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Iran. Cause e conseguenze dello scontro sociale in corso (prima parte)

Conflitti e struttura della Repubblica Islamica dell’Iran

La continuità e l’estensione delle proteste femminili, giovanili e popolari in Iran merita la dovuta attenzione. Leggerle solo attraverso la lente delle “ingerenze straniere” (Usa e Israele soprattutto) sarebbe un torto alla realtà e al materialismo. Ogni sistema produce continuamente le sue contraddizioni, soprattutto quando i rapporti sociali interni non corrispondono più allo sviluppo del sistema stesso.

Indubbiamente, e soprattutto nei paesi ritenuti “rogues states” dagli Usa, su queste contraddizioni agiscono anche fattori esterni. Nel caso dell’Iran le sanzioni occidentali e i sabotaggi israeliani (arrivando all’uccisione degli scienziati) hanno avuto un peso rilevante.

L’Iran non è affatto un paese arretrato. E’ una società giovane, colta, moderna, anche se ancora con forti asimmetrie tra città e campagne. Secondo diverse analisi dispone di un’infrastruttura industriale e commerciale ben sviluppata e di un importante capitale umano, soprattutto in campo tecnico-scientifico. “Questo notevole potenziale di sviluppo economico, tuttavia, non è mai stato dispiegato completamente”, segnala però una analisi dell’Ispi.

E’ dunque una contraddizione inevitabile e profonda quella che si è aperta tra lo stato di sviluppo del paese e le relazioni sociali interne che lo regolano. Un paese in cui una popolazione giovane – soprattutto nelle città – vive nella modernità, difficilmente può accettare ancora un sistema fondato su regole religiose e arretrate che non hanno più ragione di essere, se non nella sfera privata e spirituale.

In Iran l’invadenza della sfera religiosa in quella politica e in quella privata è diventata via via insopportabile per i ceti sociali urbani, mentre viene ancora accettata nelle aree rurali.

L’episodio della morte della studentessa Masha Amini, pur presentata come “conseguenza involontaria” di un intervento della “Polizia Morale”, è diventato così il fattore di rottura per aspettative di cambiamento che incubavano da anni.

Secondo alcuni osservatori “Tutto sembra indicare come la classe media dell’Iran, economicamente deprivata, socialmente frustrata e politicamente oppressa, abbia colto la palla al balzo della morte di Masha Amini per riversare nelle piazze del Paese il suo malcontento e la propria angoscia per il futuro” (Startmag).

L’Iran, con la Rivoluzione del 1979, si è definito come “Repubblica Islamica”; insomma una teocrazia che però ha provato a far convivere regole e visione generale di stampo religioso con strutture tipiche delle società occidentali.

In Iran, ad esempio, esiste il multipartismo. “I partiti politici iraniani sono oggi più di duecento, molti dei quali tuttavia assomigliano più a semplici organizzazioni o movimenti, dalla struttura organizzativa leggera” – scrive l’Ispi – “Solo una ventina di questi partiti partecipano effettivamente alla vita politica del paese, esprimendo candidati e ottenendo seggi parlamentari”.

Dunque chi parla dell’Iran come di una mera “dittatura autocratica”, anzi teocratica, dice una parziale falsità. Ma nella convivenza tra apparati religiosi e apparati politici, i primi hanno mantenuto una posizione prevalente negli orientamenti generali e del paese.

Nella gerarchia politica iraniana si trovano infatti a convivere strutture diverse, alcune nominate per vie interne e per cooptazione, altre attraverso le elezioni e la legittimazione popolare:

La Guida Suprema, che affidata ad una figura religiosa del rango di ayatollah, prima con Komeini oggi con Kamenei. I poteri di questa figura, elencati nell’articolo 110 della Costituzione, sono molto estesi: tra questi, oltre a supervisionare e indirizzare il sistema politico iraniano, la Guida è comandante in capo delle forze armate, controlla gli apparati di sicurezza e le principali fondazioni religiose, affida e revoca l’incarico del capo del sistema giudiziario, del capo di Stato maggiore dell’esercito regolare, del comandante del Corpo delle Guardia della Rivoluzione Islamica, del capo della polizia, del presidente delle emittenti radiotelevisive nazionali e dei giuristi del Consiglio dei Guardiani della Costituzione

Il Consiglio dei Guardiani della Rivoluzione costituito da dodici giuristi, sei religiosi scelti dalla Guida Suprema e sei scelti dal Parlamento. Al Consiglio dei Guardiani spetta il compito di vagliare i disegni di legge governativi e le proposte di legge parlamentari, rinviandoli al Parlamento in caso di non conformità con le norme islamiche e con la Costituzione.

Il Consiglio per il discernimento è l’organo incaricato di mediare tra Parlamento e Consiglio dei Guardiani nel caso in cui sorgano contrasti tra le due istituzioni

Il Consiglio Supremo di Giustizia. La Costituzione riconosce formalmente l’indipendenza del potere giudiziario, stabilendo però che questo deve essere esercitato in conformità alle norme islamiche. L’organo principale del sistema giudiziario è il Consiglio Supremo di Giustizia, composto dal presidente della Corte suprema, dal procuratore generale e da tre giudici esperti di teologia e giurisprudenza islamica

L’Assemblea degli Esperti è invece l’organo incaricato di nominare la Guida Suprema nel caso questa non emerga per via carismatica, e destituirla nel caso essa sia inabile ai doveri costituzionali o non risponda più ai requisiti richiesti. La scelta della Guida avviene infatti, secondo Costituzione, preferenzialmente per via carismatica: quando un teologo o un giurista risponde ai requisiti fissati ed è accettato e riconosciuto come suprema autorità teologica dalla maggioranza della popolazione, egli assurge al ruolo di Guida. Nel caso in cui il consenso non emerga spontaneamente, interviene l’Assemblea degli Esperti, la quale, secondo il principio islamico della shura, procede a una consultazione, al termine della quale il candidato cui sono riconosciute le maggiori capacità viene nominato Guida suprema. L’Assemblea degli Esperti è composta da ottantasei membri, tutti religiosi, ma eletti a suffragio universale ogni otto anni.

Poi ci sono le strutture sottoposte ad elezioni e dunque alla legittimazione popolare:

Il Presidente della Repubblica. Detentore del potere esecutivo, tranne nei casi che sono di responsabilità diretta della Guida suprema. Rappresenta la seconda carica ufficiale dello Stato, dopo la Guida suprema. Viene nominato tramite elezione popolare diretta con la maggioranza assoluta al primo turno, o con la maggioranza relativa al secondo turno. Il suo mandato dura quattro anni ed è rinnovabile una sola volta; puoè essere destituito con il voto di almeno due terzi dell’Assemblea consultiva.

L’Assemblea Consultiva Islamica, ovvero il Parlamento. Composto da 270 membri eletti a scrutinio segreto e a suffragio universale ogni quattro anni. Dopo l’elezione i membri devono prestare un giuramento di fedeltà alla Rivoluzione e alla Repubblica Islamica. L’Assemblea detiene il potere legislativo. Tale potere, tuttavia, in caso di questioni di estrema rilevanza nazionale, puoò essere esercitato direttamente dal popolo tramite referendum indetto dai due terzi dei membri dell’Assemblea

Appare evidente come la strutturazione costituzionale e democratica della Repubblica Islamica dell’Iran sia pesantemente ipotecata dal potere di orientamento e controllo degli apparati religiosi rispetto a quelli strettamente istituzionali. Un carattere duale che si esplicita nella compresenza di due forme di legittimazione dell’autorità: una legittimazione di tipo popolare, che ricalca la tradizione costituzionale di inizio Novecento, e una legittimazione di tipo religioso, in ottemperanza alla teoria del governo islamico” sottolinea l’Ispi.

Soprattutto dopo la morte dell’ayatollah Komeini (1989) tutta la dialettica e lo scontro politico interno in Iran si è giocato continuamente nell’equilibrio o nel conflitto di questi poteri.

Ma le proteste di queste settimane di giovani e donne, alle quali si sono aggiunti più ampi settori popolari soprattutto nelle regioni non di origine farsi (Belucistan, zona curda etc.), non sembrano ascrivibili alle fazioni di questo scontro interno alla leadership; al contrario sembrano avere una radice e una dinamica autonoma sia sul piano politico (rivendicazione di fine delle restrizioni religiose e maggiori libertà), sia su quello sociale (emersione del disagio sociale dovuto ai tagli dei sussidi statali, a sacche di impoverimento), né si intravede ancora una leadership politica organizzata e coordinata.

Questo passaggio di qualità richiede degli approfondimenti, sia sul piano politico che nella composizione di classe dello scontro sociale in Iran.

Fine prima parte. Segue.

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6 Commenti


  • Oigroig

    Non capisco tutta questa prudenza. In Iran essere comunisti è un reato grave punito con il carcere, ma esiste comunque un partito comunista semiclandestino, ci sono sindacati, c’è un movimento operaio, parlano, scrivono e qui queste voci non arrivano… Questa difesa della democrazia partitica mi pare piuttosto debole se si va in carcere per le proprie idee. E poi discorsi simili accreditano l’idea che, paragonati agli āyatollāh, gli esponenti di Fratelli d’Italia siano dei sinceri democratici, assecondando in tal modo la generale sottovalutazione del carattere culturalmente fascista del nuovo governo… My two cents.


    • Redazione Contropiano

      E’ un’analisi in almeno tre puntate… Non avere fretta di tirare conclusioni azzardate… Nessuno qui ha dimenticato le migliaia di compagni imprigionati, uccisi, usati come “sacche di sangue” ai tempi della guerra tra Iran e Iraq…


    • Redazione Roma

      Se devi analizzare una realtà meglio farlo in modo completo, soprattutto quando presenta contraddizioni, e nel caso dell’Iran ce ne sono da essere prese in considerazione. Non sempre bastano due centesimi, ciao


  • Oigroig

    Mi è andata di traverso questa frase:

    «In Iran, ad esempio, esiste il multipar[ti]tismo. […] Dunque chi parla dell’Iran come di una mera “dittatura autocratica”, anzi teocratica, dice una parziale falsità.»

    Tantə comunistə sono statə incarceratə e uccisə, i sindacati sono fuorilegge e basta avere idee diverse, di qualsiasi tipo, e finisci male. Chi lotta per libertà elementari rischia la vita. Non capisco l’esitazione a chiamare un simile governo con il nome di autocrazia o dittatura.


    • Redazione Roma

      Era una informazione e una precisazione dovuta. In Occidente il multipartitismo viene ritenuto un parametro decisivo di un modello democratico. E’ evidente che non sempre sia così, per questo le realtà vanno sempre analizzate caso per caso e mai generalizzate. Di sicuro in Iran non usano la schwa, ma se è per questo come vedi neanche noi, sappilo.


  • Gianni Sartori

    Turchia e Iran starebbero per invadere simultaneamente l’Iraq per colpire l’opposizione curda.
    Niente di nuovo per Ankara, mentre da giorni Teheran va ammassando truppe e blindati sul confine.

    KURDISTAN ULTIMA ORA:
    INIZIA DOMANI LA PREANNUNCIATA AZIONE CONGIUNTA TURCHIA-IRAN CONTRO I KURDI IN IRAQ?

    Gianni Sartori

    La possibilità di una azione militare simultanea tra Ankara e Teheran in Iraq era stata evocata ancora il 18 novembre dal consolato degli Stati Uniti a Erbil.

    In seguito tale possibilità veniva in qualche modo confermata addirittura indicando la possibile data, Domenica 27 novembre.

    Oltre che il Kurdistan iracheno (Bashur) colpirebbe anche – e ulteriormente – il nord della Siria (Rojava).

    Inutile chiedersi se, qualora questo avvenisse, la comunità internazionale reagirebbe in difesa della popolazione curda nello stesso modo in cui ha reagito per l’Ucraina.

    Sappiamo che al mondo esistono popoli di serie A, B, C…

    In ogni caso, una pessima maniera di celebrare il centenario del Trattato di Losanna.
    A giustificazione del loro intervento Ankara e Teheran invocano, rispettivamente, la presunta responsabilità curda nell’attentato del 13 novembre a Istanbul (su cui invece si addensano fondati sospetti di “strategia della tensione” e l’ombra del MIT) e il traffico di armi attraverso la porosa frontiera iracheno-iraniana. Armi che potrebbero finire nelle mani dei manifestanti, alimentando quella che ormai da protesta per la morte di Jina Amini (16 settembre) si va trasformando in aperta ribellione contro la teocrazia.

    Da giorni l’Iran sta bombardando le presunte basi dell’opposizione curda rifugiata in Iraq e contemporaneamente andrebbe ammassando truppe e centinaia di blindati in prossimità della frontiera.

    Nel contempo la Turchia prosegue nei suoi attacchi con aerei, droni e artiglieria sia in Rojava che in Bashur.

    Alcuni osservatori hanno ipotizzato che gli accordi per l’operazione congiunta contro i curdi potrebbero essere stati stipulati nel colloquio telefonico del 17 novembre tra i due ministri degli interni, Suleyman Soylu e Ahamad Vahidi.

    Successivamente il comandante dei Guardiani della rivoluzione, l’iraniano Esmail Ghani si era recato a Bagdad a incontrare il primo ministro iracheno Abdul Latif Rachid. Per preavvisarlo di un possibile intervento militare via terra qualora il governo iracheno non avesse provveduto adeguatamente a blindare il confine.

    Gianni Sartori

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