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Al G20 tra Usa e Cina un confronto tra pari

Le cronache dal G20 – che è cominciato ufficialmente solo stamattina – risentono in modo pesante dello schieramento internazionale dei vari media che ne riferiscono.

A parte i patetici tentativi di dare un ruolo “importante” ad ogni leader nazionale presente (una specialità in cui i media italiani come sempre “eccellono”), c’è una netta differenza tra report di matrice ideologica neoliberista (euro-atlantica, insomma) e gli altri, decisamente più articolati.

Al centro di tutti i commenti c’è naturalmente l’incontro tra Xi Jinping e joe Biden, il primo tra questi due presidenti. Naturalmente quel che si sono detti davvero nel corso delle tre ore di colloqui viene filtrato da “note ufficiali” e “indiscrezioni pilotate”.

Cosicché, per esempio, i media occidentali parlano di un “impegno a costruire un ponte di dialogo” dopo un lungo periodo di deterioramento dei rapporti tra Usa e Cina (e in questo concordano anche le fonti cinesi), ma subito dopo parte la solita narrazione su un Biden “aggressivo” su questioni che la Cina considera “questioni interne”.

Naturalmente ci si riferisce alla questione di Taiwan, su cui gli Usa hanno da ualche anno rovesciato la politica seguita fin dagli accordi siglati da Nixon e Kissinger (c’è “una sola Cina”), pretendendo di considerare l’ex Formosa come un paese autonomo da Pechino ma sotto la propria giurisdizione politico-militare.

Ancora più “invasivo” dello spazio vitale cinese è poi voler intervenire su come Pechino gestisce il Tibet, Hong Kong e le comunità uigure del Sinkiang, sotto la retorica dei diritti umani (che sono ben poco rispettati in molti dei paesi controllati da Washington, e con molte “manchevolezze” nella stessa “casa-madre”).

Su questo insieme di questioni Xi Jinping si è affrettato a far diramare una nota ufficiale in cui la questione di Taiwan viene definita «al centro degli interessi fondamentali della Cina», al punto da costituire «il fondamento politico delle relazioni Cina-Usa».

Ancora con più nettezza: è «la prima linea rossa che non deve essere superata», perché su questo argomento le posizioni dei due paesi sono “come l’acqua ed il fuoco”.

Ma le due superpotenze sono costrette a convivere, per molte ragioni. Se non altro perché devono «affrontare le sfide transnazionali – quali il cambiamento climatico, la stabilità macroeconomica globale, inclusa la riduzione del debito, la sicurezza sanitaria e la sicurezza alimentare globale – perché questo è ciò che la comunità internazionale si aspetta».

Su questo, com’è noto, Pechino non ha mai mostrato dubbi e Xi si è detto «pronto a uno scambio schietto e approfondito dei nostri punti di vista sui temi di importanza strategica».

Primo fra tutti il rifiuto dell’uso delle armi nucleari, che sembra diventata una “novità” stante la guerra in corso in Ucraina, ma che tutto il mondo sa – e ricorda – essere state usate, per ben due volte, soltanto dagli Stati Uniti e su obiettivi civili, come Hiroshima e Nagasaki.

Dando un’occhiata ai media cinesi – come l’ufficialissimo Global Times – la narrazione cambia, se non nei contenuti, sicuramente nel tono.

Dopo aver ricordato che “Le relazioni tra Cina e Stati Uniti erano scese al punto più basso dall’instaurazione delle relazioni diplomatiche e molti temono che tra Cina e Stati Uniti possa scoppiare una “nuova guerra fredda“, e dunque il mondo intero ha tirato un sospiro di sollievo davanti all’immagine della stretta di mano tra i due presidenti, dà atto che “Entrambe le parti hanno espresso la volontà di base di impegnarsi nel dialogo piuttosto che nel confronto e nella cooperazione win-win piuttosto che nella competizione a somma zero.

Questo è un tema fisso nella pubblicistica di Pechino. Lo spirito di “competizione” che domina il discorso euro-atlantico è sempre stato criticato come distruttivo delle relazioni e pericoloso per il mondo intero, mentre la “cooperazione win-win” (ovvero le relazioni commerciali e diplomatiche basate sul reciproco vantaggio) costituisce la chiave di volta che dovrebbe rendere meno esplosive le divergenze di interessi strategici.

Ma la ricerca di un “approccio positivo” non avviene dimenticando la realtà storica dei rapporti con Washington: “non è difficile scoprire che ogni volta che si verifica il continuo deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, ciò è dovuto alle provocazioni unilaterali degli Stati Uniti.

E dunque il “consiglio” offerto a Biden & co. è piuttosto chiaro: “Come dice il proverbio, ‘chi crea i problemi deve risolverli’. Solo se gli Stati Uniti adotteranno il giusto atteggiamento e azioni concrete, le relazioni tra Cina e Stati Uniti potranno tornare sulla giusta strada.”

Nessuna accettazione, insomma, della pretesa di “superiorità” euro-atlantica.

Tanto da poter far sfoggio anche di ironia. Dopo aver registrato i “cinque no” proposti e accettati da Biden – (cioè non cercare una nuova guerra fredda; non cercare di cambiare il sistema cinese; la rivitalizzazione delle alleanze non sarà contro la Cina; non sostenere l'”indipendenza di Taiwan”; non cercare un conflitto con la Cina) – l’anonimo editorialista del Global Times ritiene di doversi augurare che “gli Stati Uniti possano mettere in pratica l’impegno del Presidente Biden, invece di dire sempre una cosa e farne un’altra. Si tratta di sincerità e integrità”.

L’obiettivo, da quel punto di vista, “è gestire bene le relazioni Usa- Cina, non solo quello di evitare i conflitti”. Anche perché i conflitti, sempre più spesso, sfuggono di mano agli apprendisti stregoni…

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1 Commento


  • Sergio

    sull’uso delle atomiche (pensando freddamente): la minaccia arriva dagli usa che la prevede nella sua stessa dottrina militare incentrata sulla “prevenzione”
    sul “colpire per primi”…il pericolo nucleare è qui, non cerchiamolo altrove…

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