Che i camionisti abbiano avuto un ruolo (e un finanziamento) importante nella strategia della CIA per creare le condizioni che preludono al golpe di Pinochet, è cosa risaputa. Meno noto è il ruolo che hanno svolto negli anni successivi e, soprattutto, chi sono realmente quelli che tirano le fila e traggono profitto dagli scioperi nei trasporti che si sono susseguiti nel tempo con i vari governi.
È utile ripercorrere un po’ la storia di queste mobilitazioni, prima di proporre un articolo che spiega in dettaglio non solo questi aspetti, ma anche come – ahimè – la “sinistra” abbia perso la capacità di mobilitazione che sarebbe legittimo aspettarsi, allineandosi alle richieste reazionarie tout court di repressione pura e semplice, come fanno le destre.
Bisogna premettere che il regime dittatoriale di Pinochet ha condizionato enormemente le infrastrutture del Cile. Si è visto infatti il completo smantellamento delle linee ferroviarie a favore delle autostrade, che ovviamente diventano così indispensabili per qualsiasi spostamento di merci da una parte all’altra del lunghissimo Paese.
Le imprese trasportatrici diventano quindi programmaticamente una classe privilegiata, visto che si erano già create ottime referenze nella gestione del golpe. Hanno cominciato anche ad accumulare privilegi economici e fiscali molto consistenti nel 1984, quando la dittatura ha deciso che loro, come pure i minatori e gli agricoltori, potevano dichiarare al fisco una “rendita presunta”, pagando così mediamente la metà di quanto realmente dovuto.
Nel 1988, Pinochet, ormai quasi agli sgoccioli del suo “mandato”, concesse loro un altro privilegio: un ribasso del diesel alla metà del prezzo, mentre quello della benzina rimaneva lo stesso.
Nel 1990, il primo governo democratico a presidenza del democristiano Aylwin provò a togliere la dichiarazione di “rendita presunta”, ma dovette fare marcia indietro. E diede il suo evidente tributo ai trasportatori aumentando successivamente soltanto il prezzo della benzina senza toccare quello del diesel.
Nel 2001, fu il “socialista” Lagos a pagare pegno, aumentando anche lui la benzina senza toccare il diesel. Solo per il loro potere di pressione, i trasportatori pagavano un quarto di quanto pagavano gli altri e, per di più, il fisco restituiva loro il 25% delle imposte specifiche pagate.
Nel 2008 un blocco nazionale di quattro giorni paralizzò il paese (totalmente dipendente dal trasporto su ruote) in tutti i settori, dalle esportazioni agli ospedali e agli alimentari. Il governo Bachelet cedette e decise che, transitoriamente, il fisco avrebbe restituito ai trasportatori l’80% delle imposte specifiche.
Ma quando l’accordo si avvicina alla scadenza, ecco di nuovo che la pressione della categoria ha la meglio. E così nel 2014, in sede di discussione di riforma tributaria, e nel 2020, nel contesto di un aumento delle imposte, i trasportatori ottengono ulteriori benefici.
Anche in questo 2022, il governo Boric ha rapidamente ceduto, accettando inizialmente di fissare il prezzo del diesel per tre mesi, malgrado gli aumenti stellari a livello mondiale sui costi dell’energia. Ma per alcuni dirigenti delle imprese trasportatrici questo non bastava: hanno mantenuto i blocchi stradali per otto giorni esigendo addirittura il ribasso del 30% del prezzo del combustibile. Un costo equivalente al bilancio annuale della sanità primaria in Cile.
I problemi creati dagli scioperi dei trasportatori sono talmente pesanti per il Cile che lo scorso 1° giugno, il presidente Gabriel Boric ha dichiarato che è “[…] un desiderio trasversale e storico del nostro Paese poter contare su un’ampia rete di treni […]”.
Ha anche preannunciato l’obiettivo di portare 150 milioni di passeggeri sulle ferrovie nel 2026. Nel frattempo si ripromette di “lavorare seriamente per il treno che unirà Valparaiso e Santiago”.
Quest’opera, pur nel suo limitatissimo chilometraggio, è giudicata piuttosto discutibile per gli eccessivi costi economici e ambientali rispetto ai benefici, di cui fruirebbe solo il porto di Valparaiso lasciando fuori da qualsiasi utilità l’intera Regione, e, ovviamente, il resto del Paese. Ma questa è un’altra storia…
*****
La vera trappola dello sciopero dei camionisti
Colui che ha veramente guidato i negoziati, nel bel mezzo dello sciopero dei camionisti, è stato Juan Sutil della Confederazione della Produzione e del Commercio (CPC).
Il governo non ha mostrato alcuna iniziativa. Ha semplicemente seguito i dettami dell’organizzazione padronale: ha seguito il suo consiglio di applicare la Legge di Sicurezza Interna dello Stato e poi ha siglato un accordo tripartito tra le corporazioni dei camionisti “descolgados”*, il governo e la CPC.
In tutto questo pasticcio, una cosa è chiara: la sinistra è caduta nella trappola. Si è unita al coro delle grandi imprese che chiedevano una chiara dimostrazione dell’autorità statale.
Lo sciopero dei camionisti si è concluso dopo otto giorni. Il conflitto corporativo è diventato la principale crisi politica delle ultime settimane. È stata sfidata l’autorità del governo, che ha finito per svolgere il ruolo di burattino della Corporazione della Produzione e del Commercio (CPC).
Le principali decisioni strategiche durante il conflitto non sono state prese dal governo di Gabriel Boric, ma dalle associazioni imprenditoriali.
Per lo stesso motivo, lontano dalle caricature della destra e del “progressismo”, questo sciopero ha delle particolarità che vanno decifrate per comprendere meglio la situazione politica e sociale che stiamo attraversando.
Per quanto riguarda le fasce di classe coinvolte, va notato che la mobilitazione non è stata effettuata dalle grandi corporazioni padronali. I proprietari di grandi flotte di camion sono raggruppati nella Confederazione Nazionale del Trasporto di Carichi (CNTC), diretta da Sergio Pérez. C’è anche la Confederazione Nazionale dei Proprietari di Camion (CNDC) di Juan Araya; da ricordare lo sciopero che questa corporazione condusse nel 1972 durante la Unidad Popular.
Coloro che hanno assunto il ruolo di protagonisti nelle strade sono stati i piccoli e medi imprenditori del trasporto, raggruppati nell’Associazione dei Proprietari di Camion (Asoducam) Biobío, il gruppo Fuerza del Norte, l’Associazione Corporativa dei Proprietari di Camion (Agreducam) Alto Hospicio, la Federazione dei Camionisti Centro Sud e Utramag. Si tratta di proprietari di flotte più piccole, che non sono quelli che vincono le licitazioni dirette con le grandi industrie.
Al di là delle divisioni e dei contrasti tra corporazioni, la verità è che i grandi autotrasportatori hanno approfittato delle mobilitazioni di coloro che hanno classificato come “descolgados” per raggiungere un accordo migliore con il governo.
In effetti, la CNTC e la Federazione dei Proprietari di Camion della Regione di Valparaíso (FedeQuinta) sono riusciti domenica a siglare un accordo con il governo, che ha ceduto alle principali richieste padronali.
Le corporazioni minori hanno continuato a mobilitarsi e hanno smesso lo sciopero solo quando la conduzione diretta dei negoziati è stata assunta da Juan Sutil, la CPC. Come ha indicato Sutil, “lavoreremo insieme per rafforzare le corporazioni dei trasporti minori, in modo che loro possano avere migliori condizioni abilitanti per poter partecipare anche alle gare e far sì che queste siano meglio accessibili per tutti“.
La grande borghesia, espressa sia dalla CPC che dalla Società Nazionale dell’Agricoltura (SNA) aveva tolto il terreno sotto i piedi allo sciopero delle corporazioni dei “descolgados”. Ha chiesto l’applicazione della Legge di Sicurezza Interna dello Stato e minacciato di non rispettare i pagamenti ai camionisti mobilitati.
Due fattori fondamentali li hanno spinti alla distensione e ad assumersi l’incarico di fare arbitro: il rischio nella raccolta della frutta in questo periodo dell’anno e l’enorme debolezza in cui sarebbe incorso il governo, se non controllava la situazione.
Quest’ultima cosa è rilevante, poiché oltre alla costellazione di forze di classe in campo (piccola borghesia e medi imprenditori, grande borghesia, governo come guida dello Stato), la mobilitazione aveva un correlato politico. Le corporazioni mobilitate sono state sostenute dal Partido Republicano e dal Partido de la Gente. Lo stesso Franco Parisi** si vantava di parlare quotidianamente con uno dei leader camionisti.
I camionisti in mobilitazione avevano varie richieste. L’obiettivo centrale era rafforzare i meccanismi che consentissero loro di competere sul mercato e mantenere i loro profitti, sia attraverso il congelamento del valore del diesel, sia attraverso agevolazioni fiscali. Esigevano anche un maggiore dispiegamento della polizia sulle autostrade, con argomentazioni che rafforzano l’agenda reazionaria.
Attraverso queste richieste hanno cercato di fare politica nel resto della popolazione, suscitando simpatia nei settori malcontenti a causa della crisi e del governo.
L’unica richiesta che va a favore degli autisti (e non solo dei loro padroni, i proprietari dei camion) è la costruzione di nuove aree di sosta. Effettivamente, devono sopportare lunghe ore di lavoro senza riposo e senza poter vedere le proprie famiglie, con contratti precari e stipendi che spesso dipendono dal numero di giri.
I vantaggi per i proprietari di autocarri non significheranno condizioni migliori per gli autisti. Tuttavia, i lavoratori non erano un fattore indipendente in questo movimento. Al contrario, fungevano da massa di manovra degli imprenditori. Che i conducenti abbiano delle loro proprie organizzazioni e richieste è un problema strategico. Dire che gli autisti sono golpisti e di destra per il solo fatto di lavorare sopra un camion è fare un grande favore ai padroni dei camion.
Da quando essere “di sinistra” significa pretendere l’applicazione di leggi repressive?
Nel quadro di una crisi organica, dove i settori sociali si separano dalle loro tradizionali rappresentanze politiche ed emergono nuovi fenomeni politici, la grande borghesia è impegnata a ricostruire un nuovo “centro borghese” con un asse nel centrodestra “responsabile”. Perché ciò sia possibile hanno bisogno che il governo ricomponga l’autorità dello Stato con maggiori misure bonapartiste.
L’esigenza di applicare la Legge sulla Sicurezza Interna dello Stato non può essere compresa al di fuori di questo concetto. È essenziale dare un segnale d’ordine e legittimare così questa legge repressiva contro ogni mobilitazione. Bisognava approfittare del fatto che tutto il progressismo gridava nella stessa direzione.
L’editoriale de La Tercera lo spiega chiaramente: “le trattative portate avanti dal governo per disattivare lo sciopero dei camionisti non lasciano molto spazio ai festeggiamenti, perché sebbene si fosse raggiunto l’obiettivo di porre fine a una mobilitazione che stava iniziando a provocare gravi disagi nella catena logistica così come in diversi ambiti produttivi, ha lasciato al tempo stesso una serie di precedenti molto complessi, in particolare quello per cui le misure di pressione -anche al di là della legge- sono viste come un efficace veicolo per ottenere dall’autorità la concessione di vantaggi particolari”.
La sinistra è caduta nella trappola. Si è unita al coro della grande borghesia che reclamava pugno di ferro. Questo è il vero “ricatto” che era in gioco.
Jorge Sharp*** ha officiato come uno dei principali portavoce, da sinistra, di coloro che chiedevano l’applicazione dalle leggi repressive. I rappresentanti dei gruppi imprenditoriali, i loro editorialisti e politici non avevano doppie interpretazioni al riguardo: applicare la Legge agli autotrasportatori è fondamentale per poi applicarla a chiunque contesti l’autorità dello Stato e il controllo delle autostrade.
Ciò non toglie, ovviamente, che l’applicazione della Legge di Sicurezza Interna dello Stato agli autotrasportatori sia più una mossa mediatica che reale, perché chiaramente la repressione nei loro confronti non ha paragoni con quella che subiscono i lavoratori, gli studenti, gli abitanti delle borgate e i Mapuche che si mobilitano e fanno blocchi stradali.
Da quando essere “di sinistra” è piangere affinché il governo applichi la Legge sulla Sicurezza Interna dello Stato?
Storicamente, i proprietari di camion sono stati golpisti. Sì. Dietro lo sciopero delle corporazioni più piccole era evidente la mano del Partido Republicano e del Partido de la Gente. Anche. Ma se parliamo di golpismo, facciamo un po’ di memoria.
Durante lo sciopero padronale del 1972 si aprirono due grandi strade per fronteggiare la crisi: quella dell’autorganizzazione della classe operaia e del popolo che aveva nei cordoni industriali la sua espressione più avanzata (erano sorti proprio per fronteggiare lo sciopero dei camionisti); e quella promossa dal governo di Allende che militarizzò il Paese, decretò lo stato di emergenza e integrò i militari nel gabinetto (cosa che insieme alla Legge sul Controllo delle Armi legittimerebbe le incursioni ai cordoni industriali e la repressione dell’avanguardia operaia precedente al colpo di stato dell’11 settembre).
Sappiamo già dove ha portato questo ultimo percorso.
Naturalmente, oggi il contesto è molto diverso. Ma l’analogia serva alla riflessione. Chiedere allo Stato di contrastare le mobilitazioni padronali con misure repressive o bonapartista è un boomerang che poi colpirà tutte e tutti coloro che si mobiliteranno per le loro legittime rivendicazioni.
E, come sappiamo, lo Stato colpisce mille volte più forte se il bersaglio sono gli sfruttati e gli oppressi. Il compito di contrastare la destra può essere assunto solo dalle organizzazioni popolari e dalla classe lavoratrice.
Il problema dello sciopero è che le corporazioni dei camionisti hanno mostrato molta più disposizione a lottare di quanto abbiano mostrato i grandi sindacati. Se questi avessero a malapena il 10% della volontà di lotta che hanno mostrato le corporazioni padronali, allora la conquista di un programma operaio di emergenza di fronte alla crisi e all’inflazione non sarebbe uno slogan di pochi.
I camionisti hanno paralizzato le autostrade. Grazie a questo hanno ottenuto quanto richiesto, con un costo potenziale per il Tesoro nell’ordine di 2.300 milioni di dollari (l’equivalente di 40 ospedali di media complessità).
I camionisti non solo hanno applicato metodi di azione diretta, ma hanno anche cercato di fare politica (egemonia) su settori di lavoratori e del popolo scontenti del governo e dei costi della crisi. Azione diretta ed egemonia.
Perché i sindacati non fanno lo stesso, ma facendo richieste al governo e ai grandi padroni a beneficio non di pochi, ma della classe lavoratrice nel suo insieme?
Oggi il Tavolo del Settore Pubblico sta negoziando con il governo e si sta mobilitando. Ma i suoi dirigenti sono ben lungi dall’eguagliare la disposizione alla lotta che hanno i camionisti, e sono anche molto lontani dall’eguagliare le mobilitazioni storiche di cui si è reso protagonista il settore pubblico in anni precedenti.
Al contrario, continuano a fare mobilitazioni che non infastidiscano e che non mettano davvero a disagio il governo. Il fatto è che i loro dirigenti provengono dagli stessi partiti di governo.
Se non ne prendono atto e non passano all’azione, non possono lamentarsi che la destra avanzi.
* “descolgados”: n.d.t. ”sganciati”, cioè usciti dalla Confederazione.
** Franco Parisi: n.d.t.: Ingegnere commerciale candidato alla presidenza del Cile con il Partido de la Gente. Ha fatto campagna elettorale dagli Stati Uniti e, senza mettere piede in Cile, ha ottenuto, con il 12,8% dei voti, il terzo posto dopo Kast 27,91% e Boric 25,83%, che sono poi andati al ballottaggio.
*** Jorge Sharp: n.d.t.: dal 2016 Sindaco di Valparaiso. Militante con Boric prima nel Movimiento Autonomista e poi nella Convergencia Social, che abbandona dopo il famigerato “Accordo per la Pace” firmato da Boric il 15 novembre del 2019.
https://www.ciperchile.cl/2022/08/08/siete-lecciones-historicas-para-un-nuevo-ferrocarril-en-chile/
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa