degli incontri della vice Segretario di Stato yankee col vice Ministro degli esteri Sergej Rjabkov e con i consiglieri presidenziali per i rapporti con l’Ucraina, Jurij Ušakov e Dmitrij Kozak.
In particolare, si era parlato, da un lato, della ripresa di rapporti più o meno “distesi” sul piano diplomatico, dopo la “guerra delle ambasciate” e, dall’altro, del consenso USA sullo status speciale per il Donbass, senza il quale «è impossibile raggiungere effettivi progressi nella regolazione» del conflitto.
Detto questo, è sotto gli occhi di tutti la ripresa di massicci e ripetuti bombardamenti ucraini sui centri abitati delle Repubbliche popolari di Lugansk e di Donetsk prossimi alla cosiddetta “area grigia”.
Anzi, proprio in questi giorni, Kiev ha dichiarato di aver occupato (le milizie della DNR hanno replicato che Kiev «ha solo tentato di occupare») il villaggio di Staromar’evka, mentre obici ucraini hanno colpito Tel’manovo e Novaja Mar’evka, a ridosso della “terra di nessuno” e non lontani da Granitnoe (un centinaio di km a sud di Donetsk e una sessantina a nordest di Mariupol), già sotto controllo ucraino e da dove Kiev il 26 ottobre ha colpito una postazione delle milizie della DNR con uno dei “Bayraktar ТВ2”, acquistati dalla Turchia nel 2019 per una somma di 69 milioni di dollari.
L’esperto militare russo Vladimir Karasev collega l’inasprimento della situazione con la recente visita a Kiev del capo del Pentagono Lloyd Austin, che avrebbe dato “luce verde” alle mosse ucraine, oltre mettere a disposizione dei nazigolpisti 60 milioni di $ di ulteriori aiuti militari USA.
Il Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov ha dichiarato che Mosca sta ora verificando, insieme a rappresentanti del Donbass, le informazioni diffuse da Kiev sull’impiego del drone, dato che, ha detto Lavrov, dalle «ultime dichiarazioni, di cui abbondano le autorità di Kiev e che sfornano in massa, è molto difficile raccapezzarsi tra verità e invenzioni».
Caratteristico, che l’accentuarsi dei cannoneggiamenti ucraini e il tentativo di occupare Staromar’evka si siano verificati alla viglia dell’ennesima riunione del Gruppo di contatto, con all’ordine del giorno la liberazione del rappresentante della LNR alla Commissione per il controllo sul cessate il fuoco, Andrej Kosjak, rapito la scorsa settimana da sabotatori ucraini.
Secondo il corrispondente di Komsomol’skaja pravda, Dmitrij Stešin, ci sono varie cause all’origine della nuova recrudescenza di attacchi ucraini. Da un lato, per mano di Kiev e senza impegnarsi in prima persona, Washington tenta le ultime carte per mettere in difficoltà Mosca, contro l’entrata a pieno regime del “North stream 2”. Da parte sua, anche Kiev, premendo sul Donbass, calcola forse di poter indurre Mosca a concessioni sul gas russo.
Dal punto di vista più strettamente militare, se i mezzi di lotta radio-elettronica e di difesa antiaerea delle milizie coprono perfettamente le capitali Lugansk e Donetsk, lungo i 400 km di linea del fronte i “Bayraktar ТВ2” riescono a volare e a bombardare relativamente indisturbati: il colpo del 26 ottobre serviva forse a dimostrare anche questo.
Tanto più che Kiev cerca di evitare un’offensiva massiccia via terra (le clamorose batoste di Ilovajsk e Debal’tsevo, sei o sette anni fa, pesano ancora) e mira piuttosto a colpire le infrastrutture civili – come ha fatto lo stesso 26 ottobre colpendo le adiacenze di un ospedale e di una scuola a Tel’manovo – per cercare di abbattere il morale della popolazione civile.
Nei giorni precedenti, era stato colpito anche un deposito di petrolio alla periferia della stessa Donetsk; deposito che era già stato oggetto di attacchi lo scorso 21 settembre, causando la perdita di 1.300 tonnellate di combustibile.
Sulla questione del Donbass, una tesi quantomeno “originale” è stata espressa di recente dall’ex ambasciatore ucraino in Croazia, Aleksandr Levčenko, secondo il quale Mosca sarebbe disposta a «scambiare il Donbass con la Crimea», nel senso che se Kiev «garantisse di non toccare il tema della Crimea, essi un secondo dopo abbandonerebbero il Donbass» al suo destino. E, però, dice Levčenko, «noi non possiamo dimenticare la Crimea» che, per la Russia «è 100 volte più importante del Donbass».
Peccato che l’ex diplomatico taccia su chi, molto più dell’Ucraina, al di là e al di qua dell’Atlantico, sia mille volte più interessato al controllo della penisola, per avere mano libera sull’intero bacino del mar Nero e le sue coste e che da sette anni foraggia l’aggressione ucraina al Donbass.
E sempre sul tema della Crimea, proprio ieri il Presidente dell’Ucraina golpista, Vladimir Zelenskij, ringalluzzito per la decisione della Corte d’Appello di Amsterdam (Mosca ricorrerà in Cassazione) di attribuire all’Ucraina la collezione dell’oro degli Sciiti, ha dichiarato che ora, dopo l’oro, sarà la volta della Crimea.
Immediata la risposta di Mosca, per bocca del portavoce presidenziale Dmitrij Peskov: «al momento attuale, la dichiarazione sul “ritorno” della Crimea non è altro che una dichiarazione di rivendicazioni territoriali nei confronti della Russia. Dichiarazioni simili possono avere conseguenze negative».
La popolazione delle Repubbliche popolari del Donbass le sta sperimentando sulla propria pelle ormai da troppi anni.
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