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Gas e dintorni nel commercio mondiale

Al giorno d’oggi, c’è commercio e commercio. Quello delle armi fornite dai paesi occidentali all’Ucraina sembra alquanto fruttuoso, tanto che ne parlano addirittura anche canali americani: la CBS, per esempio. Secondo il canale Near Abroad, le spedizioni di armi provenienti dall’Ucraina, imbarcate in alcuni porti polacchi su navi per “aiuti umanitari” (di solito, non controllate) danno ottimi profitti ai mercanti di armi ucraini.

Per dire, un fucile automatico USA M4, a seconda delle diverse modificazioni, può costare dai 600 ai 1.200 dollari; ma, secondo Sputnik Arabic, viene spedito agli “Hussiti yemeniti” per 2.400 $ e pagato in criptovaluta. Le armi vengono stipate in bidoni per olio da auto: dieci M4 con duemila proiettili e 200 granate in ogni bidone. Un affare.

Esiste anche un altro commercio, dalle qualità e dalle prospettive ben diverse e di ben altra portata mondiale, per chi vuole intendere. È quello tra Russia e Cina che, secondo la Reuters, è cresciuto del 29% tra gennaio e luglio, raggiungendo i 97,7 miliardi di dollari e, da qui a fine anno, Mosca e Pechino prevedono di portare il volume a 200 miliardi.

Nel solo mese di luglio, gli scambi sono stati di circa 17 miliardi, con una crescita del 22% delle forniture cinesi alla Russia rispetto allo scorso anno. L’import dalla Russia in luglio è cresciuto del 49%, contro però il 56% di giugno e il 79,6 a maggio e ha comunque raggiunto i 61,4 miliardi $.

Mosca è il principale fornitore alla Cina di petrolio, gas, carbone e prodotti agricoli, anche se in luglio le forniture di petrolio sono state le più basse (21,3 milioni di barili) da febbraio. L’export di merci cinesi in Russia è cresciuto del 5,2% in sette mesi, raggiungendo i 36,2 miliardi.

Un altro tipo ancora di commercio, che chiama in gioco attori mondiali diversi, è quello che riguarda il gas naturale liquefatto, o GNL.

Secondo il Financial Times, per gli elevati prezzi venutisi a stabilire in Europa, le società commerciali preferiscono dirottare i tanker verso i paesi europei: anche pagando multe per la rescissione di contratti con paesi asiatici, riescono comunque a realizzare grossi profitti smerciando il gas in Europa.

In pratica: un effetto a spirale che si traduce in un sempre più brusco aumento di prezzo del gas, in vista anche del necessario riempimento dei depositi europei, al momento quasi tutti sotto il previsto 90%.

La crescente concorrenza dei paesi asiatici, scrive il FT, (Giappone e Corea del Sud sono il secondo e il terzo importatore mondiale) arriva in un momento in cui i paesi europei mirano a far incetta di GNL – fanno incetta di GNL yankee, per eseguire gli ordini di Washington, diciamo noi – trasportato via mare, in sostituzione del gas russo, pompato attraverso i gasdotti.

Rispetto al 2021, i prezzi in Europa sono già cresciuti di tre-cinque volte e, sempre rispetto al 2021, secondo l’Energy Information Administration, nei primi quattro mesi di quest’anno, gli USA hanno esportato il 74% del proprio GNL in Europa, rispetto al 34% dello scorso anno. Nel periodo gennaio-luglio, l’Europa ha importato cento miliardi di mc di GNL americano, quasi quanto nell’intero 2021.

Indicativo della situazione, sembra quanto scrive Shipping Magazine, secondo cui, coi noli che crescono a ritmi sostenuti, «gli armatori continuano ad aumentare le dimensioni delle proprie flotte»; così che nel periodo gennaio-luglio, a livello mondiale, «sono state acquistate 1.155 navi usate», pari a una portata lorda di circa settantacinque milioni di tonnellate e «un valore di 24,8 miliardi di dollari». Del numero totale di vascelli, 388 sono petroliere e 54 sono navi gasiere.

La sua brava parte di lavoro sporco nella questione del gas la sta facendo, naturalmente, l’Ucraina, con il rifiuto di Naftogaz a trasportare il gas russo attraverso le tubature che passano per il territorio ora non controllato da Kiev: fatto che aggrava la già pesante situazione data dalla sensibile riduzione delle forniture attraverso il Nord Stream-1.

Già a inizi estate, la Germania aveva perso un’altra fonte atta a rimpiazzare il pompaggio attraverso il Nord Stream-1: è stato infatti il segmento polacco (33 miliardi mc annui) del gasdotto Jamal-Europa a subire le conseguenze delle contro-sanzioni russe alla polacca EuRoPol-GAZ.

Così che tanto Kiev quanto Varsavia, dichiara l’osservatore russo Boris Martsinkevič, contribuiscono in par misura a creare una situazione critica per l’Europa e in particolare per la Germania.

L’ambigua politica della Siemens nei confronti di Gazprom sulla questione delle sanzioni, nota Martsinkevič, «costringerà la Germania a riflettere sull’avvio del Nord Stream-2», una misura che «salverebbe la UE da gravi carenze di gas, durante i lavori di ripristino del Nord Stream-1».

Ecco poi un esempio diverso di commercio mondiale, questa volta in negativo, come risposta di Mosca all’atteggiamento occidentale nei confronti della Russia. Il 5 agosto, Vladimir Putin ha firmato un decreto – “Sull’applicazione di misure economiche speciali nelle sfere di finanza, combustibili ed energia” – in base a cui, fino al prossimo 31 dicembre, si vietano transazioni con azioni e quote di società strategiche russe per investitori da paesi ostili.

Un esempio concreto è dato dal divieto completo di transazioni con quote in “Sakhalin-1” e il campo petrolifero di Khar’jaginskij, nel circondario autonomo di Nenets.

Nell’annunciare che, nei prossimi giorni, verrà reso pubblico l’elenco completo delle società energetiche e finanziarie le cui transazioni sono vietate, Kommersant ricorda che nel 2021 Mosca aveva dichiarato “paesi ostili” USA e Rep. Ceca; dopo il 24 febbraio, nell’elenco sono entrati paesi UE e Ucraina e, dopo il 22 luglio, Grecia, Danimarca, Slovenia, Croazia e Slovacchia.

In vista della corsa alle urne del 25 settembre in Italia, quale tipo di commercio hanno da proporre le due destre, in competizione tra loro per aggiudicarsi l’invito a rendere gli omaggi al padrone di casa a Washington?

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