Si allontana la risoluzione della crisi politica peruviana.
Nonostante il paese latino-americano abbia visto cambiare 6 presidenti in 4 anni, le elezioni non sono state il viatico per altri cambiamenti.
L’unica volta che si è andati anticipatamente alle urne per cambiare il presidente è stato più di vent’anni fa, con la “caduta” del fujimorismo nel 2001.
L’impasse politico è evidente, con i popoli peruviani che chiedono lo scioglimento del parlamento e l’indizione delle elezioni, una Assemblea Costituente che cambi la carta costituzionale adottata dopo “l’auto-golpe” di Alberto Fujimori nel 1993, la liberazione di Pedro Castillo; mentre l’establishment è sordo a queste richieste e mantiene lo stato d’emergenza su tutto il territorio nazionale, nonché il coprifuoco in 15 regioni.
Venerdì sono continuate le mobilitazioni popolari a Lima, Junín, Cusco, Puno, Ayacucho, Junín e Arequipa, che hanno sfidato questa sorta di stato d’eccezione permanente inaugurato il 14 dicembre – il giorno prima dello sciopero generale – che di fatto dà pieni poteri alla polizia, coadiuvata dalle Forze Armate.
La pressione dal basso è stata mantenuta in 13 dipartimenti su 24 del paese, con un centinaio tra manifestazioni e blocchi stradali.
Sabato 17 (nella notte, ora italiana) è stato reso omaggio omaggio agli eroi popolari, 21 in tutto, assassinati durante le mobilitazioni con la parola d’ordine: “non un morto di più”. Un tragico bilancio a cui si aggiungono le diverse centinaia di feriti, e più di 200 persone arrestate.
Si inasprisce la repressione, colpendo alcune delle organizzazioni che sono la spina dorsale del movimento.
La Dircote – Direccíon contra el Terrorismo – è intervenuta nei locali della Confederatión Campesina del Perù.
La PNP, cioè la polizia peruviana, è intervenuta anche nei locali del Partido Socialista e di Nuevo Peru, per detenere alcune persone.
É chiaro a tutti che la presidente usurpatrice Boluarte ed il suo governo fantoccio – che ha già iniziato a perdere i pezzi con la dimissione di due ministri – non potrà terminare il proprio mandato nel 2026, diversamente da quanto aveva lei stessa dichiarato subito dopo il suo insediamento dopo la destituzione di Castillo.
Il deputato Guillo Bellido, dopo le morti a Ayacucho, Apurímac, Arequipa, La Libertad, Huancavelica e Junín chiede a Dina Boluarte di rinunciare alla propria carica. Ipotesi scartata dalla Boluarte nella sua conferenza stampa, nonostante la scia di sangue che ha contraddistinto il suo breve incarico: 21 morti in meno di 10 giorni…
Il deputato ha inoltre presentato un progetto di legge che chiede di convocare un referendum e si metta a votazione la creazione di una assemblea costituente.
Dina Boluarte si ostina invece a sostenere che: “l’Assemblea Costituente non è possibile”.
L’appoggio alla presidente è stato ribadito, in sede di Parlamento, da Patrizia Juarez di Fuerza Popular, la formazione espressione della destra oligarchica a cui capo è Keiko Fujimori: “Dina Boluarte è la nostra presidente”, ha affermato la deputata nel suo discorso al Congreso.
Ad Ayacucho, dove la repressione ha mietuto 8 vittime e più di una cinquantina di feriti nella giornata dello sciopero generale del 15 dicembre, differenti avvocati – Y. Martínez, V. A. Porras e J. Diburga – hanno presentato una denuncia penale contro di lei e vari esponenti del governo per “crimini di lesa umanità”, mentre si moltiplicano le denunce di varie associazioni che si occupano di diritti umani.
Il discredito del Congreso nella popolazione è enorme: l’86%, secondo un sondaggio ripreso da El País. Ciò nonostante sembra peregrina la possibilità di andare ad elezioni anticipate con un accordo tra le forze parlamentari.
Questo venerdì il Parlamento ha messo ai voti un dictamen per andare ad elezioni anticipate nel dicembre del 2023, che ha raggruppato però solo 49 voti sugli 87 necessari, la maggior parte dei quali di Fuerza Popolar.
Tale possibilità, che per ora è stata scartata, avrebbe portato il nuovo Congreso ed il nuovo presidente ad entrare in carica nell’aprile del 2024. 33 hanno votato contro, e 25 si sono astenuti.
La sinistra ha bocciato tale ipotesi perché chiede di andare alle votazioni subito, questo aprile.
Le formazioni progressiste, stando a quanto riporta Peru Libre, hanno anche protestato perché non è stata inclusa nella consultazione, una eventuale convocazione di una Assemblea costituente, che insieme alle elezioni anticipate e alla liberazione di Castillo, in custodia cautelare per 18 mesi, sono le principali richieste della piazza dall’inizio della protesta.
I popoli peruviani, non sembrano soli, e insieme ai leader dei governi progressisti che non riconoscono l’attuale presidente, numerose organizzazione latino-americane – sindacati, organizzazioni indigene e forze politiche – stanno facendo sentire la loro voce di sostegno.
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Dalla sede di Nuevo Peru, assaltata ieri sera dalla polizia, ci è giunta questa testimonianza.
Abbiamo appreso pochi minuti fa dai canali social dell’incursione della polizia nazionale nelle sedi di partiti e movimenti sociali a Lima . Puoi raccontarci cosa è avvenuto?
Per quanto riguarda i fatti accaduti oggi è necessaria una premessa. Proprio questa mattina, la sedicente Presidente del Perù, Dina Boluarte, ha diffuso un messaggio alla nazione insieme al suo gabinetto di ministri e ai membri del comando congiunto delle forze armate.
Il capo di questo comando ha fornito una valutazione politica della situazione che si sta verificando nel Paese, cosa che non si era mai vista in Perù se non durante la dittatura.
Possiamo affermare che in questo momento c’è un’interferenza diretta nella sfera politica peruviana rappresentata dai militari.
L’operazione di polizia nella sede della Confederazione campesina, e nella sede del Partito Nuevo Perù, è avvenuta proprio quando si stava trasmettendo questo messaggio alla nazione.
Nel messaggio la Boluarte ha dichiarato, dopo aver detto di essere “molto addolorata” per i massacri che si sono verificati, che siamo sotto la minaccia di un gruppo terroristico e che i disordini dei giorni scorsi sono atti di violenza che si stanno verificando in tutto il Paese, e che la polizia nazionale e le forze armate, in uno stato di emergenza nazionale come quello attuale, hanno il dovere di proteggere le famiglie peruviane.
Ciò senza menzionare le incursioni che erano in corso, effettuata nei locali della Confederazione Contadina Peruviana, che è una confederazione storica di un movimento sociale molto forte in Perù, e nei locali del Partito Nuovo Perù, partito di sinistra rappresentato nel Congresso che si oppone all’attuale governo del Perù. Poco dopo sono iniziate incursioni in altri spazi, come nella sede del sindacato degli insegnanti, il SUTEP.
Le incursioni sono avvenute in luoghi dove i manifestanti provenienti da diverse regioni del Paese, giunti per le marce nazionali che si stavano svolgendo qui nella capitale, si trovavano per dormire proprio in quel momento, quindi evidentemente stavano cercando di “terruquear” di far apparire i manifestanti come terroristi e di nascondere alla popolazione la realtà.
Non sappiamo ancora se gli agenti intervenuti hanno portato dall’esterno oggetti che potessero incriminare i manifestanti che erano li alloggiati, ma le deputate che ci sono andate hanno reso pubbliche anche ai media una serie di inesattezze e di violazioni dei diritti che sono state commesse nel corso del raid.
Ci sono ventisei detenuti e sembra che tra pochi minuti saranno portati nella sede del DIRCOTE del Ministero dell’Interno, settore d’élite della polizia nazionale che in passato si è reso protagonista di reati di terrorismo.
P.s. Nella notte l’assalto alla sede è stato tolto. Questo il messaggio diramato: “Da Nuevo Perù vogliamo ringraziare i nostri dirigenti, i nostri militanti, ma soprattutto il popolo che si è mobilitato per più di 12 ore per ottenere la liberazione dei nostri fratelli e sorelle contadini vittime del terrore e della semina di Dircote. Continuiamo a lottare, compagni!”
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Nella notte gli attivisti della Confederazione Contadina Peruviana fermati nella sede sono stati liberati. Lo rende noto la deputata di Cambio Democrático Isabel Cortez ha rilasciato una dichiarazione sui suoi social network sulla liberazione di 26 membri della Confederación Campesina del Perú (CCP), trattenuti per oltre 10 ore sabato 17 dicembre.
“I nostri fratelli e sorelle contadini sono stati liberati grazie ai cittadini che non si sono mossi fino alla loro liberazione. Continuiamo nelle strade, compagni, finché non recuperiamo il governo per il popolo“.
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Edoardo Marco Beghi.
Grazie per la controinformazione. Anzi per la informazione, visto il silenzio totale degli organi maistream.