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La Turchia scatena offensiva militare contro il Pkk in Iraq e Siria

Il presidente turco Erdogan, mentre si ammanta del ruolo di negoziatore nella guerra tra Ucraina e Russia, intende annientare la presenza dell’organizzazione curda Pkk dai confini della Turchia ed ha scatenato una pesante offensiva militare denominata “Claw Lock”.

L’esercito turco sta estendendo l’operazione militare iniziata nel nord dell’Iraq anche al Nord della Siria, colpendo i centri controllati dalle Ypg, le milizie combattenti curde.

“Se il mondo continua a chiudere un occhio sull’aggressione di Erdogan, assisteremo a un aumento degli spargimenti di sangue, degli sfollamenti e dell’ instabilità in tutto il Kurdistan e in Medio Oriente.Dobbiamo rompere il silenzio sull’invasione turca del Kurdistan meridionale e agire!” scrive in un comunicato il Congresso Nazionale del Kurdistan (KNK).

Negli ultimi giorni colpi di mortaio turchi sono caduti nella provincia di Kobane, mentre diverse incursioni di droni nell’area di Tal Tamer e Zarkan nella ‘Rojava’ sotto controllo delle Ypg, hanno ucciso tre combattenti delle Ypg. La scorsa settimana il Pkk aveva reagito agli attacchi turchi, iniziati nel Nord dell’Iraq il 18 aprile, facendo detonare un ordigno a controllo remoto nella città nord-occidentale di Bursa, colpendo un autobus di poliziotti turchi, uccidendo un ufficiale di polizia penitenziaria e ferendone altri.

Il governo turco ha cercato di sminuire l’attacco per preservare l’industria turistica nel Paese. Attentati nelle città turche non avvenivano dal gennaio 2017, che hanno da sempre principalmente colpito militari, poliziotti e funzionari statali, ma anche le infrastrutture e chi vi opera.

Il governo turco il 18 aprile ha lanciato un’operazione militare via aerea e via terra per colpire le basi del Pkk nel Nord Iraq, ma l’operazione è stata allargata al Nord della Siria. L’operazione mira a distruggere le basi, i rifugi e i depositi di munizioni del Pkk nelle province di Zap, Metina, Gara e Avasin-Basyan, tutte situate nella regione del Kurdistan Iracheno (KRG), controllato dal clan curdo Barzani da generazioni. Si tratta di regione autonoma praticamente indipendente da Baghdad in cui è forte però anche la presenza di militari e istruttori statunitensi, britannici e italiani.

Fonti curde riferiscono che venerdì ci sono state segnalazioni locali di “esplosioni” in una base strategica turca nel Kurdistan iracheno e la Turchia non ha fornito informazioni sull’incidente a causa di una politica di segretezza riguardante le operazioni all’estero dell’Agenzia nazionale turca di intelligence (MİT). La base turca situata in un villaggio vicino alla città di Shiladze (Sheladiz), è nota per essere gestita dal MIT

I rapporti tra governo del Krg (kurdistan iracheno) e il Pkk non sono affatto buoni. La cacciata del Pkk consentirebbe al governo di Barzani il controllo di regioni montuose ed arriva in seguito all’alleanza sempre più stretta tra la Turchia e il clan Barzani. Un legame economico che ora punta a trovare un accordo per un gasdotto che porti in Turchia il gas curdo, come testimoniato dalla recente visita di Erdogan, arrivata a sorpresa a pochi giorni dall’inizio della crisi in Ucraina.

Inutile dire che questo progetto trova il sostegno dell’Unione Europea, alla ricerca di alternative al gas russo. Il regime di Erdogan è deciso ad annientare definitivamente il Pkk ed ottenere un risultato importante su cui far leva in vista delle elezioni del 2023 Dal 2015 Erdogan ha messo fine ad ogni ipotesi di negoziato con i curdi ed ha deciso di attaccare il Pkk con una serie di operazioni durissime nei tre anni seguenti, per eliminare le sacche di resistenza curde all’interno della Turchia, Erdogan e il ministro della Difesa Hulusi Akar hanno ripetuto che puntano all’eliminazione totale del Pkk.

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3 Commenti


  • Vannini Andrea

    CENSURATO…


    • Redazione Roma

      Se invece di rovesciare slogan e contumelie proprorrà commenti decenti, non verrà censurato. Non siamo costretti a dover digerire tutto, ce lo ha sconsigliato il medico


  • Gianni Sartori

    QUATTRO ANARCHICI CONDANNATI IN BIELORUSSIA

    Gianni Sartori

    Vabbé, ci sarebbe ben altro di cui preoccuparsi.

    Per esempio del Kurdistan. Dopo la fase esaltante della lotta di liberazione – vincente, almeno per un po’ – in Rojava e dintorni, rischia di sprofondare di nuovo nelle tenebre dell’indifferenza e della rimozione (da parte dell’opinione pubblica, magari della stessa che solo qualche anno fa si commuoveva per le “bellissime guerriere curde”). Particolarmente in Bashur (Kurdistan “iracheno”) dove l’esercito e l’aviazione turchi (membri della Nato) proseguono nella guerra di sterminio nei confronti dei curdi (utilizzando anche gas letali). Oppure dei dimenticati Paesi Baschi. Con gli ultimi prigionieri politici indipendentisti che rischiano di crepare in carcere. Se non per malattia, semplicemente per ragioni anagrafiche. Per non parlare di Assange, sul punto di essere consegnato, mani e piedi legati, all’odierna Inquisizione.

    E così per tante altre infamie contro i diritti dei popoli oppressi, delle classi subalterne, dei diseredati, delle minoranze…

    Tuttavia vorrei spendere due parole anche per i quattro compagni anarchici condannati (complessivamente per una ventina di anni) in Bielorussia.

    Fermo restando – ribadisco – che in linea di massima condivido l’opinione attribuita a Clemenceau: “chi non è anarchico a venti anni non ha cuore, chi è ancora anarchico a quaranta ( e oltre, ovviamente nda) non ha testa”.

    Nonostante lo specifico capo di accusa sia rimasto sostanzialmente sconosciuto, così come le prove a carico degli imputati (infondate, per quanto è possibile intuire), dopo un processo tenuto a porte chiuse, il 22 aprile è stato emesso il verdetto per quello che viene chiamato “l’affaire Pramen” (in riferimento all’omonimo sito @Pramenofanarchy).

    Un tribunale di Minsk ha condannato i militanti libertari Aliaksandr Bialou, Jauhen Rubashka e Artsiom Salavei a cinque annni di prigione (a testa ovviamente). Un altro imputato – anche lui di nome Artsiom Salavei – a quattro anni e mezzo.

    I primi due erano già stati arrestati il 29 luglio 2021 per aver preso parte alle manifestazioni e marce di protesta dell’agosto 2020 (successive alla rielezione di Lukachenko) in cui si sarebbe registrata la presenza di gruppi auto-organizzati (presunti black bloc).

    Per la cronaca, manifestazioni e marce erano state duramente represse.

    Rimessi in libertà, avevano denunciato di essere stati picchiati e sottoposti a maltrattamenti (in particolare a quella che altrove si chiama “bolsa”, la tortura della testa infilata in un sacchetto di plastica, con principi di soffocamento). E’ possibile quindi che la condanna abbia rappresentato una sorta di ritorsione per quelle denunce.

    Per quanto riguarda @Pramenofanarchy, si tratterebbe di un collettivo di media che informano – soprattutto attraverso il canale Telegram di Pramen – in merito ai movimenti libertari, anarchici e genericamente dissidenti. Quanto alla partecipazione dei quattro imputati, probabilmente consisteva nell’abbonamento a una catena di informazione su Telegram. Significativo che Pramen sia stato classificato come “formazione estremista” solo nel novembre 2021 (ossia dopo l’arresto dei quattro).

    Gianni Sartori

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