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L’Ucraina diventa un boccone sempre più indigesto, per l’Occidente

L’Ucraina esclude un accordo di cessate il fuoco con la Russia e non accetterà alcuna intesa che riconosca la perdita del controllo di parte del proprio territorio nazionale. Ad affermarlo è il consigliere presidenziale ucraino, Mykhaylo Podolyak, citato dall’agenzia di stampa “Ukrinform”. Podolyak ha riconosciuto come la posizione di Kiev sulla guerra stia diventando sempre più intransigente e ha sottolineato che qualsiasi concessione avrebbe conseguenze negative per l’Ucraina, poiché, dopo una pausa nelle ostilità, la Russia le infliggerebbe un colpo ancora più pesante. L’esponente di Kiev considera “strani” gli appelli dell’Occidente per una tregua immediata: “Le forze russe devono lasciare il Paese prima che il processo di pace possa riprendere”.

A sostenere la posizione oltranzista dell’Ucraina contro i negoziati, oltre a Usa e Gran Bretagna, è rimasta solo la Polonia. “La pace è il nostro obiettivo comune, ma non può essere una pace a ogni costo. Non possiamo accettare un dialogo che può essere sfruttato da Putin, un dialogo sopra le teste degli ucraini” ad affermarlo è il premier polacco Mateusz Morawiecki, in un’intervista a ’La Repubblica’, nella quale non nasconde i suoi dubbi sulla proposta italiana di colloqui per la pace in Ucraina. Ogni tentativo, afferma, ha portato finora all’”umiliazione”.

Da Mosca fanno sapere che “Da parte nostra, siamo pronti a continuare il dialogo. Ma vorrei sottolineare che la palla di ulteriori colloqui di pace è nel campo dell’Ucraina. Il congelamento dei colloqui è stata un’iniziativa totalmente ucraina”, ha dichiarato l’assistente presidenziale russo Vladimir Medinsky in un’intervista al canale televisivo bielorusso ONT.

Doccia fredda sull’adesione dell’Ucraina all’Unione Europea

Ma sul come stiano effettivamente le cose, è significativa la doccia fredda che la Francia ha gettato sulle aspettative del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, per un rapido ingresso nell’Ue. “Dobbiamo essere onesti. Se dici che l’Ucraina entrerà a far parte dell’Ue tra sei mesi, o un anno o due, stai mentendo”, ha detto il ministro con delega per l’Europa, Clement Beaune. “Probabilmente tra 15 o 20 anni… ci vuole tanto tempo”. Dal canto suo La Germania si oppone all’idea di emettere titoli di debito dell’Unione Europea per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina. A chiarirlo sul Financial Times è stato il ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner.

Ma qualche segno di incertezza sul come procedere in questa guerra, viene anche dagli Stati Uniti. Il quotidiano “Wall Street Journal” aveva anticipato ieri che l’amministrazione del presidente Joe Biden stava valutando il ricorso alle forze speciali per garantire una maggiore sicurezza della sede diplomatica nella capitale dell’Ucraina. Fonti anonime citate dal quotidiano precisano che l’eventuale invio di militari statunitensi a Kiev avrebbe la sola funzione di garantire la sicurezza dell’ambasciata; al momento, il piano non sarebbe ancora stato posto all’attenzione del presidente Biden.

Oggi il dipartimento della Difesa Usa ha fatto sapere di non aver “ancora assunto alcuna decisione” in merito alla possibilità di mobilitare le forze speciali presidiare l’ambasciata degli Stati Uniti a Kiev. Lo si legge in una nota del Pentagono in cui si aggiungere che in “stretto contatto con il dipartimento di Stato” si sta valutando in merito “ai potenziali requisiti di sicurezza ora che sono riprese le attività dell’ambasciata a Kiev”.

Lo snodo dei prigionieri dell’Azovastal. Una cappa di “riservatezza”

C’è ancora una significativa riservatezza sui miliziani ucraini catturati dopo la resa all’acciaieria Azovstal. Le informazioni sul numero e sui dati personali dei militari ucraini che hanno deposto le armi presso l’acciaieria rimarranno riservate e non saranno rese pubbliche dal Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr). A dichiararlo è stata la portavoce della Cicr, Mirella Hodeib, in un’intervista pubblicata questa mattina dall’agenzia di stampa “Ukrinform.

Uno dei problemi è che ci sono anche stranieri tra i combattenti che si sono arresi ad Azovstal, a Mariupol,  ha detto Denis Pushilin, della Repubblica del Donetsk. “Secondo le informazioni preliminari, sì, c’erano e sì, ci sono. Ma non voglio fare affermazioni infondate, poiché le informazioni saranno, ovviamente, rese pubbliche dopo il lavoro degli specialisti”, ha detto alla TV Soloviov Live, rispondendo ad una domanda,

Su questo, il negoziatore russo Leonid Slutsky, capo della commissione Esteri della Duma russa, ha spiegato che la Russia valuterà «la possibilità» di uno scambio di prigionieri con l’Ucraina tra Viktor Medvedchuk – leader di uno dei partiti ucraini messi fuorilegge, considerato filorusso e arrestato dai servizi segreti ucraini – con i combattenti del battaglione Azov. Il 21 maggio il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha ribadito alla stampa ucraina che uno scambio di prigionieri con i soldati della Azovstal sarebbe stata una condizione imprescindibile per la ripresa dei negoziati con Mosca. Ma il leader della Repubblica del Donetsk, Denis Pushilin, ha ribadito che per i combattenti ucraini che sono usciti dall’acciaieria Azovstal è «inevitabile» un processo davanti a un tribunale.

La situazione sul campo non avvantaggia le forze ucraine

Del resto anche la situazione “sul campo” restituisce un quadro ben diverso da quello offerto dai report dell’intelligence e dai mass media occidentali. La famosa controffensiva ucraina a Karkhiv si è già arenata e rischia di trasformarsi in una trappola, con le truppe di Kiev che rischiano di rimanere intrappolate e circondare in sacche. Per ammissione dello stesso comandante in capo delle forze armate ucraine, generale Valery Zaluzhny, a Severodonetsk dove si combatte furiosamente in periferia e almeno 2.000/2.500 militari ucraini si troverebbero quasi completamente circondati. Lo stesso rischio si va delineando a Lisichansk, dove dopo giorni di stallo, le truppe russe hanno ripreso a guadagnare terreno su tutto l’asse da Rubizhne a Popasna puntando a tagliare le linee di comunicazione tra Severodonetsk e la vicina Lysychansk.

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2 Commenti


  • Carmine

    Già perché perdere una parte del proprio territorio nazionale é una bazzecola. La posizione di Kiev é intransigente mentre quella di Mosca é morbida, Infatti l’esercito russo sta attaccando a tutto spiano per conquistare i territori che Putin ha in mente di conquistare. Si consiglia di leggere l’articolo di Putin del 12 luglio 2021 e di ascoltare il discorso che lo stesso Putin ha pronunciato il 21febbraio 2022. Tutto il resto é fuffa.


  • Eros Barone

    Ciò che colpisce negli interventi di Putin, qui giustamente richiamati, è l’assunzione della dimensione storica come contesto ineludibile del discorso politico. Questa dimensione è del tutto assente nel discorso politico occidentale: discorso che invece, per bocca di Draghi e degli altri esponenti dei governi della Unione Europea e della Nato, risponde all’iniziativa politico-militare di Putin – un’autodifesa di carattere strategico – usando unicamente il linguaggio dell’economia e della sicurezza, ossia sanzioni e riarmo, e arrivando a rimuovere ogni ricostruzione del passato attraverso cui si è giunti, passo dopo passo (Iraq, Kosovo, Afghanistan, Libia, Siria), al presente. Del resto, che sugli antecedenti del conflitto in corso agisca una siffatta rimozione non può sorprendere, poiché se la concatenazione storica degli eventi che hanno portato alla guerra di Ucraina fosse esattamente compresa nella sua natura di potenziale prologo ad una guerra ben più vasta, i paesi occidentali, e in particolare quelli europei, dovrebbero allora farsi carico (non della intenzionale rimozione ma) di una radicale autocritica rispetto a tre questioni cardine della politica mondiale. La prima questione riguarda l’analogia fra le motivazioni addotte da Putin a sostegno della minoranza russa in Ucraina e le motivazioni che caratterizzarono la cosiddetta “guerra umanitaria” della Nato a sostegno della minoranza kosovara in Serbia, con il conseguente bombardamento di Belgrado. La seconda questione riguarda lo stato della democrazia nell’età dell’imperialismo (diciamo pure lo stato della democrazia imperialista) e, segnatamente, quello connesso alla costruzione dell’Unione Europea. La terza questione, che è poi quella esplosiva, è il rilancio dell’atlantismo nella sua versione più oltranzista.

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